Riprendiamo da SETTE di oggi, 08/04/2016, a pag. 61, con il titolo "La ribellione degli etiopi", il commento di Davide Frattini.
Davide Frattini
Un soldato israeliano di origine etiope con il primo ministro Benjamin Netanyahu
Quando a Kalkidan hanno chiesto di cambiare il nome perché suonasse «più israeliano», ha risposto con i versi di un rap: «II tuo nome significa guerriero non inferiore. Vuoi diventare parte del melting pot? Fratello, non resta molta aria per respirare». I giovani etiopi si sentono (e sono) emarginati. Cresciuti nei palazzoni costruiti per accogliere gli immigrati, hanno subito il razzismo di chi era arrivato poco prima e che prima di loro l'aveva subito: gli ebrei fuggiti dai Paesi arabi sembravano i re del Paese solo perché dominano in maggioranza nei quartieri delle città periferiche.
II loro pop mizrahi — ritmo e amori sdolcinati — è tra i più ascoltati, conquista le feste di matrimonio e la programmazione delle radio. Così la ribellione di Kalkidan e degli altri cantanti etiopi all'assimilazione è stata quella di scegliere un'altra musica e altri modelli. Come scrive David Ratner nel nuovo saggio Listening to Blak: Black Music and Identity Among Young Ethiopian Immigrants in Israel: «Per proteggere le loro tradizioni e la loro identità hanno importato la cultura hip hop da un'altra nazione, convinti che gli afroamericani avessero già vissuto le stesse discriminazioni e trovato le risposte».
Ratner spiega che nelle stanzette dei ragazzi etiopi, i poster sono ancora quelli di Tupak Shakur, il rapper ucciso a Las Vegas vent'anni fa. Le parole di Tupak, le lotte che ha condotto negli Stati Uniti, hanno ispirato le manifestazioni degli etiopi nel 2015, le proteste contro gli abusi della polizia, gli arresti e i fermi per il colore della pelle. Amos Harel, analista militare del quotidiano Haaretz, fa notare che gli ebrei etiopi stanno cambiando l'esercito israeliano: scelgono le unità combattenti, si sacrificano per la difesa dello Stato, in cambio chiedono il riconoscimento. «La musica», continua Ratner, «non è un modo per estraniarsi dal resto della popolazione, li aiuta a capire come essere un nero in una società di bianchi».
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