Quante divisioni hanno le Ong?
Diario di viaggio, di Ugo Volli
Cari amici,
Come vi dicevo ieri, Israele è un paese realista, che misura attentamente i rapporti di forza e agisce, per quanto può e riesce, in termini estremamente razionali, cercando di trattare con i suoi interlocutori, amici o nemici, misurando attentamente la loro potenza, i loro gesti, gli effetti delle scelte che può fare nei loro riguardi. E’ un approccio che senza dubbio è prezioso e ha sempre funzionato almeno dai tempi in cui Herzl cercava interlocutori come l’Imperatore di Germania, il Papa e il Sultano di Costantinopoli; lo stesso hanno fatto poi Ben Gurion con gli inglesi e gli americani e Netanyahu continua a fare per esempio cercando un rapporto con la Russia, tradizionale alleato dei suoi nemici, nel momento in cui l’amministrazione americana mostra di voler abbandonare il campo mediorientale, o almeno di cercare di starne più lontana possibile.
Ma questo approccio realista ha un difetto, inevitabilmente tiene poco conto del livello propagandistico, politico, emozionale. Se si ragiona sugli interessi e sui rapporti di forza, le passioni sembrano contare poco e dunque anche l’informazione, la mobilitazione pubblica, la propaganda. Questa è la ragione per cui Israele, pur essendo ricco di persone competenti in campo giornalistico, ideologico, e perfino pubblicitario, ha sempre perso le battaglie di propaganda politica e gode di una fama negativa assolutamente immeritata nell’opinione pubblica europea e ormai anche americana. Non è solo l’antisemitismo di base che vive quasi inavvertito ma potente nell’inconscio collettivo di molte società europee, non solo i soldi del petrolio che molti stati arabi investono in grandi quantità nelle società di relazioni pubbliche più qualificate del mondo, conta anche proprio il fatto che Israele non si è mai posto fino in fondo il problema dell’opinione pubblica, ha pensato che bastasse parlare ai governi, avere ragione, comportarsi rettamente e fidare sulle proprie ragioni etiche e razionali – anche senza comunicarle. Ha ragionato cioè sull’informazione come Stalin faceva col Vaticano: quante armate ha il Papa? Oggi sappiamo che aveva torto.
Quello che le Ong contro Israele fingono di non vedere: il terrorismo palestinese
Per questa mancanza Israele non ha solo trascurato di esporre le proprie ragioni, ma ha anche assistito senza muovere quasi contromisure ufficiali al proliferare di cosiddette “organizzazioni non governative” (in gergo Ong) che agiscono all’interno di Israele contro Israele e in realtà non sono affatto non governative, perché traggono la maggioranza (talvolta quasi la totalità) dei loro fondi più o meno direttamente dai governi europei, da quello americano, dall’Unione Europea. Alcune di queste organizzazioni hanno nomi famosi come “Peace now”, “BeTzelem”, "Breaking the silence”, “Ir amim”, altre sono meno note. Tutte condividono i finanziamenti stranieri, la politica antisraeliana, una certa opacità nei finanziamenti. Una legge israeliana recente limita quest’ultimo difetto, obbligando tutte le associazioni riconosciute a rendere note le loro fonti di finanziamento, e il parlamento israeliano sta lavorando per renderla più chiara e stringente; ma non è affatto chiaro come sono spesi questi fondi, che rapporto vi sia fra gli scopi dichiarati delle organizzazioni, quelli contenuti nei progetti finanziati da stati e altre organizzazioni (tutti naturalmente positivi, ricchi di riferimenti alla democrazia e ai diritti umani) e le loro effettive attività.
Chi lavora su questo problema è una piccola organizzazione che abbiamo incontrato durante il nostro viaggio. Si chiama “Ngo monitor” (cioè in italiano “osservatore delle Ong”), ha un sito web (www.ngo-monitor.org) e svolge un’importante attività di analisi e di intervento su finanziatori e regolatori (dal parlamento europeo a quello israeliano) per informarli delle incoerenze, dei problemi, dei reati veri e propri che spesso si trovano nei bilanci e nelle attività di queste organizzazioni. E’ stata una conferenza importante, perché ha chiarito come il funzionamento di una rete fittissima di Ong da un lato dipenda economicamente da soldi europei e americani; esse cioè non sono affatto organizzazioni di volontariato autogestite e autofinanziate, ma vere e proprie agenzie professionali che pagano piuttosto bene i propri funzionari e negoziano le loro azioni con istituzioni che cercano di contrastare le politiche di Israele – come l’Unione Europea, certi stati europei come la Svezia, l’Olanda e l’Irlanda, e la Casa Bianca di Obama. Dall’altro lato questa rete di organizzazioni, formalizzando proposte e avanzando iniziative contro Israele, è anche in grado di influenzare le politiche europee. Per esempio i documenti che hanno portato alla decisione europea di etichettare le merci prodotte in Giudea e Samaria derivano a volte letteralmente da documenti delle Ong; e spesso l’attività di boicottaggio economico si avvale di questi stessi documenti. Del resto è noto come il rapporto Goldstone sulla guerra di Gaza, così sbagliato e squilibrato da essere alla fine rifiutato dal suo stesso autore, dipende in buona parte da affermazioni della Ong “Breaking the silence” specialmente attiva contro l’esercito israeliano, tanto da essere di recente indagata per spionaggio vero e proprio.
Insomma, le Ong hanno le loro divisioni o almeno i loro reggimenti. Ed è una fortuna che dal seno della società israeliana, non dalla politica, sia nata un’altra organizzazione che ha lo scopo se non di contrastarle, almeno di vigilare su quel che fanno.
Ugo Volli