Le lettere di Yoni Netanyahu, giovane eroe di Israele
Recensione di Antonio Donno
Yoni Netanyahu
La copertina
Come si legge nel risvolto anteriore del libro, le lettere di Yonathan Netanyahu sono un “involontario romanzo di formazione”. Sono le lettere che il giovane Yoni scrisse tra il 1963 e il 1976, anno in cui, trentenne, alla testa di un gruppo di commandos israeliani, compì una straordinaria azione che liberò più di cento ostaggi ebrei e israeliani che erano caduti nelle mani dei terroristi palestinesi e tedeschi a Entebbe, in Uganda, ma fu l’unico a perdere la vita in quella circostanza. E l’ultima lettera che scrisse all’amica Bruria il 29 giugno di quell’anno è la testimonianza di un giovane israeliano che sa che deve fare quello che fa, che “deve esserci dentro”, cioè nella storia e nel futuro di Israele, “un obbligo verso me stesso”.
Michele Silenzi è andato in Israele, si è innamorato del paese, della sua gente e del suo vivere nonostante tutto, ha avuto un colloquio con Benjamin Netanyahu, primo ministro di Israele e fratello minore di Yoni, gli è stato consentito di raccogliere le sue lettere ed ecco che questo magnifico volume (Yonathan Netanyahu, Lettere, a cura di Michele Silenzi, premessa e postfazione di Benjamin e Iddo Natanyahu, Macerata, Liberilibri, 2016, pp. 204, € 16) è insieme la storia di un giovane israeliano che ama il proprio paese e dello stesso Israele negli anni coperti dalle lettere di Yoni.
È facile cadere nella retorica quando si parla di un giovane eroe, ma noi stiamo parlando di Israele, di un paese la cui volontà di vivere si riflette nella vita quotidiana di ogni israeliano, che non cede e anzi si confronta con una realtà ostile, ma che fortifica l’ethos nazionale. E, come scrive Benjamin Netanyahu nella breve prefazione al libro, i genitori dei figli caduti “possano trovare conforto nel fatto che nel testamento di Yoni risuona l’eroismo di così tanti caduti figli di Israele”.
Nel gennaio del 1963, Yonathan e il fratello minore Iddo si trasferirono negli Stati Uniti insieme con i genitori e lì Yoni studiò. Ma gli Stati Uniti gli erano estranei, a differenza di tanti europei che vedevano in quel paese la meta dei loro desideri. Ma Yoni era figlio di Israele e ripeteva in una lettera a un amico: “E io voglio ritornare, ritornare, ritornare…la parola continua ad affiorare in superficie…senza scopo, senza speranza…però rodendomi, trafiggendomi, ferendomi”. Sentimentalismo giovanile? Per nulla. Qui sta l’inizio del romanzo di formazione di Yoni: “Sto aspettando di ritornare, e ricominciare a vivere”.
Quando scrive le prime lettere ha sedici anni, eppure si lamenta di aver vissuto quasi un quarto della sua vita avendo fatto poco o nulla per Israele. Ma presto ritroverà la sua ragione di vita. Meraviglioso giovane figlio di Israele. Nel luglio del 1964 si arruola nell’esercito israeliano: inizia la sua vera vita. Qui molta gente mediocre ha ritrovato se stessa e il senso della propria esistenza. Tsahal è una vera scuola di vita. “Ho sentito una fitta al cuore”, scrive Yoni, vedendo il suo paese dall’alto dell’aereo che atterra. Va subito nel Negev, “magnifico e sorprendente”. I corsi militari che Yoni segue sono descritti con entusiasmo: “Con ogni settimana che finisce, una quantità considerevole di nuova conoscenza è impiantata nei futuri ufficiali di Tsahal”.
L’esercito per Yoni diventa una scuola di formazione umana, morale, esistenziale, di un valore così impareggiabile perché è l’esercito di Israele: “Nell’esercito ho imparato ad apprezzare la bellezza della vita, l’immenso piacere del sonno, il gusto dell’acqua, che è unico, l’insuperabile valore della forza di volontà, e tutte le meraviglie che un uomo può cogliere se soltanto vuole”. È questo il segno di una personalità vera: “Se soltanto vuole”. Yoni divenne ben presto ufficiale e le sue lettere ai genitori e ai fratelli dimostrano la fierezza e l’estremo orgoglio per il risultato raggiunto. Descrive minuziosamente i suoi addestramenti, poi è impegnato per la prima volta in azioni di rappresaglia, mentre si avvicina la data fatidica del giugno 1967. Scrive ai suoi nell’ottobre 1966: “La guerra incombe sopra le nostre teste […]. Nell’esercito sono tutti impazienti, quando finalmente contrattaccheremo? Abbiamo completa fiducia nella nostra forza. Siamo capaci di tutto”. Splendido. Nelle sue parole risuona la stessa fiducia dell’Israele di oggi, una continuità di sentimenti, di passione, ma soprattutto di certezze di un paese ancorato alla propria forza, cioè alla radice del suo futuro.
Yoni Netanyahu
Più si avvicina la guerra, più Yoni si fortifica: “Ho raggiunto la sicurezza, che prima sentivo di possedere ma che non aveva alcuna giustificazione, che potevo cavarmela dappertutto nel mondo”. Perché ora vi è una giustificazione per la sua sicurezza? Perché è in ballo l’esistenza stessa della sua Patria e lui è un soldato di Israele. Ma c’è posto anche per i sentimenti familiari, indistinguibili da quelli per il proprio paese: “Amati mamma, papà, Bibi, Iddo, poche ore fa ho ricevuto la tua lettera, papà. Quanto amore e comprensione c’erano in quelle righe! Come faccio a tranquillizzarvi? Qualsiasi cosa vi dirò vi lascerà dubbiosi e angosciati. Ma non preoccupatevi troppo. Non c’è davvero motivo”.
Israele stravince e la gioia di Yoni e di tutto il paese è irrefrenabile. L’ammirazione popolare per l’esercito israeliano è immensa. Yoni è orgoglioso di sé e di tutti i suoi compagni insieme: “Avreste dovuto vedere i nostri uomini combattere! Non c’è nessun esercito come il nostro! Nessuno! […] Non c’è forza che possa fermarlo”. Mai, nelle lettere di Yoni, una parola di disprezzo per il nemico. Dopo un breve periodo a Harvard, Yoni passa alla Jewish University. L’America non fa per lui. Si sposa. Nel 1969 ritorna nell’esercito, la sua vera casa, la ragione della sua vita: “L’esercito offre un ampio raggio di possibilità per sviluppare e testare idee. Inoltre, lì non trovi tutto il senso di impotenza, l’ipocrisia (a volte), la burocrazia e l’indifferenza che trovi al di fuori di esso”.
L’amore di Yoni per l’esercito si rivela nelle sue lettere come un amore per Israele senza ombre, né tentennamenti. L’esercito è la fucina dei giovani israeliani durante la leva, ma soprattutto dopo, quando, tornati alla vita civile, sanno che il paese è grato a loro perché essi permettono quotidianamente non solo la difesa, ma anche la continuità di un ethos nazionale che è il cemento della vita collettiva e la speranza per il futuro. Yoni torna a Harvard ma si sente fuori posto in un paese dove i giovani “[…] sembrano incapaci di progredire oltre uno stato infantile”. Un giudizio molto pesante che, però, viene da un giovane israeliano che si è formato nelle grandi difficoltà di un paese sempre assediato e che è diventato precocemente uomo per difenderlo.
Terminata la guerra dello Yom Kippur (1973), Yoni, che s’era battuto con grande coraggio e aveva ottenuto un riconoscimento, nelle lettere ai genitori esprime un sentimento misto di orgoglio per l’ennesima vittoria, che fortifica Israele, e di consapevolezza che il popolo israeliano ancora si illude di poter trovare un accordo definitivo con gli arabi. Per Yoni la realtà, invece, è chiara: “Il buon senso dice a loro che gli arabi non hanno abbandonato la loro mira di distruggere Israele; ma la tendenza ad auto-illudersi e a ingannarsi che ha da sempre contagiato gli ebrei è di nuovo al lavoro”. Le lettere successive alla fine della guerra esprimono un senso di nostalgia per la passata giovinezza e un’intima necessità di riposo. Sembra quasi che Yoni, dopo anni di strenuo impegno in prima linea e di adesione entusiasta alle ragioni della sua Patria, desideri un periodo di riposo mentale più che fisico. Non è disilluso, anzi, è solo stanco: “In questo momento fermo la frenetica corsa in avanti, il bisogno di finire il lavoro in tempo, smetto di pensare alla situazione in cui si trova il Paese, a tutto quello che deve essere portato a compimento, alla folle corsa per fare sempre di più, al tempo che non è mai abbastanza, a ogni cosa”.
Yoni sembra svuotato di energie: “Avrò l’energia di ricominciare tutto daccapo?” Sì, perché la Patria lo chiama ancora. È l’ora di Entebbe. La fine di un giovane eroe di Israele. Michele Silenzi è meritevole del più grande elogio, perché ci ha riconsegnato una parte della storia di Israele attraverso le lettere di uno dei suoi figli più generosi.
Antonio Donno