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Il Sole 24 Ore Rassegna Stampa
28.03.2016 Il Talmud babilonese in italiano, per la prima volta
Recensione di Giulio Busi

Testata: Il Sole 24 Ore
Data: 28 marzo 2016
Pagina: 21
Autore: Giulio Busi
Titolo: «Il Talmud rinasce dai roghi»

Riprendiamo dal SOLE 24 ORE di domenica 27 marzo, a pag. 21, con il titolo "Il Talmud rinasce dai roghi", la recensione di Giulio Busi di "Talmud babilonese. Trattato Rosh haShanah (Capodanno)", curatore Riccardo Shemuel Di Segni, Giuntina, Firenze, pagg. 416, € 40 (in libreria dal 5 aprile).

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Giulio Busi

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È il libro più vilipeso, cancellato e bruciato della storia occidentale. Portato al rogo a carrettate, imbratta to d’inchiostro per renderne illeggibili le carte, letteralmente strappato di mano ai suoi lettori. Che il Talmud approdi ora a una traduzione integrale in italiano, con i fondi e l’interessamento dello stato, è una giusta, seppur tardiva riparazione a tanti torti. C’è qualcosa, nell ’opera smisurata, imbastita da generazioni di maestri ebrei, che l’ha resa capace di tener testa all’incomprensione e al malanimo. Credo che l’energia che circonda queste migliaia e migliaia di parole, e che le conserva ancor oggi ben vitali, sia il loro carattere corale.

Il Talmud è innanzitutto una raccolta di norme giuridiche, d’interpretazioni e di opinioni sul la legge ebraica. Ma è ancor di più una grande narrazione a infinite voci. Nasce in un’età, quella dei primi secoli dell’era volgare, in cui il popolo d’Israele ha perso la propria autonomia politica. Il Tempio è distrutto, Gerusalemme in mano agli stranieri, l’esilio è destino obbligato e quotidiano. Dalle rovine del passato, e dalla dispersione, non sgorgano opere di singoli, voci intimistiche di sconforto. Non è più il tempo dei profeti biblici, che, coraggiosi e solitari, s’ergevano ad ammonire sovrani o a inveire contro gli errori e le sconsideratezze dei loro correligionari. A una sciagura collettiva, la società ebraica risponde con un progetto intellettuale altrettanto collettivo. Sono i rabbini, ovvero i maestri della tradizione, a farsi carico dell’impresa. Non sono sacerdoti (il Santuario non funziona più, e il sacrificio è stato sospeso). Non sono dignitari altolocati, spesso appartengono a una classe modesta: fabbri, calzolai, piccoli commercianti. Ma sono assieme, sanno fare gruppo. Si trovano per studiare, per pregare, per discutere, per vedere chi conosca meglio la Bibbia, chi ne capisca di più, chi l’ami d’un amore più devoto.

Dimenticatevi la cultura dei grandi poeti, o degli scrittori altezzosi. Sfogliando le pagine del Talmud entrerete spesso in case dimesse, verrete a sapere di fatti quotidiani, leggerete qualche volta di comari e di pescatori, di sgualdrine e di ladri. Non è forse vero che la legge s’applica a tutti, e che i precetti del Signore valgono per l’intero Israele, senza eccezioni? Per i ricchi e per i poveri, per i pii e per chi è tentato di trasgredirli, i comandamenti, spesso e volentieri. I maestri studiano e studiano, voltano e rivoltano ogni versetto dell a Scrittura. Se fosse un giardino fiorito, diresti che questi giardinieri troppo zelanti l’hanno messo sotto sopra. Ma la Bibbia, per i rabbini, è come un campo da rendere fertile col lavoro. Più viene dissodato, più le interpretazioni si accumulano l’una sull’altra, migliore sarà il raccolto. E non pensiate che vadano sempre d’amore e d’accordo. Il Talmud è pieno di discussioni, di dispute, e di qualche sonoro diverbio.

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Una pagina di Talmud

 Perché non si può amare se non ci si appassiona, e la passione scalda. In una celebre pagina del trattato Bava Mezia, Rabbi Eliezer è talmente convinto di aver ragione, che chiama a proprio testimone una voce celeste. Ed ecco, puntualmente, che la voce dall’alto si mette dalla sua parte. Credete che i colleghi se ne stiano zitti? Nemmeno per sogno. Un altro rabbi, senza scomporsi, ha da ridire persino sul cielo. Da quando la Torah è stata data agli uomini, sostiene, è affar loro capirla e metterla in pratica. Persino Dio deve rimanersene buono: sulla terra, è la maggioranza dei saggi che decide, liberamente, e guai a intromettersi.

Una simile democrazia basata sullo studio, e siffatto orgoglio intellettuale, mansueto sì ma indomito, non potevano passare inosservati. Il Talmud, che è il documento più importante della cultura rabbinica, esprime una consapevole scelta di autonomia. Fonda l’indipendenza giuridica di Israele, poiché unisce la legge biblica alla vita quotidiana dell’esilio. E stabilisce allo stesso tempo il prestigio e la legittimazione dei maestri, che danno voce all’identità del gruppo ebraico. Per lunghi secoli, la Chiesa ha mal sopportato l’opera, perché l’ha considerata il baluardo della “cocciutaggine” ebraica. In altre parole, se gli ebrei non vogliono convertirsi, se rimangono fedeli alle loro tradizioni, la colpa sarà di questo loro manuale di resistenza. Distrutto il libro, tolto di mezzo l’ostacolo. Ed ecco che fioccano i divieti e le persecuzioni.

Dalle bolle del Medioevo e dell’età della Controriforma, è tutto un accanirsi contro il Talmud, considerato blasfemo (conterrebbe passi contro Gesù) o falso o sciocco. Nella sua bolla Etsi doctoris gentium, pubblicata nel 1415, l’antipapa Benedetto XIII dà voce in maniera inequivocabile alla corrispondenza tra Talmud e autodeterminazione ebraica: «Poiché è manifesto... che la causa prima della cecità giudaica... è una certa dottrina perversa... che fu formulata dopo Gesù e che gli ebrei chiamano Talmud... abbiamo stabilito che nessuno possa presumere di ascoltare, leggere o insegnare tale dottrina». Confische, censure, roghi, a intervalli regolari il libro ha rischiato l’estinzione. E ogni volta, gli sforzi degli inquisitori sono stati vani. È vero che i manoscritti antichi sono rarissimi, a causa delle persecuzioni, ma è altrettanto certo che il Talmud è come un fiume contro cui si sono costruiti argini e si sono ammassate dighe, senza metterlo mai in secca.

Un autore solo lo si poteva cacciare in prigione, e bruciare. Ma cento, mille? Nel 1553, per volere di Giulio III, si fece un gran falò di copie del Talmud a Campo de’ Fiori, a Roma. Ad andare in cenere furono carte e pergamene, l’opera continuò a circolare. La diaspora era vasta, molto più capiente di una piazza o di una città. D’altronde, anche tra gli intellettuali cristiani del Cinquecento cominciava ad affacciarsi il dubbio che tali metodi non risolvessero poi granché. «Prima di bruciare un libro», aveva scritto l’umanista tedesco Johannes Reuchlin a difesa del Talmud, «sarebbe meglio leggerlo». Verità indiscutibile, e che metteva a nudo il problema. Invece di distruggerlo per partito preso, perché non provare a capirlo, questo mondo rabbinico? Nonostante i buoni propositi di alcuni, nessuno aveva tentato finora di portare in italiano tutto il Talmud babilonese, quello approntato nelle antiche terre di Mesopotamia. Il manipolo di esperti guidato da Rav Riccardo Di Segni s’è messo all’opera di buona lena, coadiuvato dal Cnr. Ci vorranno anni, e ci sarà lavoro per molte mani e per molte teste, che è poi il modo migliore di dire, e di fare, Talmud.  

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