Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 27/03/2016, a pag.1/ 21, l'editoriale di Maurizio Molinari dal titolo " Ognuno di noi può fare la differenza"
Ecco un buon consiglio, invitiamo i lettori di IC a seguirlo!
Maurizio Molinari
Se lo Stato Islamico insanguina l’Europa attaccando le nostre città c’è qualcosa che ogni singolo cittadino può fare per aumentare la sicurezza collettiva. Per capire di cosa si tratta bisogna tornare alla mattina del 22 marzo a Bruxelles quando un tassista va a prendere i tre terroristi rispondendo alla chiamata e si trova davanti ad una situazione anomala: hanno tre grandi valigie, hanno difficoltà a farle entrare nel bagagliaio e non vogliono che lui le tocchi. Il tassista - la cui identità ancora non è stata rivelata - si oppone alla terza valigia, fa caricare le altre due e porta i passeggeri a destinazione, ovvero all’aeroporto dove realizzeranno la strage. Da un lato il tassista previene un attacco ancora più devastante, impedendo d’istinto di portare la terza valigia, ma dall’altro non reagisce all’evidente anomalia di passeggeri che non lo vogliono far avvicinare ai bagagli. Se avesse avvertito la centrale dei taxi, un qualsiasi agente o anche un vigile urbano al primo incrocio forse l’attacco avrebbe potuto essere evitato. Poiché la campagna di attacchi jihadisti contro l’Europa avviene dentro le città sono i cittadini a poter essere decisivi nella prevenzione. Non si tratta di comportarsi da eroi, rischiare la vita o trasformarsi in vigilantes quanto piuttosto di essere consapevoli che notare un’anomalia, un atteggiamento insolito, può aiutare a prevenire delle stragi. Dopo gli attacchi dell’11 settembre 2001 il sindaco di New York, Michael Bloomberg, fece affiggere nella metro i poster «If you see something, say something» - se vedi qualcosa, di’ qualcosa - e l’1 maggio 2010 proprio questo avvenne a Times Square quando due ambulanti, Lance Orton e Duane Jackson, videro del fumo uscire da una vettura parcheggiata davanti al Minskoff Theatre ed avvertirono gli agenti, consentendo di sventare il piano del pakistano-americano Faisal Shahzad di portare la morte fra il pubblico del musical «Lion King». Sempre un civile, lo scorso 19 novembre, ha impedito ad un palestinese armato di coltello di avventarsi sui fedeli della sinagoga nel Panorama Building di Tel Aviv affrettandosi - pur ferito - a chiudergli in faccia la porta di accesso e chiamando gli agenti, che lo hanno catturato. In almeno due occasioni hostess e passeggeri hanno sventato una tragedia dei cieli pianificata da Al Qaeda: sul volo Parigi-Miami del 22 dicembre 2001 immobilizzando l’anglomusulmano Richard Reid che voleva far esplodere le proprie scarpe e sul volo Amsterdam-Detroit del 25 dicembre 2009 bloccando il nigeriano Umar Farouk Abdulmutallab con indosso un micro-ordigno chimico. Alla base di tali comportamenti di singoli cittadini c’è una reazione istintiva davanti al possibile rischio personale e collettivo, frutto della convinzione che ogni singola persona può fare la differenza nella difesa del prossimo. E’ un’idea di sicurezza che nasce come reazione ad una nuova forma di minaccia. Se il nemico si presenta in abiti di civili, si cela in luoghi pubblici e colpisce all’improvviso il più importante alleato delle forze dell’ordine e dell’intelligence è il singolo cittadino. Si tratta di consolidare dal basso un patto sociale fra abitanti e forze di sicurezza dove la collaborazione sta nel rilevare comportamenti in stridente contrasto con la normalità: una borsa incustodita sulla metro, fili elettrici che escono da un giubbotto come una valigia pesante che è proibito toccare sono solo alcuni esempi. Un altro fronte della collaborazione possibile da parte dei singoli riguarda le famiglie dei terroristi: gli studi condotti in Gran Bretagna e Francia sui giovani - uomini e donne - che hanno scelto di abbandonare case e genitori per arruolarsi nel Califfato di Abu Bakr al-Baghdadi suggeriscono che quasi sempre lo hanno fatto di nascosto dai parenti, che però avevano spesso intuito che qualche trasformazione era avvenuta. Poiché sono le famiglie dei jihadisti le prime vittime del volontariato a favore in Isis - per le devastanti conseguenze che comporta sul piano umano, sociale ed economico - possono essere proprio loro la più importante cerniera di sicurezza. Avvertendo le autorità sulle pericolose trasformazioni intervenute nei propri figli contagiati dall’ideologia della violenza disseminata dallo Stato Islamico. Al fine di prevenire il peggio, ovvero impedirgli di intraprendere la strada della Jihad. A sottolineare l’importanza del ruolo dei civili nel conflitto in corso è stato d’altra parte lo stesso Califfato, nel pamphlet «Muslims in Europe» dove suggerisce ai jihadisti di dare vita ad «attività di soccorso e beneficenza» per generare una cornice di consenso nei quartieri abitati in prevalenza da musulmani, al fine di garantirsi l’omertà dei vicini, considerata la migliore protezione possibile. Ecco perché nella guerra in Europa fra democrazie e terroristi ad essere decisivi possono essere i singoli cittadini, nessuno escluso.
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