Troppo ambigue quelle condanne islamiche al jihad
Analisi di Valentina Colombo
Fratellanza Musulmana
a destra Valentina Colombo
L’ennesima tragedia perpetrata sul suolo europeo dai seguaci dello Stato Islamico a distanza di pochi mesi dagli attentati di Parigi ripropone la ormai annosa questione della condanna del terrorismo da parte dei musulmani e delle organizzazioni che dicono di rappresentarli.
Ebbene, le condanne “forti” e ufficiali ci sono state a partire dalla Federazione delle Organizzazioni Islamiche in Europa (FIOE) cui fanno riferimento le associazioni dell’islam politico europeo, legato ideologicamente alla Fratellanza Musulmana, dalla Ligue des Musulmans de Belgique all’Union des Organisations Islamiques de France (UOIF), dall’Unione delle Comunità e delle Organizzazioni islamiche in Italia (UCOII) alla Islamische Gemeinschaft in Deutschland (IGD).
Condanne che sono arrivate puntualmente dopo ogni attentato jihadista a partire dall’ormai lontano 11 settembre, ma che non hanno né impedito il dilagare dell’ideologia jihadista né arginato la radicalizzazione dei giovani musulmani.
La ragione dell’inutilità e dell’inefficacia delle suddette condanne non va però individuata solo nella non rappresentatività dell’islam politico, ovverosia nel fatto che queste organizzazioni rappresentano solo una percentuale microscopica della presenza islamica in Europa, bensì nell’opportunismo e nel relativismo delle loro condanne.
Opportunismo perché le organizzazioni dell’islam politico agiscono sul territorio europeo e hanno come referenti le istituzioni che le riconoscono e nelle quali vorrebbero “integrarsi”/infiltrarsi.
E’ quindi opportunisticamente necessario prendere le distanze dal jihadismo esplicito e conclamato dello Stato Islamico e di Al Qaeda.
Vivendo da minoranze sul territorio europeo, la condanna di attentati che colpiscono quest’ultimo è per il momento scontata poiché, come spiega sia la “giurisprudenza delle minoranze” islamiche elaborata da Yusuf Qaradawi sia
Tariq Ramadan, l’Europa non è da considerarsi un territorio della guerra (dar al-harb), ma il territorio della testimonianza (dar al-shahada) dove diffondere l’islam. Quindi la priorità dell’islam politico in Occidente non è il jihad, bensì la diffusione del messaggio di Allah che consiste sia nel convertire i non musulmani sia nel riconvertire i musulmani ‘tiepidi’.
Ma convertire all’islam politico, sul modello delineato da Hasan al-Banna e dai suoi successori, significa allontanare il pericolo di derive verso il jihadismo o la radicalizzazione? Purtroppo la galassia di organizzazioni, associazioni culturali e caritatevoli che ruotano intorno alla Fratellanza se condannano gli attentati di Bruxelles, Parigi, Londra, New York, Ankara, non hanno mai annunciato la fine dell’istituzione del jihad in quanto storicamente sorpassata poiché figlia in una società e in un’epoca in cui lo scontro armato era naturale.
Basta uno sguardo al profilo Facebook dell’International Union of Muslim Scholars, guidata da Yusuf Qaradawi che è il referente spirituale della Fratellanza a livello globale e di cui è diventato membro di recente anche Tariq Ramadan, per comprendere il relativismo che riguarda la condanna e la definizione del terrorismo.
Colpisce, ad esempio, che il comunicato di condanna dell’attentato terroristico di Bruxelles che ha colpito “vittime innocenti” sia preceduto e seguito dalle dichiarazioni di Raed Salah, leader del Movimento islamico in Israele, che nel novembre 2014 durante un sermone ha dichiarato: “Se Allah vuole, Gerusalemme diventerà presto la capitale del califfato globale. Il califfato diffonderà la giustizia su tutti i territori, dopo che questi sono stati colmati di ingiustizia dall’America, dai Sionisti, dai batiniyya, dai reazionari, dal paganesimo e dai crociati”.
Nel 2003 Qaradawi stesso, che oggi condanna gli attentati di Bruxelles, durante l’11ma sessione del European Council for Fatwa and Research tenutasi a Stoccolma, spiegò che “se è lecito uccidere musulmani innocenti che sono trattenuti al fine di proteggere la più grande comunità islamica, è a maggior ragione lecito uccidere non musulmani per liberare la terra dei musulmani dagli occupanti e dagli oppressori.”
Non stupisce quindi ritrovare tra i firmatari dell’appello al jihad in Siria pubblicato nel giugno 2013 non solo Yusuf Qaradawi, ma anche Rached Ghannouchi, leader di Ennahdha in Tunisia, e numerosi altri personaggi legati all’islam politico europeo. E’ quindi lecito affermare che oggi, per l’islam politico, il jihad sia à la carte: non serve in Occidente, ma va dichiarato e sostenuto in Siria, in Palestina, in Egitto e in ogni luogo e in ogni momento in cui si renda necessario ricorrere alla forza.
Ebbene, credo sia giunto il momento di non accontentarsi più delle condanne di rito, di apparenza e convenienza di chi condivide l’ideologia di Yusuf Qaradawi e dei suoi accoliti che, se vogliono essere credibili e contribuire alla sicurezza dell’Europa in cui operano e al mondo in cui vivono, dovranno una volta per tutte dichiarare conclusa e archiviata la “porta del jihad” senza se e senza ma e dichiarare che eventuali guerre saranno dichiarate da Stati riconosciuti a livello internazionale.
Dichiarare abolita l’istituzione del jihad significherà sbarrare la strada all’arbitrio umano di Abu Bakr al-Baghdadi, di Zawahiri e di Qaradawi che, a seconda dei loro capricci e fini, hanno invocato il jihad.
L’Europa deve essere ferma, irremovibile nell’esigere dal European Council for Fatwa and Research, presieduto da Qaradawi, dalla FIOE che lo ha fondato e da tutte le organizzazioni che fanno riferimento a queste istituzioni e alla loro ideologia, un impegno a prendere misure in questa direzione e a non invitare in Europa alcun predicatore che abbia giustificato il jihad, a prescindere dal luogo.
Non è più il momento di vuote condanne, è il momento di responsabilità e verità perché il relativismo sulla sacralità della vita non deve più essere accettato per il bene di europei cristiani, ebrei, musulmani e senza religione.