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La Stampa Rassegna Stampa
20.03.2016 Talmud babilonese: in italiano il primo volume
Cronaca e commento di Ariela Piattelli, Elena Loewenthal

Testata: La Stampa
Data: 20 marzo 2016
Pagina: 26
Autore: Ariela Piattelli-Elena Loewenthal
Titolo: «Talmud Babilonese, 50 studiosi al lavoro, in libreria il primo volume-La summa del pensiero ebraico»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 20/03/2016, a pag.266/27, due articoli sull'uscita in italiano del primo volume del Talmud babilonese.

Ariela Piattelli: " Talmud Babilonese, 50 studiosi al lavoro, in libreria il primo volume"

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                                                           Ariela Piattelli

Per la prima volta il Talmud Babilonese, opera fondamentale della tradizione ebraica, viene tradotto in italiano. Il 5 aprile all’Accademia dei Lincei a Roma, il primo volume sarà consegnato al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, alla presenza del Ministro Giannini e del Rabbino israeliano Adin Steinsaltz, che ha tradotto il Talmud in ebraico moderno. Dal 2011 Nel 2011 con la firma del protocollo d’intesa da parte della Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Miur, il Cnr, e l’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, prendeva il via il «Progetto di Traduzione del Talmud Babilonese», di cui il Rabbino Shmuel Riccardo Di Segni e Clelia Piperno (Direttore del Progetto) sono stati gli ideatori e i motori. Ci sono voluti cinque anni per dare alla luce il primo trattato in italiano, perché si tratta di un lavoro molto complesso: attualmente il team di 50 studiosi sta traducendo 13 trattati in contemporanea, e la road map prevede la traduzione di 2 o 3 volumi all’anno. Il Talmud consiste in 5422 pagine di insegnamenti dei Maestri, a partire da oltre 2000 anni fa. Il testo, suddiviso in ordini e trattati, è diventato la fonte del diritto ebraico, ma anche di scienza, esegesi e storia. Il primo volume in italiano (pubblicato da La Giuntina) contiene il trattato di Rosh haShanà (Capodanno ebraico), ed è diviso in quattro capitoli. Ogni capitolo inizia con una Mishnà (Torà orale) alla quale segue la Ghemarà (commento). I temi centrali sono il calendario e il capodanno. I capodanni Nella tradizione ebraica ci sono quattro capodanni, e ognuno ha la sua funzione. Il trattato inizia con la descrizione e la discussione rabbinica sui capodanni, dedicando una parte significativa al più importante, quello di fine estate-autunnale, Rosh haShanà. Il calendario ebraico si basa principalmente sul ciclo lunare: l’anno solare è più lungo di quello lunare, e per evitare lo sfasamento di alcune festività, come Pesach (la Pasqua ebraica, legata alla primavera) dopo alcuni anni si aggiunge un mese, Adar Rishon (Primo Adar). Anticamente il Sinedrio, l’autorità centrale di Gerusalemme, raccoglieva e verificava le testimonianze di coloro che avvistavano la luna, per determinare l’inizio del mese. Dio sovrano Il Capodanno cade nel calendario il primo del mese di Tishrì, giorno al quale la tradizione attribuisce la creazione dell’uomo. La ricorrenza celebra la sovranità di Dio sul creato, e l’unità del genere umano. Rosh haShana è anche il Giorno del Giudizio, perché lo si celebra dedicandosi all’esame e alla riflessione sui comportamenti tenuti durante l’anno, pentendosi, invocando il perdono di Dio, e la Teshuvà (ritorno o risposta), atto di coscienza, di consapevolezza, volto a migliorare il futuro. Così come Dio ha il potere di cominciare, l’uomo con la Teshuvà può ricominciare. Nel Talmud si legge «Disse rabbi Yochanan: Grande è l’efficacia della Teshuvà che annulla la sentenza negativa sull’uomo…». Tra ricordo e futuro Il trattato si concentra sul precetto principale di Rosh haShanà, il suono dello Shofar (corno di ariete) e se ne discutono le caratteristiche e i dettagli. Il suono del corno, che ricorda il sacrificio di Isacco, ripercorre la storia dell’uomo, gli errori e le azioni meritevoli. Il suono non si rivolge soltanto al passato, ma serve anche per ricordare come deve essere il futuro. A rappresentare le due dimensioni sono il suono iniziale e quello finale: entrambi diretti, lineari e continui, senza inflessioni, che simboleggiano la perfezione dell’atto della creazione e della redenzione messianica.

Elena Loewenthal: " La summa del pensiero ebraico" 

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Elena Loewenthal

In ebraico si chiama Torah she beal peh, «Torah che sta sulla bocca». Ma la tradizione orale dei figli d’Israele è un immenso corpus scritto, redatto lungo una catena di secoli. Il suo cuore è il Talmud, parola ricavata da una radice che significa «imparare» e «insegnare»: «ho imparato molto dai miei maestri», dice un rabbino, ma ho imparato di più dai miei allievi». Di Talmud ne esistono due, uno di Gerusalemme e uno di Babilonia, che è quello per antonomasia, arrivato intorno al V-VI secolo nella sua forma attuale: 5422 pagine fitte. Summa di fede scritta in due lingue, ebraico e aramaico, il Talmud contiene prima di tutto materiale legale, ma non è estraneo a nessun campo dell’antico sapere, dall’astronomia alla medicina. La sua forma è quella del verbale di discussione, di un «domanda e risposta» che parte dal versetto biblico e procede all’infinito. Testo aperto per eccellenza, il Talmud si legge con un metodo non dissimile da quello della pagina web con i suoi rimandi, cioè i link, in un continuo cammino di interpretazione. Il progetto della prima traduzione in italiano del Talmud è siglato in un protocollo di intesa fra Presidenza del Consiglio dei Ministri, Miur, Cnr e Unione delle Comunità Ebraiche Italiane il 20 gennaio del 2011. Riccardo Di Segni, rabbino capo della comunità di Roma, medico e studioso, è il presidente del consiglio di Amministrazione nonché del comitato di coordinamento di questa opera davvero immensa. Come è nato questo progetto, rav Di Segni? «Quasi per caso. Mi sono detto: proviamo a proporre la traduzione del Talmud in italiano. Sotto sotto ero convinto che si trattasse di una missione impossibile. Ho avviato sondaggi informali, e mi sono reso conto che c’era un reale interesse da parte delle istituzioni dello stato. Questo sostegno è stato fondamentale. Così ci siamo rimboccati le maniche e abbiamo messo su uno staff capace. Ora abbiamo una squadra di circa cinquanta studiosi fra traduttori esperti, traduttori in formazione, istruttori, redattori. E’ davvero una operazione enorme, ma anche innovativa. Abbiamo costruito un apparato di note e di schede illustrative fatto apposta per entrare in questo universo religioso, culturale, intellettuale». Quale è stata la maggiore sfida traduttiva di un testo così antico, complesso? «Malgrado la sua mole il Talmud è un testo terribilmente sintetico, ricco di termini tecnici, senza interpunzione. E’ tutto fatto di domande formulate in modo lapidario e di risposte altrettanto brevi: ogni frase va sciolta. Quasi una stenografia. Abbiamo fornito una traduzione parola per parola con una serie di inserimenti in neretto che danno corpo alla prosa. La traduzione è insomma una continua parafrasi, un commento al testo originario. Queste sono le difficoltà intrinseche del Talmud. Che si riflettono anche nella lingua di destinazione, ovviamente. Abbiamo anche dovuto “reinventare” l’italiano. Come ad esempio nell’espressione “uscire d’obbligo”, che ricorre frequentemente nel Talmud e che così abbiamo lasciato perché il suo senso è chiaro. Ma è una sorta di neologismo fraseologico, a ben guardare. E poi c’è naturalmente un ricco apparato di commento, approfondimenti, spiegazioni». Questa traduzione del Talmud si avvale non soltanto della competenza di un folto gruppo di esperti – quasi un’evocazione di quei Settanta Saggi confinati ciascuno in un’isoletta diversa del delta del Nilo e impegnati alla traduzione in greco della Torah… E’ anche il frutto di una tecnologia al servizio di un mestiere molto antico, non è vero? «Il finanziamento pubblico stanziato per quest’opera ha implicato il coinvolgimento di grandi strutture di ricerca, prime fra tutte il Cnr e l’Istituto di linguistica. Così è stato elaborato un software apposito. In parole povere, il traduttore non usa Word ma un sistema centralizzato che sulla base dei dati ricevuti suggerisce la traduzione, la resa in italiano di espressioni, frasi, modelli espressivi. Una resa che è naturalmente non casuale ma frutto di lavoro, di grande approfondimento. Dunque i nostri traduttori non sono affatto ognuno su un’isola deserta… c’è una comunicazione continua, un passaggio di esperienze di lavoro e scelte traduttive che diventa bagaglio lessicale. E’ davvero un metodo nuovo di lavoro, che posso immaginare verrà esportato in altri campi». I rabbini, gli studiosi, i talmudisti conoscono e frequentano il Talmud nella sua versione originale? Qual è il destinatario di questa traduzione italiana, la prima a circa millecinquecento anni dalla redazione di questo testo? «Il Talmud è un testo fondamentale per la cultura universale. È la summa del pensiero e della parola del popolo ebraico. Direi che questa traduzione si offre a diversi livelli di pubblico. Lo studente, il curioso, lo studioso. Se ho bisogno di leggere o consultare un passo della Patristica greca dispongo di traduzioni “storiche”, del corpus completo di questo patrimonio, vuoi in italiano vuoi in un’altra lingua moderna. Ho studiato il greco al liceo, ma non sono più in grado di affrontare questi testi nella loro lingua originale… Questo discorso vale non meno per il Talmud, che è un patrimonio universale di cui tutti devono poter disporre. E noi stiamo offrendo con questo testo non solo una traduzione accurata e moderna, ma anche un immenso thesaurus di sapere, di conoscenze ed esperienza intellettuale».

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