venerdi 20 settembre 2024
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Lo dice anche il principe saudita Bin Salman: Khamenei è il nuovo Hitler


Clicca qui






La Stampa Rassegna Stampa
11.03.2016 L'Italia zona di transito dei terroristi
Cronaca di Francesco Semprini

Testata: La Stampa
Data: 11 marzo 2016
Pagina: 15
Autore: Francesco Semprini
Titolo: «Quel gruppo di jihadisti venuti in Italia da Guantanamo»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 11/03/2016, a pag.15, con il titolo "Quel gruppo di jihadisti venuti in Italia da Guantanamo", la cronaca di Francesco Semprini.

Immagine correlataImmagine correlata
Francesco Semprini     Guantanamo

C’è un filo conduttore che percorre le vicende del terrorismo islamico da Est ad Ovest, un viaggio di andata e ritorno che attraversa l’Italia e approda sulla sponda sud del Mediterraneo. Un filo conduttore che lega vecchia e nuova jihad, dall’11 settembre 2001 al califfato, e ha come comune denominatore la Tunisia. Da lì proviene Fezzani Moez, «foreign fighter» della prima ora, partito alla volta dell’Afghanistan sotto il vessillo qaedista, catturato in Pakistan e trasferito nel carcere di Guantanamo. Lì ha trascorso alcuni anni prima di essere spedito dagli Stati Uniti in Italia nel 2011. Viene espulso, ma dalla Tunisia dirotta sulla Libia approfittando del caos post-primavera araba, e diventa un alto rango della jihad: la sua colonna è a Derna, anche se i dossier dell’intelligence lo danno oggi operativo a Sabratha. Il nome di Morez, alias Abu Nassim, va di pari passo con quello di Nasri Riadh Ben Mohammed, anche lui veterano dell’Afghanistan dove gestiva «il covo tunisino», il centro di smistamento dei volontari del Paese maghrebino che aderivano alla causa di Bin Laden. Il covo si trovava a Jalalabad, dove Nasri era conosciuto come Abu Doujana e dove viene catturato: anche lui finisce a Guantanamo, nel 2010 viene trasferito in Italia. Una volta espulso torna a fare lo jihadista tra Tunisia e Libia. Un terzo nome eccellente è quello di Adel Ben Mabrouk, anche lui veterano dell’Afghanistan, detto «il barbiere» per il lavoro che faceva in Italia prima di aderire alla guerra santa. Anche lui passa per la prigione cubana, e approda nel 2009 in Italia. Viene rilasciato dopo un periodo di carcere duro in Sardegna nonostante le inchieste dove compare come indiziato: ne approfitta e riparte per il fronte, la sua parabola jihadista termina con la morte in Siria, forse tra i ranghi di Al Nusra. Questi tre nomi, secondo le ricostruzioni, avrebbero a che fare con la «cellula di Milano», costola del nucleo combattente tunisino. Alcuni di questi sono stati arrestati, estradati in Tunisia e liberati durante le Primavere arabe, e hanno dato vita ad Ansar Al-Sharia, principale indiziato degli attacchi contro gli stranieri dello scorso anno al Bardo e a Sousse. Al Bardo morirono 4 italiani. Affiliati di Asnar erano Ali Harzi e Ben Ali Karraj, anche loro con trascorsi italiani, espulsi e arrestati di nuovo in Tunisia. C’è anche Noureddine Chouchane, anch’egli con un trascorso italiano e una permanenza nelle segrete di Damasco. Secondo quanto ha riferito Africom (il comando Usa per l’Africa) «Sabir», questo il suo alias, era chiamato il «facilitatore»: agevolava il passaggio dei «foreign fighter» filo-Isis (ma non solo) dalla Tunisia alla Libia e da qui verso altre mete. Le autorità tunisine lo indicano in maggio quale mandante della strage del Bardo, nel frattempo il suo ruolo cambia e diventa un operativo responsabile di addestramento per attacchi sino al 19 febbraio quando muore a Sabratha sotto le bombe Usa. Era una sorta di punto di riferimento per tutta la jihad locale, in particolare per la colonia dei tunisini-italiani. Lo conferma l’unione tra «Sabir» e Madeeha Azima Mahmoud, cugina di Abu Iyadh, capo di Ansar Al-Sharia. I due - secondo fonti investigative - non è escluso che si possano essere conosciuti proprio in Italia, dove la donna soggiornava sotto un altro nome. Un aspetto su cui gli inquirenti si stanno concentrando, anche perché occorre capire se ci sia identità tra Madeeha, anche lei di sangue tunisino, e una delle donne rimaste uccise durante il combattimento a fuoco nel quale sono morti Salvatore Failla e Fausto Piano.

Per inviare alla Stampa la propria opinione, telefonare: 011/65681, oppure cliccare sulla e-mail sottostante


direttore@lastampa.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT