venerdi 20 settembre 2024
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Lo dice anche il principe saudita Bin Salman: Khamenei è il nuovo Hitler


Clicca qui






La Stampa Rassegna Stampa
10.03.2016 Cronache dal Califfato
da Beirut, la cronaca di Giordano Stabile

Testata: La Stampa
Data: 10 marzo 2016
Pagina: 10
Autore: Giordano Stabile
Titolo: «Gola profonda del Califfato rivela i nomi di 22mila aspiranti jihadisti»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 10/03/2016, a pag.10, con il titolo " Gola profonda del Califfato rivela i nomi di 22mila aspiranti jihadisti" la cronaca da Beirut di Giordano Stabile.

Immagine correlataImmagine correlata
Giordano Stabile           Bandiera dello Stato Islamico

Una chiavetta con dentro i nomi, indirizzi, numeri di telefono e dati personali di 22 mila combattenti dell’Isis, provenienti da 51 Paesi diversi. È riuscita a ottenerla l’emittente britannica Sky News da un «pentito» dell’organizzazione, con accesso ai file della polizia segreta dello Stato islamico. È la WikiLeaks dell’Isis, che potrebbe indebolire il Califfato. I dati sono contenuti nei questionari che gli aspiranti jihadisti devono compilare per poter essere ammessi. Sono 23 domande, dal luogo e data di nascita, alla conoscenza della sharia, alle competenze professionali. Solo rispondendo a tutti i quesiti può cominciare il percorso di affiliazione. Molti nomi contenuti nella chiavetta, afferma Sky News, sono noti. Come quelli di Junaid Hussain, capo della comunicazione dell’Isis, fuggito nel Califfato assieme alla moglie, l’ex punk Sally Jones, e accusato di aver progettato attentati nel Regno Unito. I due sono probabilmente ancora in Siria. Un altro jihadista dell’elenco è Reyaad Khan, di Cardiff, anche lui ammesso nel 2013. Era conosciuto per il suo ruolo nella produzione dei video di propaganda dello Stato islamico ed è stato ucciso in un raid. Ma il dato più interessante dell’elenco sono le identità di foreign fighters prima sconosciuti, moltissimi mediorientali o del Nordafrica ma anche europei, statunitensi e canadesi. I file nella chiavetta sono stati sottratti da un membro dell’organizzazione al capo della polizia segreta dello Stato islamico, ribattezzata «Ss» per i suoi metodi. Il pentito che l’ha consegnata è un ex membro dell’Esercito libero siriano poi passato con l’Isis, che si fa chiamare Abu Hamed. Abu Hamed si dice deluso dalla leadership dell’Isis ormai controllata «da ex ufficiali del partito Baath di Saddam Hussein». Sostiene che la disciplina islamica nel Califfato è «totalmente collassata» ed è per questo che ha disertato. L’Isis, rivela, sta lasciando il quartiere generale di Raqqa per ritirarsi nel deserto centrale della Siria e in Iraq. Un’altra possibile nuova base per lo Stato islamico, poi, è la Libia. Il nuovo emiro libico E proprio dalla Libia arrivano nuove minacce all’Italia. Le pronuncia il nuovo «emiro» in una intervista sul settimanale islamista Al-Nabaa. Il combattenti libici sono «l’avanguardia del Califfato» e il loro leader si augura che possano «conquistare Roma». Abdel Qader al-Najdi, il nuovo emiro, è l’erede di Abul Nabil al-Qahtani, meglio conosciuto come Al-Anbari, ucciso in un raid condotto da due F-15 americani vicino a Derna il 13 novembre scorso. Al-Anbari, iracheno, combattente di lungo corso prima in Al-Qaeda e poi nell’Isis, era stato inviato in Libia dal califfo Abu Bakr al-Baghdadi nel settembre 2014. Il suo successore Al-Najdi, come dice il nome, è saudita. Najd è la regione centrale dell’Arabia, dove sorge la capitale Riad. Nell’intervista su Al-Nabaa, però, non compare nessuna immagine dell’emiro, probabilmente per ragioni di sicurezza. Al-Najdi attacca l’uomo forte di Tobruk, il generale Khalifa Haftar, ma anche il movimento islamico Alba Libica, che controlla Tripoli, colpevole di essere troppo «democratico». La Libia, dice, nonostante i raid Usa, è diventato un «porto sicuro per i muhajerin», i combattenti stranieri, che «sono raddoppiati di numero». La Libia è geograficamente importante per la jihad in tutto il Nordafrica, spiega, e la base che può «aprire la porta» verso Roma e l’Italia.

Per inviare alla Stampa la propria opinione, telefonare: 011/65681, oppure cliccare sulla e-mail sottostante


direttore@lastampa.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT