Riprendiamo dal BOLLETTINO della Comunità ebraica di Milano, Marzo 2016, a pag.9, con il titolo "Fino a quando Abu Mazen riuscirà a vincere al gioco delle tre carte ?", il commento di Angelo Pezzana.
"Ogni martire andrà in Paradiso, chi verrà ferito Allah lo ricompenserà" firmato Abu Mazen, l'angelo della pace, come l'aveva chiamato Papa Bergoglio.
Fra le accuse che più spesso vengono rivolte a Israele, quella di non fare la pace con i palestinesi è la più comune. Viene espressa in molte occasioni e da pulpiti che abitualmente maneggiano la parola ‘pace’ con navigata disinvoltura. Viene altresì giustificata col dire che il destinatario non è lo Stato di Israele, ma il suo governo, una comoda quanto ipocrita via d’uscita, dato che mai nessun governo, non importa quale fossero le componenti politiche, è mai uscito indenne. Non la volevano la pace neppure quei governi che avevano offerto il 95% di Giudea e Samaria più Gerusalemme est quale capitale di un futuro stato palestinese, anche a loro la risposta fu un secco no. L’accusa rispunta puntuale in questi mesi, a Netanyahu si chiede da ogni parte con insistenza perché non riapre i colloqui di pace con l’Anp, come se fosse stato lui a interromperli e non Abu Mazen ad avere abbandonato il tavolo, preferendo la tribuna dell’Onu, dove però affermò che le trattative erano morte per colpa di Israele. Non è entrato nei particolari, avrebbe dovuto ricordare quali erano le sue richieste e quali erano quelle di Netanyahu. Meglio restare sul vago, recitare il solito elenco di accuse, musica per le orecchie della maggioranza degli stati che compongono l’Onu. Ma su un punto è stato chiarissimo: i colloqui sono morti e defunti. Uno si aspetterebbe che dal campo della ‘pace’ venisse se non una richiesta di ripensamento almeno un supplica, dai Abu Mazen, torna a sederti al tavolo dei colloqui, è Bibi che continua a dirsi disponibile, ti aspetta. Niente affatto, ad Abu Mazen non si è rivolto nessuno, tutti sempre con il dito rivolto a Bibi per chiedergli perchè non vuole riprendere le trattative. Anche quando Netanyahu gli ha chiesto di condannare apertamente gli atti terroristici contro civili e militari israeliani, in gran parte commessi da donne e ragazzini, fanatizzati dai molti appelli partiti anche dallo stesso Abu Mazen, la risposta è stata un no deciso, con l’aggiunta di altri appelli che non hanno prodotto altro risultato se non la crescita degli attentati stessi. Se Abu Mazen volesse veramente la pace con Israele dovrebbe partire con l’eliminazione di una delle cause che stanno alla base dell’ideologia terrorista, un’altra di quelle verità che i nostri media nascondono con molta cura: il 16% degli aiuti finanziari che l’Anp riceve dagli organismi internazionali, Onu e UE in testa, quindi anche da noi, va in stipendi ai terroristi rinchiusi nelle carceri israeliane dopo essere stati condannati, a loro e alle loro famiglie. Se questi dati venissero divulgati, forse qualche domanda i cittadini occidentali comincerebbero a porsela. Ma questo non avviene. Ci si stupisce poi se un alto numero di israeliani ritiene ormai superata l’ipotesi dei due stati per due popoli, visto che tutte le opportunità lanciate da Israele sono sempre state respinte al mittente. In alternativa l’Anp rilancia il terrorismo, non si siede a nessun tavolo e per non perdere la faccia davanti ai suoi, incontra Hamas in Qatar per vedere se rimettendo sul tavolo il più volte fallito progetto di unione, questa carta servirà da maquillage per Onu e UE. Finora gli è andata bene, ma una domanda si impone: fino a quando Abu Mazen riuscirà a vincere al gioco delle tre carte ? Intanto in Israele continuano i sondaggi per conoscere come la gente giudica le varie ipotesi che consentano di porre fine a una storia che pare ormai irrisolvibile. Forse tornano attuali le parole dette da Golda Meir nella famosa intervista a Oriana Fallaci, per capire quel che suggeriva un premier laburista per risolvere il nodo palestinese “ … L’importante è che non nasca un terzo stato arabo tra noi e la Giordania. Non lo vogliamo. Non possiamo permettercelo. Perché verrebbe usato come un coltello contro di noi” (L’Europeo,30 novembre 1972).