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La Stampa Rassegna Stampa
06.03.2016 Velo islamico: significa sottomissione della donna
Ma per Karima Moual è un innocente accessorio di moda

Testata: La Stampa
Data: 06 marzo 2016
Pagina: 10
Autore: Karima Moual
Titolo: «'Noi, ragazze con il velo. Purché di moda'»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 06/03/2016, a pag. 10, con il titolo "Noi, ragazze con il velo. Purché di moda", il commento di Karima Moual.

Il velo islamico è simbolo della sottomissione della donna. I motivi per cui le giovani musulmane italiane lo indossano possono essere diversi, ma nella maggior parte dei casi c'è davvero la possibilità di scelta? La risposta non può che essere: no. Far passare un simbolo della "inferiorità della donna" come un innocente accessorio di moda - così nell'articolo di Karima Moual - significa cedere la libertà in cambio di un "multiculturalismo" che, in questo caso, fa rima con oppressione.

Ecco l'articolo:

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Karima Moual

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Le forme della sottomissione della donna secondo l'islam

Dalla stazione Porta Susa di Torino esce un gruppetto di dieci ragazze. Otto di loro portano il velo: chi a tinta unita, chi colorato, altre con fiori o ricami. Qualcuna ha una spilla o il nodo a destra. L’originalità e la fantasia definiscono il marchio della loro giovinezza. Di certo quei capelli coperti, più che velare la loro presenza, la esaltano. Così le mosche bianche del gruppo sono le due giovani che non portano il velo, svelandoci una tendenza ancora sotto traccia: un crescente numero di ragazze musulmane, nate o cresciute in Italia, sceglie di indossare un accessorio che sarebbe riduttivo definire solo religioso.

È ormai, invece, un elemento di rivendicazione culturale, identitario, politico e insieme di tendenza. Loubna ha indossato il velo a 12 anni per seguire le amiche che già lo portavano, poi alla fine se ne è anche convinta dopo un percorso fatto in moschea. Soumia lo ha fatto per imitare la madre e fare la «grande». Jamila non aveva scelta se non trasgredire le regole di famiglia e comunità; meglio il velo dunque. Nadia perché voleva dimostrare ai suoi compagni che era una vera musulmana. A Yasmine piace proprio come accessorio di bellezza.

Sono solo alcuni dei tanti esempi delle innumerevoli ragioni dietro al velo delle adolescenti musulmane di oggi in Italia. «A casa - spiega Mariam Mazar, 21 anni, studentessa alla Facoltà di Scienze politiche di Torino - già da piccola iniziano a dirti che bisogna metterlo, educandoti al fatto che è un dovere religioso. All’età di 14 anni decisi di indossarlo. A convincermi non è stata solo l’educazione da parte dei miei genitori, ma anche le associazioni islamiche che frequento attraverso la moschea». «Io senza velo non mi sentirei protetta», racconta Mariam. Ma proteggersi da chi? «Dalle tentazioni e dal peccato dell’uomo», spiega.

«Per una ragazza musulmana - dice Sabrina Guzzetta, senza esitazioni - l’hijab è un dovere». Sabrina, oggi ventenne, è il frutto di una coppia mista. Padre italiano e madre marocchina. «A casa mia certamente nessuno mi ha forzato a metterlo: è stata una mia scelta dopo un percorso che continuo tuttora a seguire nella moschea Taiba di Torino - aggiunge - dove attraverso libri e video ci insegnano i doveri e i diritti per una buona musulmana. Il velo rientra nei doveri. Dio ha detto a noi donne di coprirci. Chi non lo mette o non è pronta o non ha abbastanza fede». Eppure ci sono altre interpretazioni, come per esempio quelle della femminista islamica Fatima Mernissi, che mettono in dubbio questo obbligo. «No, non ne so niente», risponde Sabrina, che come le altre della storia del femminismo islamico non ha mai sentito parlare. «Io mi baso su quello che mi hanno insegnato in moschea - precisa Sabrina - sono pienamente convinta e non vado alla ricerca di altre interpretazioni».
Poco margine per altre letture, dunque. E la tesi della libera scelta diventa poco convincente quando il velo si identifica come un dovere religioso e basta. Il rischio di etichettare chi non lo abbraccia come trasgressore è dietro l’angolo. E se è vero che l’uso del velo è sempre più diffuso, allora non ci sono dubbi: è l’obbligo religioso che avanza. Senza contraddittorio.

Samia Oursana, laurea in Scienze politiche a Roma, lo sa bene: «Io non lo porto, ma questo non significa che valga meno come musulmana rispetto a chi lo indossa. Il paradosso è che, come donne musulmane che non portano il velo ci troviamo discriminate da parte di chi fa una scelta diversa. È surreale: noi difendiamo il loro diritto di metterlo, loro invece ci puntano il dito contro. Cercano di farci sentire in difetto - aggiunge Oursana - attraverso un indottrinamento abile, spiegando che “serve per difenderci”, per non indurre l’uomo in tentazione». Ma per la giovane laureata la verità è che nella società araba c’è una repressione sessuale che porta a un accanimento contro le donne e la loro libertà. «A parte le ragioni di fede - è la sua conclusione - tante portano il velo anche per essere più libere. Lo si vede nella schizofrenia di veli, trucco e leggins».

Siham Sidki ha 19 anni. I genitori sono di Casablanca, ma è nata a Vigevano. «Sono italiana, non mi sentirei a mio agio con il velo, che è una sottomissione all’uomo più che a Dio. Non voglio travestirmi da chi non sono». Non convinta dai tutorial su YouTube per insegnare i modi trendy per portare il velo, lei preferisce i piercing che ha sul corpo, ma che tiene ben nascosti agli occhi dei familiari. «Sulla mia libertà, che cerco di difendere con i denti, le mie amiche musulmane non mi dicono niente. A giudicarmi sono i ragazzi musulmani, che cercano di farmi passare per una ragazza facile, perché non rispetterei le tradizioni della comunità e della famiglia. Magari perché d’estate metto un pantaloncino o una minigonna. Mio fratello piccolo - continua Siham - inizia già a riprendermi sull’abbigliamento: ha paura del giudizio degli amici marocchini. Una mia amica insieme alla sua famiglia è stata obbligata a trasferirsi in Francia, per colpa delle chiacchiere della comunità». Per evitare le chiacchiere, invece Amira. H. è stata obbligata al velo. «Così - dice - ho meno problemi, posso uscire in libertà senza avere gli occhi di mio padre addosso».
«Il velo - continua Siham - c’è chi lo mette per fede e chi per avere maggior libertà. Alla stazione di Torino puoi vedere ragazze con il velo che fumano o si baciano con il ragazzo di nascosto. Che significa allora? La verità è che il velo di molte ragazze oggi è ben altra storia rispetto a quello che porta mia madre o mia nonna».

E così, se indaghiamo sull’aumento della sua diffusione, se non accettiamo la versione ufficiale della «libera scelta di fede», scopriamo che ci sono tanti veli, non uno solo. Una realtà meno limpida. L’educazione familiare tradizionale è diventata più forte e più ideologizzata, soprattutto grazie all’indottrinamento operato dalle associazioni islamiche e dalle moschee. Che in questi anni hanno potuto lavorare senza rivali per costruire una giovane generazione di velate.

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