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La Stampa Rassegna Stampa
06.03.2016 Caos Libia: milizie e terroristi in lotta, addio all'unità nazionale
Commenti di Domenico Quirico, Rolla Scolari

Testata: La Stampa
Data: 06 marzo 2016
Pagina: 1
Autore: Domenico Quirico - Rolla Scolari
Titolo: «Così le milizie che guidano Sabratha hanno rotto con l'Isis e con Tripoli - Quella costellazione di città-Stato che ostacola un governo di unità»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 06/03/2016, a pag. 1-3, con il titolo "Così le milizie che guidano Sabratha hanno rotto con l'Isis e con Tripoli", il commento di Domenico Quirico; a pag. 2, con il titolo "Quella costellazione di città-Stato che ostacola un governo di unità", il commento di Rolla Scolari.

Ecco gli articoli:

Domenico Quirico: "Così le milizie che guidano Sabratha hanno rotto con l'Isis e con Tripoli"

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Domenico Quirico

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Marzo è un mese misterioso. Il mese delle rivoluzioni, il mese delle guerre. Anche nella vita individuale, in questo mese, qualcosa si mette in moto, silenziosamente. È così che lavorano le guerre e le rivoluzioni, silenziosamente, come la terra.

A marzo la Libia si è rimessa in movimento. Dall’Italia arriva l’eco di sbarchi già (quasi) pronti e di risolutorie operazioni occidentali, si contano gli uomini e le navi… Come un ingranaggio, dente dopo dente, rotella dopo rotella, il caos libico comincia ricomporsi ad assestarsi su nuove faglie e a rovesciare sulla testa ciò che era in piedi.
Questa geografia delle alleanze tra gruppi armati è la vera politica di qui. Non quella delle trattative per assegnare ministeri che corrono tra i «governi» di Tobruk e di Tripoli e quello, un po’ pirandelliano personaggio senza persona, che appassisce e intristisce a Tunisi e negli alberghi di mille capitali «amiche», ma lontanissime.

Cinque anni fa qui c’è stata una esplosione atomica, il nucleo si è frammentato in migliaia di parti. In perenne movimento e in perenne processo di accrescimento o diminuzione della massa critica. Ci sono processi che si possono vincere solo in seconda istanza. Le rivolte quasi sempre sono un processo di questo genere. In prima istanza viene annientata oppure diventa sé stessa. In seguito, nel periodo del purgatorio, ciò che ne costituiva il significato si depura. A volte occorre parecchio tempo. Qui cinque anni non sono bastati.
Uno di questi frammenti è Sabratha, lo sfondo, il palcoscenico della tragedia degli ostaggi italiani. La Libia è cresciuta, su su, al nostro fianco dopo la caduta di Gheddafi, ed è come una certa parentela che c’è, che esiste anche se non ci si scrive da anni, anzi si fa finta di ignorarla, vergognandosene un po’, un antipatico segreto di famiglia. C’è, vive, prolifica e a un tratto bussa alla tua porta e ti dice: sono qua, con i migranti, il petrolio in pericolo, le turbe dei fanatici del califfato. È fatta: ora bisogna occuparsene. Così è arrivata per noi questa, a cosa disfatte, e non ne avevamo voglia. Ma neanche potevamo tirarci indietro: così ci lasciamo andare.

Andare a Sabratha, al di la dei pericoli, degli inciampi che la guerriglia delle bande ha sistemato sulla strada, è un pellegrinaggio in questa storia malinconica, ancora in atto e struggente per chi ha cura delle sorte e del dolore degli esseri umani. La campagna è bella, sudata di fatica come nel nostro Sud, ma la terra qui sembra degradare a sabbia anche quando non è ancora sabbia. La vegetazione in Libia è innaturale. La natura era, è il terreno brullo, piano, senza ombra; il resto è una sopraffazione meravigliosa dell’uomo. La vegetazione violenta il suolo che in realtà resta sempre calpestato da secoli, senza iniziative proprie, come una morte geologica.

Così lo sguardo resta sempre al mare che si costeggia: denso, il mare, e innegabilmente un po’ torvo, con il suo azzurro intenso, ma senza trasparenza, e la balza dell’onda arriva verde, di uno strano verde opalino. Poco fuori dalla città, a un tratto, enorme, sproporzionato, inverosimile oggi, il teatro romano. E non sembra rovina, ma messo lì come un modello al vero, per mostrare quello che era ai tempi di Severo e Marco Aurelio. Fuori del vero e del falso, fuori della natura e della Storia. È un conflitto con il destino, oggi la rovina di Sabratha. La guerra ha azzannato questa città di forse centomila abitanti, non la lascia più. E la gente? La gente ha imparato ad essere come i bambini, persuasi che la notte non finirà più.

In mezzo ai monumenti qualche mese fa sono sfilate alcune decine di veicoli di Daesh (Isis), con le nere bandiere, le mimetiche alternate ai barracani, i volti coperti dai turbanti come elmi medioevali. Una trentina, che nei racconti fantasiosi, giornalistici e non, sono diventati centinaia. Una dimostrazione di potenza, la propaganda dei fatti in cui il califfato e i suoi vassalli sono maestri.
È passato pochissimo tempo e tutto è cambiato: le formazioni islamiste radicali sono state respinte fuori dalla città, e dalle rovine romane dove si dice nascondessero gli arsenali. Si sono ritirate in uno spazio semideserto, tra la città e uno scalino all’orizzonte, quasi tutto unito, e di un azzurro che tende al lilla, il gebel: è terra brulla, rari i campi, poche case, cespugli secchi o ciuffi di erba dura.

Un anno e mezzo fa sono stato a Sabratha una prima volta. Non nella città, ma proprio in questo deserto, con i combattenti della montagna, la milizia di Zintan: quella che nel 2011 ha tolto Tripoli a Gheddafi e poi ne è stata cacciata da «Alba libica», i fratelli musulmani su cui noi Italia facciamo molto conto, e le formazioni armate che hanno base a Misurata. Allora gli islamisti combattevano apertamente, erano alleati, non sprecavano neppur molta fatica a nascondersi. Laggiù - mi mostrarono gli uomini di Zintan – sì, proprio tra le rovine, vicino al mare c’è al Qaeda… sarà difficile cacciarli…
I fondamentalisti, ben armati e fanatici, erano perfetti alleati per tenere a bada gli odiati nemici, quelli del parlamento di Tobruk, i soldati del generale Aftar, uomo dell’Egitto e degli americani. Tutti sapevano che tra Alba libica il partito al potere in parte della Tripolitania e gli uomini del jihad c’erano ottimi rapporti. Poi tutto è cambiato con il bombardamento americano del 19 febbraio che avrebbe ucciso alcuni dei capi delle milizie del califfato. Le formazioni locali hanno «scoperto», improvvisamente, che i fondamentalisti erano troppo maramaldi nella loro città e che i loro alleati di Tripoli erano troppo arroganti e padroni. Alleanze che finiscono, di colpo. E si passa subito alla guerra.

Lo stesso scenario in scala più grande: in tutta la Libia, nelle centinaia di alleanze e coabitazioni tra gruppi armati che noi non conosciamo si ridisegnano in queste settimane le posizioni. Nessuno vuole trovarsi dalla parte dei perdenti, si vuole cancellare le tracce di aver diviso il pane con i fondamentalisti.
Anche a Tripoli le voci tambureggiano. Sembra stia per compiersi ciò che prima era impossibile: la formazione di Misurata finora alleata dei fratelli musulmani, potentemente armata, guidata da Salad Badi, starebbe per saltare il fosso e allearsi sul terreno con gli uomini di Zintan per dare l’assalto a Tripoli. Con i nemici dei feroci scontri di tre anni fa!
Moltiplicate questi scenari per cento, mille volte e avrete forse compreso qualcosa della Libia. Ma chi può esser sicuro di conoscere bene questo labirinto per poter ritrovare la strada?

Rolla Scolari: "Quella costellazione di città-Stato che ostacola un governo di unità"

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Rolla Scolari

Il governo di Tripoli, quello di Tobruk, gli scontri a Bengasi, le milizie di Misurata, gli estremisti di Derna, le lotte tribali di Kufra, il contrabbando di Zuwara e Sabratha... Quando si racconta la Libia si evoca una carta geografica densa di città. Il Paese, senza un governo unificato, si regge ancora su una routine di municipalità autonome, sostenute da milizie e da clan territoriali spesso caratterizzati da «un minimo comune denominatore», come ha scritto Wolfram Lacher del German Institute for International and Security Affairs in un recente studio sulle élite locali: «Ostacolare il ristabilirsi di uno Stato», visto che tanti beneficiano della sua assenza.

La sfida Tripoli-Tobruk
La divisione tra due governi, Tripoli, di colore islamista, e Tobruk, riconosciuto a livello internazionale, si è frammentata. Sostiene Mattia Toaldo dell’European Council on Foreign Relations che la Libia sia ormai formata da una costellazione di «città-Stato», obbligate a un’autonomia politica e militare: Tobruk, sulla via dell’Egitto e votata ai traffici interfrontalieri; Derna, feudo estremista; Bengasi, campo di battaglia delle forze del controverso generale Khalifa Haftar; Tripoli, capitale contesa dalle milizie; Misurata, potenza militare; Zuara, porto del contrabbando; Zintan, simbolo della lotta contro l’ex regime nelle remote montagne dell’Ovest; Kufra, oasi meridionale in cui è in corso un conflitto parallelo tra clan Toubou e Zuwayya; e Sabratha, a ovest della capitale, dove sono stati uccisi i due connazionali e tenuti prigionieri i loro colleghi. Il suo consiglio militare è entrato nelle cronache a causa della vicenda degli italiani. Dopo il raid Usa di febbraio contro lo Stato islamico presso la città, media libici hanno riportato la formazione di una stazione operativa locale contro il gruppo jihadista. «Che Sabratha fosse un centro d’addestramento lo si sapeva da tempo - spiega Francesco Strazzari, della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa -. Questo fa pensare alla presenza di connivenze in una cittadina piccola, che non poteva ignorare la presenza al suo interno di Isis. Le bombe americane hanno scombinato tutto», obbligato le forze locali all’offensiva dei giorni scorsi contro gli estremisti, nel tardivo tentativo di «segnalare le proprie capacità di contro-terrorismo».

Nell’economia di guerra delle «città-Stato» non esiste una legge che regoli la formazione dei consigli militari: ogni municipalità si organizza in maniera autonoma. Nel 2011, la lotta contro Muammar Gheddafi fu portata avanti da consigli militari cittadini che si sono occupati fino al 2013 anche delle questioni amministrative, spiega Toaldo. Oggi in alcuni casi si sono affiancati o sovrapposti a giunte politiche.
Dall’estate, le affiliazioni di diverse città ai poli antagonisti di Tripoli e Tobruk si sono indebolite. Sabratha era legata alla coalizione più di segno islamista Alba libica, vicina a Tripoli. Il fatto che Zintan - alleata di Tobruk - abbia offerto cure mediche ai combattenti di Sabratha feriti nei recenti scontri con Isis mostra l’emergere di nuove dinamiche.

Gli sforzi dell’Onu
La frammentazione si oppone agli sforzi della comunità internazionale per la formazione di un governo unificato. Non è un caso che l’inviato dell’Onu, il tedesco Martin Kobler, contempli un nuovo approccio: «Intendo lavorare con i leader tribali e i sindaci per accompagnare un national-building in Libia» che abbia come obiettivo la creazione di una «Grand Shura», una consulta nazionale, ha scritto su Twitter. Se il tentativo di formare un esecutivo centrale fallisse, spiega Karim Mezran, dell’Atlantic Council, la comunità internazionale «sarà obbligata a lavorare localmente, non dall’alto verso il basso ma dal basso verso l’alto».

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