Riprendiamo da SETTE - CORRIERE della SERA di oggi, 04/03/2016, a pag. 20, con il titolo "A Venezia c'è un'ombra lunga 500 anni", il commento di Stefano Jesurum.
Stefano Jesurum
Il ghetto di Venezia secondo Emanuele Luzzati
Tra meno di un mese il Ghetto di Venezia compirà 500 anni. In attesa delle importanti celebrazioni e delle prestigiose collaborazioni internazionali che s'inseguiranno per l'intero 2016, forse è il caso di provare a trarre da quella storia qualche spunto di riflessione. Perché abbiamo bisogno di messaggi e speranze di libertà e dignità per ogni individuo oppresso da reclusioni fisiche e mentali, guerre, fame, attacchi terroristici, campi profughi, banlieue. E dunque quale miglior narrazione se non ciò che un tempo fu area di umiliazione, soprusi e sopraffazione per poi divenire — benché a fasi alterne — laboratorio di inclusione e infine, nella contemporaneità, straordinario luogo di incontro tra ebrei e cittadinanza?
Così le calli anguste claustrofobiche e struggenti, i bui sotoporteghi, i campielli rilucenti, le case più alte della città per secoli abitate dal popolo cantato da Rainer Maria Rilke si mostrano per quel che sono, il primo caso di segregazione organizzata e al medesimo tempo un "cortile" chiassoso e vitalissimo, spazio d'incontro tra culture e migrazioni. Mura e spessi cancelli che si chiudevano la sera sono stati e rimangono segno dell'intolleranza altrui ma possono divenire pure simbolo di autodifesa e autoconservazione. La contraddizione è forte e diviene simbolica, un luogo dell'anima dove preservazione di sé significa sia contatto e scambio all'interno della minoranza — tra ebrei provenienti da Spagna, Centro Europa, Medio Oriente —, sia intima contiguità con la maggioranza "segregante".
La politica della Serenissima fu per molti versi grande esperimento di inclusione seppur attraverso la ferrea separazione di fedi, mestieri e nazionalità. Esclusione da un lato, garanzia di identità dall'altro, e poi collaborazione. E laddove le proibizioni ponevano ostacoli insormontabili fu proprio la collaborazione tra ebrei e cristiani a regalare al mondo, ad esempio, un terzo dei libri in ebraico stampati in Europa fino al 1650. Davanti a noi un futuro che sempre più farà i conti con globalizzazione, flussi migratori, identità complesse, tentazione neorazzista di costruire ghetti per liberarsi dell'altro e/o chiusura in se stessi a tutela del proprio Io. Allora, come il vecchio Melchisedech che Rilke racconta volesse abitare nella costruzione di volta in volta più alta del Ghetto, non ci resta che salire e salire, per cercare di vedere al di là, oltre: «il vecchio continuava a ergersi fiero nella persona e poi a prostrarsi al suolo. E la folla, in basso, aumentava, e non distoglieva lo sguardo da lui: aveva veduto il mare oppure l'Eterno nella sua gloria?». Oppure la libertà?
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