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Mendel dei libri Gli appassionati della lettura e i cultori del libro, inteso come oggetto capace di svelare mondi meravigliosi, non possono perdersi un racconto breve di squisita eleganza che la casa editrice Adelphi ha pubblicato con il titolo “Mendel dei libri”. L’autore, Stefan Zweig, che fu uno dei protagonisti della cultura europea dei primi decenni del Ventesimo secolo cimentandosi in ogni campo delle lettere, dalla lirica al dramma, dalla narrativa alla critica letteraria, dà vita ad un personaggio indimenticabile, Jakob Mendel, “uomo leggendario, mago e sensale dei libri, un emblema del sapere”. La voce narrante è quella di un uomo non più giovane che in una tempestosa giornata di pioggia trova riparo in un caffè di Vienna, “affollato di gente modesta che consumava più giornali che dolciumi”, in cui rammenta di essere già stato molti anni addietro. Piano piano dalla memoria riaffiora la figura di un personaggio straordinario che aveva fatto del Caffè Gluck il suo quartiere generale trascorrendo tutta la giornata seduto a un tavolino “in un ambiente senza finestre” a compulsare libri e a fornire consigli a chiunque si rivolgesse alla sua infallibile erudizione. Nelle pagine che seguono il lettore entra in un mondo magico e seguendo i ricordi della voce narrante fa la conoscenza di un uomo che si vorrebbe esistesse veramente per poterlo incontrare. Mendel arriva a Vienna da una piccola località nei pressi di Petrikau per studiare da rabbino ma ben presto sceglie di “consacrarsi al rutilante e sfaccettato politeismo dei libri” e ad essi dedica la sua vita mettendo al servizio degli altri una conoscenza prodigiosa. “Piccolo trafficante di libri” per i profani, Mendel non è interessato né al denaro né alle passioni umane ma quando qualcuno gli chiede notizie di un libro il suo sguardo muta, diventa brillante, un luccichio gli appare negli occhi nascosti dai capelli e dagli occhiali e tutta la passione che i libri gli suscitano traspare dinanzi all’interlocutore, già folgorato dalla sua titanica memoria. “Eterno segreto di tutto ciò che è perfetto” la concentrazione assoluta che Mendel dedica alla lettura – incollato in modo ipnotico a un libro legge cantilenando a bocca chiusa, dondolandosi avanti e indietro – lo allontana vieppiù dal mondo circostante. Jakob Mendel non vede e non sente nulla di ciò che lo circonda, “…perché lui leggeva come altri pregano, come i giocatori giocano e gli ubriachi tengono lo sguardo fisso nel vuoto, storditi”. Fonte di rispetto e ammirazione per chi lo conosce, Mendel nel suo isolamento è lontano dalle cattiverie del mondo e neppure si accorge che è scoppiata la guerra. Siamo nel 1915 e Mendel, senza cittadinanza austrica perché per lui non era importante prenderla, viene travolto dall’insensatezza di uno zelante responsabile della censura che, incapace di comprendere la visione della vita di quel piccolo ebreo galiziano, lo spedisce in un campo di internamento per prigionieri civili russi dalle parti di Komorn. A quali orrori dell’anima va incontro Jakob Mendel in quei due anni di campo di internamento, senza i suoi amati libri, senza denaro, in mezzo a compagni rozzi spesso analfabeti? Di questo non vi è alcuna testimonianza. Rientrato a Vienna grazie all’intercessione di alcuni collezionisti e ripreso il posto al Caffè Gluck, Mendel però non è più lo stesso: “qualcosa sembrava essersi irrimediabilmente infranto nel suo sguardo, qualcosa era andato in pezzi. I suoi occhi dovevano aver assistito a scene spaventose dietro il filo spinato perché lo sguardo un tempo vivace ora si spegneva sonnolento…e in quel fantastico capolavoro architettonico che era la sua memoria doveva aver ceduto un pilastro e l’intero edificio si era sgretolato”. Il nuovo proprietario del Caffè Gluck, uomo scaltro e senza cuore, arricchitosi durante la carestia del 1919, per il quale Mendel è solo un reietto “un fagotto di barba e vestiti”, lo allontana in modo ignominioso dal negozio che ha rinnovato trasformandolo in un ambiente elegante ma privo di umanità. Di come il povero Mendel sia andato incontro alla morte ce lo racconta con profonda commozione la buona signora Sporschil, custode sin da allora della toilette del Caffè, una donna semplice dalle mani arrossate, affaticata da anni di duro lavoro, che non ha mai dimenticato l’ebreo galiziano e ha conservato con rispetto e devozione per tutti quegli anni l’ultimo libro che Mendel stava leggendo prima di essere cacciato via dal Caffè Gluck. Questo racconto di Stefan Zweig è un vero gioiello letterario, dalla cifra linguistica raffinata, un’opera che si legge d’un fiato e che si desidera riprendere in mano più volte per gustare una prosa che riconcilia con il piacere della lettura e che ci fa amare ancor più i libri, i quali “si fanno solo per legarsi agli uomini al di là del nostro breve respiro e per difendersi così dall’inesorabile avversario di ogni vita: la caducità e l’oblio”.
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