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La Stampa Rassegna Stampa
03.03.2016 L'Egitto arriva al Museo d'Israele di Gerusalemme
Commento di Lea Luzzati

Testata: La Stampa
Data: 03 marzo 2016
Pagina: 29
Autore: Lea Luzzati
Titolo: «I faraoni e Canaan: l'altra storia in mostra a Gerusalemme»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 03/03/2016, a pag. 29, con il titolo "I faraoni e Canaan: l'altra storia in mostra a Gerusalemme", il commento di Lea Luzzati.

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La stele dedicata alla dea Qadesh

Nella Bibbia l’Egitto è una meta ambigua, un po’ come il suo nome - Mitzraim - che in ebraico porta una desinenza duale. Luogo della schiavitù per antonomasia da cui uscire guidati dalla mano del Signore per trovare la libertà, ma ancor prima se stessi, l’Egitto è anche terra generosa dove non mancano mai le pentole piene di carne. Ed è soprattutto una destinazione ricorrente in un via vai storico e mentale che attraversa secoli di storia ebraica e non solo. Oggigiorno, ad esempio, la stele dello scriba Ramose dedicata alla dea Qadesh (circa 1300 a.C.) è partita dal Museo Egizio di Torino per approdare al Museo d’Israele a Gerusalemme. Sarà uno dei pezzi più importanti di una grande mostra che guarda all’Egitto antico in una prospettiva decisamente nuova.

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Il Museo d'Israele è il più importante museo d'arte, archeologia e tradizioni ebraiche dello Stato ebraico


«Faraone e Canaan: la storia non detta» è il titolo di questa esposizione che racconta l’epoca del dominio egiziano in terra di Canaan: in altre parole, la Terra Promessa, quella cui approdano le tribù d’Israele dopo l’Esodo e quarant’anni di vagabondaggi nel deserto. Egitto a Canaan per la prima volta non sono qui contrapposte in un’antitesi esistenziale prima ancora che storica – schiavitù/libertà, autonomia/tirannide straniera. Anzi: i reperti dell’archeologia e le (rare) testimonianze scritte parlano di una sintesi, di reciproche influenze. Di una convivenza che si manifesta nell’arte funeraria, nei volti scolpiti che ci arrivano da quel tempo lontano e che parlano di una sorta di inattesa koiné tra una sponda e l’altra di quel Mare dei Giunchi (cioè il Mar Rosso) che miracolosamente si aprì per gli ebrei in fuga dall’Egitto.

La rassegna al Museo d’Israele che, come spiega il direttore del Museo James Snyder, «svela una estetica sorprendente, straordinarie affinità culturali tra i due Paesi», ci dice in fondo che quelle due sponde del mare a cui il Signore ordinò di aprirsi e farsi asciutto per i figli d’Israele sono state il tracciato di un ponte oltre che un confine drastico. Una lezione quanto mai utile in questo presente che sta trasformando il Mare Nostrum e ciò che gli sta intorno in un teatro di assurdi conflitti.

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