Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 02/03/2016, a pag. 9, con il titolo "Stiamo per assistere alla spartizione del Paese, è come la Polonia nel '39", l'intervista di Giordano Stabile a Walid Jumblatt, leader dei drusi libanesi.
Giordano Stabile
Walid Jumblatt
«Stiamo per assistere alla spartizione della Siria. Come la Polonia nel 1939. Stati Uniti e Russia si sono già messi d’accordo. Si parla di soluzione federale. Ma sarà un federalismo mediorientale. Settario. La guerra non finirà mai davvero». Walid Jumblatt, leader storico dei drusi, a 66 anni è ancora un King Maker del Libano. Riceve nel palazzo di famiglia a Clemenceau, nel cuore di Beirut, con indosso il suo solito giubbotto di pelle nera. Sotto il pergolato nel cortile, davanti ai due leoni assiri in marmo che vegliano all’ingresso della casa, si sente il peso particolare della storia in Medio Oriente: «E il Libano? Ormai è una provincia dell’Impero persiano».
Presidente Jumblatt, chi ha vinto in Siria?
«Chi è intervenuto direttamente. Chi ha mandato uomini sul terreno. L’appoggio degli iraniani, dei loro alleati libanesi Hezbollah, e dei russi, è determinante. Il regime sta vincendo. La tregua non significa molto. Non ci sarà mai una vera pace, ma una spartizione su base confessionale e settaria. Cioè un conflitto senza fine».
Chi l’ha decisa?
«Russi e americani si sono messi d’accordo alle spalle del popolo siriano. Parlano di Stato federale ma è come la Polonia nel 1939, un pezzo a me e un pezzo a te. I curdi avranno la loro parte, gli alawiti la loro, e poi i sunniti. Drusi e cristiani sono alleati di complemento. Circola già una mappa realizzata dalla Rand Corporation, che dice tutto. Ma la Siria non esiste più. Un Paese distrutto, dieci milioni di profughi e sfollati».
Poteva finire diversamente?
«La svolta poteva esserci già nella grande battaglia di Homs, alla fine del 2011. Obama allora diceva: «Bashar al-Assad se ne deve andare». Se ne andrà prima lui dalla presidenza degli Stati Uniti, perché Assad probabilmente vincerà un altro mandato. Allora, all’inizio della guerra, Obama doveva fornire ai ribelli i missili anti-aerei, anti-elicotteri. I famosi Stinger che hanno sconfitto i sovietici in Afghanistan. Non l’ha fatto e ora ha perso».
Ma la tregua appare fragile, Turchia e Arabia Saudita non sembrano molto d’accordo con la linea russo-americana.
«L’unico pericolo serio lo vedo da parte della Turchia, che si è ritagliata una sorta di sua enclave nel Nord della Siria e vuole mantenerla. Se c’è un rischio di escalation del conflitto, di scontro diretto fra potenze, è fra russi e turchi».
La Siria è però parte della grande guerra fra sunniti e sciiti in Medio Oriente. Ci sono rischi per il Libano?
«La coalizione russo-iraniana sta vincendo, perché gli avversari non sono sul terreno. Gli iraniani sono più forti, tutto qui. Anche in Libano, con i loro alleati».
E il Libano aspetta un presidente da 21 mesi.
«C’è il fronte filo-sunnita e il fronte filo-sciita, con Hezbollah. Per questi ultimi va bene così, non hanno fretta di avere un nuovo presidente. In questo momento il campo di battaglia principale è la Siria. Il Libano è un campo di battaglia secondario. Ma siccome il regime siriano con l’aiuto dei russi e degli iraniani si sta rafforzando, vedremo una crescente pressione della Siria sul Libano. Torneremo a essere un satellite della Siria».
Può sopravvivere il Libano in questa situazione?
«È sopravvissuto. La gente si è abituata. Non possiamo farci nulla per il momento».
Vede un rischio di nuova guerra civile?
«No. Sono più preoccupato della crescente influenza della Siria e dell’Iran. Andiamo verso un maggior isolamento nei confronti del resto del mondo. E la crisi economica è grave. È tutto fermo: il turismo, l’edilizia, gli investimenti. In Libano abbiamo molti giovani di talento. Abbiamo uno dei più elevati livelli di istruzione nel Medio Oriente. Ma siamo troppo divisi. E il sistema premia attraverso criteri settari, politici, famigliari. Non premia il merito. Questo è il nostro maggiore problema».
Leiè il leader storico dei drusi, dello Shuf. È preoccupato per il futuro del suo popolo, anche alla luce di quello che accade in Siria?
«Sono un libanese prima di tutto. Dobbiamo restare uniti. In questo senso l’accordo fra i due leader cristiani Michel Aoun e Samir Geagea è un buona cosa, va nel senso dell’unità. È la mia linea: essere corretto e onesto con tutti. Almeno fino all’elezione del presidente. Ma quella verrà decisa a Teheran, o a Mosca, non lo so. Siamo parte dell’Impero persiano, ormai».
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