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Ugo Volli
Cartoline
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Perché ci sbagliamo sull'Iran 01/03/2016
Perché ci sbagliamo sull'Iran
Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli

A destra: la democrazia iraniana

Cari amici,

vi scrivo di lunedì pomeriggio. Le elezioni in Iran si sono svolte venerdì. I risultati sono molto incerti. L'ANSA (datata 28 febbraio ore 20.39) parla di 96 deputati riformisti, 91 fondamentalisti 25 indipendenti, 26 “altri”, 52 da assegnare nei ballottaggi (http://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/2016/02/26/elezioni-in-iran-aperti-i-seggi_ea4d75d2-8a33-4428-9e42-19c6256becaf.html). Il "Jerusalem Post", citando l'agenzia Reuters del sempre 28 alle 19.09 parla di 79 riformisti, 106 fondamentalisti, 44 indipendenti (http://www.jpost.com/Middle-East/Iran-News/Rouhanis-relative-reformists-set-to-increase-representation-in-parliament-446312); Fiamma Nirenstein sul "Giornale" del 29 parla di 167 deputati moderati o riformisti (http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=9&sez=120&id=61572). Tutti i giornali sottolineano la notizia dei 30 deputati su 30 eletti dal gruppo di Rouhani a Teheran come una grande vittoria dei riformisti, senza ricordare che la capitale era fino a qualche anno fa la base di potere del presidente ultraconservatore Ahmadinedjad: dove sono andati tutti gli islamisti di Teheran? Possibile che non ne sia rimasto nessuno? O forse siamo a un fenomeno simile a quelle vittorie elettorali di Palermo, dove come per miracolo grandi maggioranze si formano da un'elezione all'altra per sindaci di destra o di sinistra, sempre compatte e larghissime?

Differenze del genere vi sono anche nella valutazione dei risultati dell'"Assemblea degli esperti" dove risiede la maggior parte del potere legale, compreso quello di eleggere la "Guida Suprema" eletta a vita - e le voci su una grave malattia in corso di Khamenei fanno pensare che questo potere possa essere esercitato presto. Molti hanno parlato anche qui di una vittoria dei riformisti, sempre basandosi sui dati di Teheran; ma la maggioranza, a quanto pare, resta in mano ai conservatori.

Io non credo naturalmente che la discordanza dei risultati sia colpa dei giornalisti che ne scrivono: alcuni di essi come Fiamma Nirenstein sono fra i migliori esperti di Medio Oriente. Essa dipende invece da tre fattori, che vanno considerati con attenzione. Il primo è che i dati arrivano piano e con incertezza, magari aggiustati come in tutti i paesi dittatoriali. Non ci sono state finora rimostranze per queste elezioni come per quelle degli scorsi anni (è da queste proteste che iniziarono le manifestazioni "verdi" tradite da Obama), anche se il 90 per cento dei candidati davvero riformisti sono stati eliminati dal "Coinsiglio dei guardiani" che garantisce il regime. Il secondo aspetto è che le distinzioni sono molto sfumate: il grande capo dei "progressisti" Rouhani non ha affatto smorzato la polemica antiamericana né tanto meno l'appello alla distruzione di Israele e sotto il suo regime le esecuzioni capitali, che già erano da record mondiale, sono diventate ancor più numerose, circa un migliaio l'anno scorso; il suo padrino Rafsanjani, che gli ottimisti a tutti i costi vorrebbero fosse eletto Guida Suprema dopo Khamenei, è seriamente indiziato per la strage al centro ebraico di Buenos Aires. In fondo, come scrive un giornalista israeliano (http://www.israelnationalnews.com/News/News.aspx/208667), questo progressismo "è solo questione di tattica", non di strategia. La scelta quindi è solo fra il male e il peggio (http://www.algemeiner.com/2016/02/28/iran-expert-election-results-signify-victory-of-bad-over-worse-interview/).

Il terzo aspetto è l'ingiustificato e assurdo ottimismo occidentale sull'Iran (http://www.rightsreporter.org/elezioni-in-iran-ridicolo-e-ingiustificato-ottimismo-occidentale/), che come vi dicevo ieri ancor più che ottimismo è sottomissione. Essere ottimisti, in politica come nella vita, può essere una gran forza, perché induce a contare sulle proprie possibilità. Ma è anche pericoloso, può indurre a non fare quel che è necessario, a immaginare che le cose andranno per forza come desideriamo. Bisogna dunque contemperare "l'ottimismo della volontà" col "pessimismo della ragione", per citare Gramsci: non mettere la testa sotto la sabbia, prepararsi anche per la peggiore delle possibilità, ma stare pronti a cogliere la migliore. E' quel che Israele ha sempre fatto, e che è assai diverso da come l'Europa in questi anni si fa ingannare dalle trovate di relazioni pubbliche più banali, come quelle di Rouhani, presidente iraniano che di diverso dal suo predecessore ha solo il sorriso.

Immagine correlata
Ugo Volli


http://www.informazionecorretta.it/main.php?sez=90

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