Riprendiamo da LIBERO di oggi, 29/02/2016, a pag. 14, con il titolo "Violiamo un patto segreto, per questo l'islam ci attacca", l'intervista di Francesco Borgonovo a Bat Ye'or.
Francesco Borgonovo
Bat Ye'or
Credete che l'islam sia una religione di pace, come ripetono intellettuali e politici di mezzo mondo? Beh, arrivate alla fine di quest'intervista e cambierete idea. Capirete che la guerra è un dovere religioso per i musulmani. E scoprirete alcuni aspetti inquietanti del rapporto fra l'Europa e l'islam. A rivelarli è Bat Ye'Or, una delle più importanti studiose dell'islam al mondo. Autrice del bestseller Eurabia, citata da Oriana Fallaci e Michel Houellebecq, al jihad e alle sue forme ha dedicato un libro straordinario. Si intitola Il declino della cristianità sotto l'Islam. Dal jihad alla dhimmitudine (Lindau). Sfogliarlo è sconvolgente: bisogna farlo.
Partiamo dalle basi. Che cos'è il jihad? "Il jihad è un sistema teologico, politico, giuridico, ed economico di guerra perpetua che la comunità musulmana, l'umma, è obbligata a fare contro i non-musulmani. Secondo questa ideologia, l'umanità è divisa in due campi nemici: il campo in cui governa la legge di Allah (la shari'a), cioè il dar al-islam, regione di pace e di giustizia; e il campo dei non-musulmani che non obbediscono alla shari'a. Questa regione è quella del male, dell'idolatria, ed è chiamata dar al-harb, regione della guerra (harb) perché i musulmani sono costretti a conquistarla per imporvi la shari'a. Gli abitanti del dar al-harb sono chiamati harbi, quelli a cui si fa la guerra. Non sono divisi fra loro da nazionalità o religione, tutti insieme costituiscono il mondo dei non credenti. Il diritto di vivere degli harbi non è riconosciuto. Il musulmano può ucciderli o prenderli in ostaggio o ridurli in schiavitù. Alla base del jihad c'è la credenza che tutta la Terra appartiene ad Allah e che lui la destina soltanto alla sua comunità di fedeli. Quando i musulmani prendono un Paese del dar al-harb, di fatto riprendono un bene che era loro e che i miscredenti possedevano illegalmente. Quando fanno la guerra, dunque, si tratta di una guerra di difesa per riprendere il bene a loro destinato da Allah e se il miscredente si oppone, l'aggressore è lui».
E questo cambio di prospettiva che cosa comporta? «Vediamo che in questa interpretazione i termini di aggressore e di resistenza o difesa sono invertiti. Se ci sono violenza, guerra e morti, sono i miscredenti i responsabili, perché avrebbero dovuto sottomettersi agli eserciti musulmani senza resistenza. Prima di fare la guerra, il califfo domanda alla popolazione infedele di convertirsi all'islam o di accettare senza opporsi la dominazione musulmana. Se essa rifiuta, allora gli fa la guerra».
Come viene condotto il jihad? «Questa guerra dev'essere portata avanti secondo le leggi teologiche che oggi sono applicate dallo Stato Islamico. Basate sulla shari'a, esse regolamentano le strategie e le tattiche delle operazioni militari, il trattamento dei popoli vinti, il regime fiscale da assegnare ai territori conquistati e lo statuto giuridico dei vinti chiamati ormai dhimmi (sotto la protezione dell'islam). Ma il jihad può farsi anche con mezzi pacifici: il proselitismo, la propaganda, e la corruzione messa in atto da personaggi in posizioni di responsabilità».
Come vengono trattati gli abitanti dei Paesi a cui i musulmani fanno guerra? «ll harbi, in quanto abitante del territorio della guerra, è un nemico che non può avventurarsi nelle terre dell'islam, in cui secondo la legge, ogni musulmano è autorizzato a ucciderlo e a impadronirsi dei suoi beni. Tuttavia la sua sicurezza può essere garantita dall'aman, una protezione temporanea. Quando una porzione del dar al-harb è conquistata e diventa parte dal dar al-islam, i suoi abitanti (harbi) sono considerati prigionieri di guerra. L'imam può condannarli al massacro, alla schiavitù, all'esilio, oppure trattare con i loro rappresentanti e concedere loro un patto di protezione (dhimma), che conferisce loro lo stato di dhimmi. Poiché la condizione di dhimmi è il diretto risultato del jihad, essa è legata al contratto che sospende l'originario diritto del vincitore sui vinti, in cambio dell'accettazione da parte dei dhimmi del pagamento di un tributo e della loro sottomissione all'islam. In quanto guerra permanente, il jihad esclude la nozione di pace ma prevede delle tregue temporanee legate alle contingenze politiche. Queste tregue sono limitate a dieci anni e possono essere revocate unilateralmente dall'imam dopo notificazione all'avversario. La legge jihadista regola pure le modalità dei trattati con il dar al harb, le condizioni del pagamento del tributo o del vassallaggio nello stadio intermedio di non guerra. Considerato dai dotti dell'islam uno dei pilastri della fede, è obbligatorio per tutti i musulmani di contribuire al jihad sia nella guerra sia con il denaro o in altri modi».
Può spiegare quando è nato il jihad e come è nato? ll jihad nacque a Yathrib (più tardi chiamata Medina) dopo la fuga di Maometto dalla Mecca (nel 622), dov'era perseguitato dagli idolatri. Lì il Profeta organizzo alcune spedizioni volte a intercettare le carovane che commerciavano con La Mecca. Una serie di rivelazioni divine, elaborate ad hoc per tali spedizioni, vennero a legittimare i diritti dei musulmani sui beni e la vita dei loro nemici pagani, e furono creati versetti coranici finalizzati a santificare di volta in volta il condizionamento psicologico dei combattenti, la logistica e le modalità delle battaglie, la spartizione del bottino e la sorte dei vinti. A poco a poco, negli attacchi contro ebrei e cristiani, fu definita la natura delle relazioni da adottare nei confronti dei non musulmani nel corso delle imboscate, delle battaglie e delle tregue, ossia dell'intera gamma di strategie in cui si articolava la guerra santa necessaria ad assicurare l'espansione dell'islam».
Perché al Profeta serviva una giustificazione religiosa alla guerra nel Corano? «In quel tempo la gente era molto religiosa. Tutte le forme di autorità e di governo erano basate sulla religione. L'islam è nato in una società nomade e bellicosa che aveva le sue regole di guerra e che praticava la razzia sui sedentari - artigiani, contadini e mercanti - non protetti dai pagamenti che garantivano "protezione" alle tribù. La dottrina del jihad mutua le pratiche razziatorie tipiche dei nomadi, ma mitigandole con una serie di ingiunzioni contenute nel Corano. Gli Arabi pagani di Medina chiedevano a Maometto di fornire loro un libro sacro come quello che avevano gli ebrei e i cristiani. Un libro che sarebbe stato per loro una guida e che avrebbero studiato come avevano visto fare agli ebrei di Medina».
Che cosa comporta il fatto che il jihad sia una istituzione dell'islam? «Questo ha due conseguenze. 1) Il jihad, essendo una parte importante della religione, non può essere revocato senza un serio esame delle sue fonti teologiche e giuridiche. 2) Tutte le relazioni umane con gli infedeli sono disciplinate dalle regole religiose del jihad. Tuttavia oggi moltissimi musulmani non conoscono la teoria del jihad o la rifiutano. Le sanzioni jihadiste contro gli apostati sono ancora più severe che contro gli infedeli».
Possiamo dire che la religione islamica crea uno stato di guerra permanente contro gli infedeli? «Finché il jihad non è revocato si può dire che le relazioni con gli infedeli si sviluppano all'interno di questo quadro. La guerra contro Israele è un jihad. Con l'Egitto e la Giordania c'è una pace fredda. L'Europa e l'America sono nella categoria della tregua, che impone dei doveri».
Quali? «ll più importante è la loro cooperazione al jihadismo palestinese per distruggere Israele. Quando Europa e America non obbediscono, il terrorismo le colpisce. L'antisionismo dell'Europa è la sottomissione di un continente alla minaccia jihadista. Oggi l'implicazione dell'Occidente contro movimenti radicali musulmani ha intensificato e mondializzato il terrorismo jihadista. Gli altri doveri della tregua sono l'accettazione dell'immigrazione musulmana, la costruzione di moschee, il permesso per la da'wa, le sanzioni contro la blasfemia, il pagamento del tributo, il dovere di vassallaggio per sostenere le cause musulmane. Gli infedeli dei Paesi della tregua sono tenuti a non ostacolare l'avanzata dell'islam nel loro territorio. La legge islamica non riconosce alcun trattato contrastante con tali accordi, che inoltre è obbligatorio rinnovare ogni dieci anni. II rifiuto di permettere la diffusione dell'islam nei Paesi della tregua equivale a un casus belli e può provocare una ripresa del jihad».
Ci sono però musulmani che a livello individuale non accettano la dottrina jihadista. «Sì. I Kurdi per esempio. Io ho parlato di una dottrina vecchia di tredici secoli. Questo non vuol dire che l'insieme del mondo musulmano l'accetti. Oggi il mondo musulmano è molto diviso su questo problema. Il generale egiziano Al-Sisi, per esempio, ha chiesto alle più alte autorità musulmane di modernizzare la religione. In Turchia, Atatürk fece una rivoluzione che cambio il Paese».
Poi, però, ci sono i gruppi che fanno ricorso al terrorismo... «II terrorismo oggi ubbidisce alle tattiche del jihad. Non ce ne rendiamo conto perché non le conosciamo, ma viviamo in un tempo di mondializzazione del jihad che si manifesta in tutti i continenti contro i non-musulmani ma anche contro i musulmani modernizzati e apostati e contro gli Stati musulmani che non applicano le regole della shari'a. La guerra dei Palestinesi contro Israele è un jihad come lo sono gli attacchi terroristici in tutto il pianeta. La condizione stabile fra gli Stati dell'Unione europea e i Paesi della Lega Araba e quelli dell'Organizzazione della Cooperazione Islamica (56 Paesi musulmani) rappresenta uno stato di tregua temporanea, che esige il pagamento di tributi e il vassallaggio. L'Europa pagava per lo sviluppo economico dei Paesi arabi del Maghreb ed altri del Medio Oriente, per l'Unrwa. Partecipa alla guerra contro Israele con una propaganda di odio e di delegittimazione, adotta la narrazione musulmana della storia e cambia l'istruzione scolastica. Inoltre accetta una immigrazione massiva, la costruzione di moschee e i comandamenti della shari'a, proibisce le critiche dell'islamismo».
Alcuni europei, tuttavia, non hanno voglia di sottomettersi. «Oggi parecchi Paesi europei partecipano alle guerre intra-musulmane, e le loro popolazioni si oppongono all'immigrazione, allo sviluppo delle moschee, alle condanne per blasfemia - queste sono condizioni per un casus belli che provochi la ripresa del jihad. Non si può proibire l'immigrazione e la costruzione di moschee nei Paesi della tregua...».
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