lunedi` 25 novembre 2024
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Lo dice anche il principe saudita Bin Salman: Khamenei è il nuovo Hitler


Clicca qui






La Stampa - Corriere della Sera Rassegna Stampa
23.02.2016 Iran tra 'moderati' e 'oltranzisti': ma alla fine a decidere sono i fanatici ayatollah
Claudio Gallo, Sergio Romano

Testata:La Stampa - Corriere della Sera
Autore: Claudio Gallo - Sergio Romano
Titolo: «Treni dalla Cina e capitali dall'Ovest: così risorge Teheran - Le statue inscatolate, ancora una osservazione»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 23/02/2016, a pag. 1-17, con il titolo "Treni dalla Cina e capitali dall'Ovest: così risorge Teheran", il commento di Claudio Gallo; dal CORRIERE della SERA, a pag. 41, con il titolo "Le statue inscatolate, ancora una osservazione", la risposta di Sergio Romano a una lettera.

Ecco gli articoli:

Immagine correlata
Hassan Rohani (a destra) con l'ayatollah supremo Ali Khamenei

LA STAMPA - Claudio Gallo: "Treni dalla Cina e capitali dall'Ovest: così risorge Teheran"

Interessanti i dati storici e statistici sull'Iran, come anche la storiella sulle tigri e la fragolina selvatica. Suo malgrado l'articolo è monco: prima di prevedere quale potrà essere il futuro dell'Iran forse andava esaminato con più precisione il significato del piano strategico da realizzare entro il 2025 e firmato dall'ayatollah Khamenei.
L'Iran, infatti - questa la dichiarazione ufficiale - vuole diventare la prima potenza del Medio Oriente. Poiché dall'Iran partono molti dei finanziamenti che diffondono il terrorismo in tutta la regione e oltre - pensiamo per esempio alla strage di Buenos Aires nel 1994 - ci si chiede se questo obiettivo vada facilitato o combattuto dall'Occidente.
Ci auguriamo che queste riflessioni possano essere contenute in un prossimo articolo di Claudio Gallo.

Ecco il pezzo:

Immagine correlata
Claudio Gallo

Il presidente Rohani è tornato dall’Europa con 55 miliardi di euro in contratti preliminari. Da qualche giorno le banche iraniane sono rientrate nel club Swift da dove mancavano dal 2012: potranno di nuovo inviare e ricevere pagamenti attraverso il sistema bancario globale. Il ministero dell’Energia ha fatto sapere che non aderirà all’accordo russo-saudita per congelare la produzione del greggio; vendere, vendere, è il mantra.

A chiudere il circolo da Oriente, la scorsa settimana è arrivato a Teheran, pavesato a festa, un treno partito 14 giorni prima dalla provincia di Zhejiang con 32 container; il primo convoglio della nuova Via della Seta che unisce Cina e Iran, con un risparmio di quasi un mese rispetto alle rotte tradizionali.

La «svolta»
Tutto fa pensare che nella capitale iraniana, immersa nella coltre irrespirabile del traffico esagerato, al di sotto degli Alborz spolverati di bianco (anche qui gli inverni non sono più gli stessi…) si dovrebbe sentire il rombo dei motori della ripresa economica. Ma la dispettosa complessità del mondo interconnesso non vuole saperne di semplificazioni: la risposta sintetica è un deludente «sì e no». Nessuno infatti prevede che l’impatto della «svolta» economica sulle elezioni parlamentari di venerdì sarà decisivo.
I filosofi oggi per farsi capire pubblicano libri di barzellette, perché allora non rispolverare una vecchia storiella zen? L’Iran è come un uomo (non sappiamo se buono o cattivo) caduto in una trappola per tigri. Fortunatamente riesce ad aggrapparsi a un cespuglio che penzola sulla fossa. Che fortuna. Guardando meglio, però, la sua situazione non è così felice. Sotto di lui una tigre caduta nella trappola si agita, ringhiando in attesa della preda. Diciamo che la belva ringhia proprio come un certo possibile candidato repubblicano alla presidenza degli Stati Uniti. Di più; due topolini, uno bianco e uno nero, stanno rosicchiando il ramo a cui è appeso. Tradizionalmente rappresentano lo scorrere del tempo, ma potrebbero anche essere gli irriducibili avversari regionali di Teheran: l’Arabia Saudita e Israele. Bene, al culmine dell’angoscia il nostro eroe vede vicino al ramo che lo sorregge una fragolina selvatica. La spicca e... com’è dolce!
Siamo a questo punto, con il Jcpoa (Joint Comprehensive Plan of Action, nel linguaggio esoterico della diplomazia, l’accordo sul nucleare raggiunto lo scorso anno a Vienna, in vigore da novembre) l’Iran sta gustando la sua fragola.

Nuove difficoltà
Il futuro prepara forse nuove difficoltà, anche se lo scenario è meno angusto di una trappola per tigri. Le sanzioni, si può dire, sono sparite a livello politico ma praticamente non è cambiato molto. Anche dopo lo sbandierato ritorno nello Swift, spedire denaro, poniamo, da una banca italiana a una iraniana è ancora impossibile. Scordatevi di venire in Iran per turismo con la carta di credito: in mani americane, il circuito internazionale è ancora ermeticamente chiuso. L’unica possibilità è andare in giro imbottiti di banconote, come spacciatori. I famosi «contratti» che il presidente Rohani ha portato dall’Europa sono stati malignamente definiti da un analista americano «lettere di entusiasmo». Come dire, meno che lettere di intenti.

Una serie di sanzioni americane precedenti alla crisi nucleare sono ancora in vigore e bloccano di fatto ogni cosa, anche contratti teoricamente permessi dal nuovo accordo. Un esempio? Adesso un’azienda aeronautica europea può vendere i suoi aerei all’Iran, ma, se nel prodotto c’è più del 10 per cento di componenti made in Usa, bisogna chiedere il permesso a Washington. L’erotismo del business tuttavia ha talvolta la meglio anche sull’intransigenza americana, come nel caso della Boeing. Di fronte all’assalto del mercato iraniano da parte dell’Airbus, l’azienda di Seattle ha avuto una deroga dal governo Usa per trattare con Teheran. «In Dollar we Trust». L’Iran punta sulle differenze (non molto grandi, in realtà) tra Europa e America, entrambi firmatari dell’accordo nucleare. Safar-Ali Karamati, vice direttore dell’industria nazionale del petrolio, ha appena proclamato che la priorità iraniana «è vendere il greggio in euro».
Si potrebbe metterla anche così: pessimismo della politica, ottimismo del mercato. Settantotto milioni di persone fanno gola a molti in tempo di recessione globale: un Paese dalle dimensioni della Turchia pronto a entrare nel club dei consumi. Una terra con la terza riserva mondiale di petrolio, la seconda di gas, prima per lo zinco, seconda per il rame.

Seduto all’ampia scrivania di mogano, con alle spalle i tetti della capitale che riempiono l’orizzonte, il direttore del dipartimento di analisi della Borsa di Teheran Hamid Moghadan spiega: «Prima della caduta delle sanzioni il nostro volume d’affari giornaliero era di 40 milioni di dollari, adesso è salito a 140. Il Tedpix, l’indice principale, è cresciuto in questo periodo del 20 per cento». Pochi giorni fa Oslo ha concesso il via libera al fondo governativo pensionistico (che vale 735 miliardi di euro) per l’acquisto di buoni dello Stato iraniano.

Non è solo l’intransigenza americana a frenare il boom annunciato: gli ambienti iraniani più oltranzisti vedono il business con l’Occidente come un possibile grimaldello per il famoso cambio di regime che le sanzioni (certo, qualcuno dirà che non era il loro obiettivo) non sono riuscite a ottenere. L’aumento e una maggiore diffusione del benessere rappresentano in fondo una sfida per il mondo degli ayatollah e una minaccia al loro potere. Ecco perché, attraverso interventi in tv e sui giornali conservatori, gli oltranzisti hanno criticato gli accordi siglati dal presidente Rohani in Europa. Il tenore degli attacchi è tutto nella dicitura della foto di un A-380 pubblicata dall’agenzia Fars: «In un momento in cui l’aviazione civile è usata solo dal 5 per cento della popolazione e il Paese è in recessione, bisogna chiedersi perché la prima importante mossa economica del governo sia di comprare degli Airbus».

Il piano di Khamenei
Ufficialmente, il futuro dell’Iran è contenuto nel piano strategico firmato dall’ayatollah Khamenei e intitolato: «Vent’anni di visione nazionale». L’obiettivo è far diventare il Paese la prima potenza del Medio Oriente entro il 2025. La Repubblica islamica vuole modernizzarsi restando fedele alla propria visione tradizionale. Sarà possibile? È comunque importante che il documento riconosca che quell’obiettivo potrà essere raggiunto solo con un’interazione positiva con il resto del mondo.

CORRIERE della SERA - Sergio Romano:  "Le statue inscatolate, ancora una osservazione"

Sergio Romano ripete senza requie la storiella di due Iran: quello "moderato e riformista" e quello oltranzista. Si dimentica però di scrivere che entrambi devono rendere conto alla dittatura clericale degli ayatollah, a partire dalla Guida Suprema Ali Khamenei.

Ecco lettera e risposta:

Immagine correlata
Sergio Romano

A proposito del «buonsenso di rispettare le abitudini degli invitati», ho letto alcuni esempi incoerenti. Gli ospiti certamente non devono comportarsi gli uni con gli altri come la volpe e la cicogna della celebre favola. Tuttavia, le statue coperte sono un aspetto del problema. Infatti al Quirinale non è stato messo in tavola il vino per rispetto dell’ospite persiano. Dunque, quando la visita sarà ricambiata, a Teheran dovremmo aspettarci che fosse servito il vino per rispetto dell’ospite italiano. Impossibile, non accadrà. Quanto al vino, l’omissione è bruciante, perché nell’antichità il nome dell’Italia era Enotria, terra del vino! Gli italiani possono essere realisti senza apparire lacchè?

Pietro Di Muccio de Quattro
dimucciodequattro@alice.it

Caro Di Muccio, A quanto è stato scritto sulla vicenda delle statue, aggiungo soltanto una considerazione politica. Hassan Rouhani ha conquistato la presidenza della Repubblica grazie ai giovani dell’Onda Verde, vale a dire grazie al voto di quella generazione che aveva inutilmente contestato nel 2009 il conferimento di un secondo mandato a Mahmoud Ahmadinejad. Rouhani ha vinto, in ultima analisi, per alcune circostanze favorevoli: appartiene all’establishment ecclesiastico del Paese e aveva il vantaggio di proporsi alla successione di un uomo che era responsabile di una disastrosa gestione dell’economia nazionale. Ma le milizie islamiche dei pasdaran non lo detestano meno di quanto detestassero nel 2009 Hossein Moussavi, l’oppositore di Ahmadinejad che è tuttora agli arresti domiciliari.

La Guida Suprema è parsa benevolmente neutrale, soprattutto durante il negoziato per un accordo sulla politica nucleare iraniana, ma non perde occasione per fare dichiarazioni contro gli Stati Uniti. Non è un segreto, d’altro canto, che l’accordo sul nucleare sia criticato da una parte considerevole della classe dirigente di Teheran. In queste ultime settimane, mentre si avvicina la data delle prossime elezioni per il rinnovo del Parlamento (26 febbraio), il Consiglio dei Guardiani ha eliminato circa metà dei dodicimila aspiranti che avevano depositato la loro candidatura. Sembra che fra i bocciati vi sia anche un nipote dell’Ayatollah Khomeini, fondatore della Repubblica islamica. In un tale clima politico è inevitabile che ogni viaggio di Rouhani in una democrazia occidentale sia scrutato dai suoi critici e oppositori, tutti a caccia di un errore che permetta di esporlo a una pubblica accusa.

È possibile che il cerimoniale italiano abbia dato prova di un eccesso di zelo o, peggio, di poca fantasia. Ma era politicamente giusto evitare situazioni che avrebbero dato Rouhani in pasto ai suoi nemici. Aggiungo, caro De Muccio, un’ultima considerazione. La grande virtù dell’Occidente, da Voltaire, Hume e altri protagonisti dell’illuminismo francese e scozzese, è la tolleranza, una virtù che consente di sopportare pazientemente le abitudini e i costumi degli altri anche quando ci sembrano inutili o stravaganti. Se la scelta è fra la severa applicazione del principio di reciprocità o la tolleranza, io sceglierei la tolleranza.

Per inviare la propria opinione ai quotidiani, telefonare:
La Stampa 011/65681
Corriere della Sera 02/62821
Oppure cliccare sulle e-mail sottostanti 


direttore@lastampa.it
lettere@corriere.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT