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La Stampa Rassegna Stampa
22.02.2016 Sigonella & Achille Lauro: Craxi il malfattore, sconfitta la giustizia
Commenti di Fabio Pozzo, Paolo Mastrolilli

Testata: La Stampa
Data: 22 febbraio 2016
Pagina: 10
Autore: Fabio Pozzo - Paolo Mastrolilli
Titolo: «Operazione Margherita, così all'ultimo saltò il blitz italiano all'Achille Lauro - 'Craxi fu il vero vincitore nella crisi di Sigonella'»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 22/02/2016, a pag. 10, con il titolo "Operazione Margherita, così all'ultimo saltò il blitz italiano all'Achille Lauro", il commento di Fabio Pozzo; a pag. 11, con il titolo "Craxi fu il vero vincitore nella crisi di Sigonella", il commento di Paolo Mastrolilli.
Su entrambi il nostro commento.

Ecco gli articoli:

Fabio Pozzo:  "Operazione Margherita, così all'ultimo saltò il blitz italiano all'Achille Lauro"

La partecipazione delle forze armate italiane al sequestro dell'Achille Lauro dimostra - se ce ne fosse ancora bisogno - la totale incapacità decisionale che le contraddistingue. In più, considerando gli anni in cui è avvenuta la vicenda, il 'contributo' determinante dei governi Craxi-Andreotti, schierati di brutto con i nemici di Israele. Un racconto raffazzonato, una pagina sprecata.

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Fabio Pozzo

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Quando il cercapersone si metteva a suonare scattava il conto alla rovescia. Gaetano Zirpoli, campano, capo Incursore della Marina, sapeva di aver tre ore per raggiungere la base. Era la regola. «Arrivo al Varignano e mi dicono che devo partire. Non riesco nemmeno a prendere lo spazzolino, solo la borsa con le dotazioni da combattimento. Mi peso sul piazzale, per il calcolo dell’assetto dell’elicottero, salgo sul pulmino e quando arriviamo sulla pista di Luni ci sono già le pale dell’SH-3D che scaldano l’aria».

Anche Danilo Gattoni, piemontese, tenente di vascello Incursore, era nella lista dei partenti. «La sera precedente ero rimasto a casa, con mia moglie. Il televisore spento.
Mi avverte il capoguardia l’indomani alla base: “Guarda che il team è già andato”. L’ordine è di preparare i ferri del mestiere. A mezzogiorno sono su una Campagnola con i colleghi, due specialisti in lanci col paracadute come me e altrettanti esperti in cariche esplosive, diretto a Pisa».

La missione
È l’8 ottobre 1985, l’Operazione Margherita è in corso. Nelle acque egiziane, tra Alessandria e Porto Said, quattro terroristi del Flp di Abu Abbas hanno dirottato l’Achille Lauro: sulla nave da crociera italiana - 196 metri di lunghezza, riarmata Chandris - ci sono 344 membri d’equipaggio e 101 passeggeri (664 erano scesi a terra, convinti dal commissario di bordo Max Fico a visitare per 93 dollari il Cairo e le Piramidi). Prima dell’alba erano già stati aperti dal governo i fronti diplomatici e c’era stato il via libera per un piano d’intervento militare: la scelta era ricaduta sugli Arditi Incursori della Marina, sui parà del 9° Reggimento d’assalto Col Moschin e su un reparto della brigata San Marco.
Non c’era stato bisogno di cercapersone per il capo Incursore Antonio Brustenga: umbro, basco verde col 15° corso (Gattoni è del 24°, Zirpoli del 28°: i corsi sono cominciati nel 1952, ad oggi sono stati superati da poco più di 900 uomini; quest’anno in sei), era già al Varignano, la base dei Navy Seal italiani che domina il Golfo della Spezia. In servizio nell’ufficio d’intelligence, era stato tra i primi a sapere. «Organizziamo gli invii del personale e gestiamo le informazioni. In principio non conosciamo il numero dei dirottatori né, finché non si alzano gli aerei ricognitori Breguet-Atlantic, la posizione della nave. Mancano anche i piani tecnici della Lauro, indispensabili per individuare aree idonee per il rilascio degli operatori e i locali ostaggi: non spunteranno mai fuori. Quando poi entra in azione il Vittorio Veneto le informazioni giungono direttamente a bordo dell’unità e noi restiamo di supporto».

L’incrociatore della Marina era in navigazione verso l’Egitto. Gli incursori lo raggiungono con tre SH-3D. «Sull’elicottero siamo una decina, più l’equipaggio - racconta Zirpoli -. Stipatissimi, tra le borse dei materiali. Un volo diretto, per risparmiare carburante, credo duri almeno sei ore. Mi metto le cuffie da tiro e riesco anche a dormire un po’». Gattoni, invece, da Pisa raggiunge la base della Raf di Akrotiri, a Cipro. «Con l’aereo presidenziale. Io mi siedo proprio dove Pertini ha giocato a scopone con Bearzot, Zoff e Causio di ritorno dal Mundial. Atterriamo a Cipro poco prima dell’alba. Qui ci sono già i Delta Force, le forze speciali americane. Sono agitati, impegnati in un’attività febbrile: muovono materiali, approntano piccoli elicotteri. Capiamo subito che si stanno preparando a intervenire». È il 9 ottobre. Sarà l’ambasciatore Usa a Roma, Maxwell Rabb, a informare il premier Bettino Craxi che l’assalto era stato previsto dal Pentagono per quella notte.

Anche lo spezzino Walter Braccini, allora tenente di vascello, 22° corso Incursori, comandante dei tiratori scelti, era al Varignano. «Tre le soluzioni: arrivare sulla Lauro dall’alto con gli elicotteri, raggiungerla dal mare con i battelli o agire con un’azione combinata. L’ipotesi battelli è però scartata, perché la nave era troppo veloce. Navigava a 20 nodi, le nostre unità non superavano i 10. Si è pensato anche di sabotarla, per fermarla».

L’ostaggio ucciso
Quando la nave da crociera sarà nelle acque siriane di Tartous la situazione precipita. I terroristi uccidono uno degli ostaggi, l’ebreo americano Leon Klinghoffer, classe 1916, emiplegico per una trombosi, in crociera con la moglie. «Ripartiamo da Akrotiri con l’elicottero: dobbiamo unirci ai colleghi sul Veneto e andare all’assalto. Spettava a noi farlo, perché l’Achille Lauro era territorio italiano», ricorda Gattoni. «Andavamo su è giù per i ponti dell’incrociatore, provando fino allo sfinimento le modalità d’assalto - continua Zirpoli -. Avremmo dovuto saturare l’obiettivo in pochi secondi; guadagnare la plancia, la stazione radio. Ma senza piani della nave… I terroristi potevano essere ovunque». Sì, non sarebbe stata una «bonifica» facile. «Se i palestinesi avessero aperto il fuoco - ammette Gattoni - noi avremmo risposto». Con i rischi del caso. Ma non si porranno. «Mentre stiamo atterrando sull’incrociatore il pilota c’informa che la missione è annullata. Cessata crisi, i dirottatori si sono arresi». Era prevalsa la soluzione diplomatica.
Poi il caso Sigonella, mentre gli incursori rientrano al Varignano, nei ranghi del Team Torre, il primo nucleo anti-terrorismo italiano, nato dal Piano Trevi, l’accordo tra governi promosso da Londra nel 1977 per contrastare le sigle terroristiche. «Trenta, trentacinque uomini. Ci davamo il cambio ogni sei mesi», racconta ancora Braccini. Lo incontriamo alla Spezia, insieme agli altri reduci di quell’assalto mancato, nella sede dell’Associazione nazionale Arditi Incursori Marina, accolti dal vicepresidente Giuseppe Frijia, (19° corso). Tre stanze al Comando in Capo della Marina, il labaro con le medaglie d’oro, le foto di un passato eroico che richiama la Decima Flottiglia Mas e Mariassalto. «Ci hanno addestrati i Sas britannici. Armi, tecniche, persino la terminologia, lupi i terroristi e pecore gli ostaggi - continua Braccini -. Ci hanno allertato per il rapimento Moro, per un Dc9 dirottato su Fiumicino: eravamo in un hangar, pronti all’azione» . E l’Achille Lauro. «Chi si aspettava che il terrore potesse arrivare dal mare? Dopo abbiamo cominciato ad addestrarci sulle navi Costa con nuove tecniche di abbordaggio e con i primi elicotteri corazzati».

Paolo Mastrolilli:  "Craxi fu il vero vincitore nella crisi di Sigonella"

I documenti americani su Sigonella rivelano invece l'ennesima, errata politica estera americana. Vedere in Craxi un brillante politico, addirittura uno statista preoccupato di mantenere alto il prestigio del proprio paese, è stato un errore grossolano da parte dell'Amministrazione Usa, mal consigliata anche da quel modesto ambasciatore che fu Raab. In realtà Craxi agì contro l'America, in combutta con il terrorismo palestinese. Se " Craxi fu il vero vincitore" - come lascerebbe capire il titolo - bisogna allora aggiungere che "sconfitta fu la giustizia".

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Paolo Mastrolilli

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Bettino Craxi con Yasser Arafat

«Craxi è uscito dalla vicenda di Sigonella come il chiaro vincitore politico». Può sembrare strano leggere un simile giudizio, nel rapporto sul capo del governo italiano che l’ambasciata Usa di Via Veneto invia al dipartimento di Stato nel maggio del 1987. Eppure non è l’unica sorpresa in questo documento classificato «confidential», che il professore della Luiss Andrea Spiri ha ottenuto nell’ambito di una ricerca sulle relazioni tra gli Stati Uniti e i socialisti italiani. Il testo è firmato da John Holmes, ed è l’analisi più approfondita che i diplomatici americani abbiano fatto su Craxi all’epoca. Una valutazione da cui emerge un giudizio positivo, in certi casi ammirato, di un alleato che però aveva imposto con forza la visione italiana, al punto di sfidare il presidente Reagan nella drammatica notte di Sigonella.

Il documento top secret
Il documento si intitola «The Craxi factor in Italian Foreign Policy», e introduce il premier come «un socialista filo occidentale e pro Nato». Il suo stile diretto «a volte lo porta fuori binario, però mai in maniera irrecuperabile». La ragione per cui gli americani lo considerano il vincitore di Sigonella, almeno sul piano della politica interna, sta nel fatto che «si è presentato come il difensore della sovranità e dell’orgoglio nazionale». La sua presa di posizione, quando aveva rifiutato di consegnare ai marines i responsabili del dirottamento della nave Achille Lauro, è «un fattore che gli Usa dovranno pesare con attenzione, considerando successive operazioni militari nell’area». Eppure Holmes riconosce a Craxi di aver indurito la posizione italiana contro il terrorismo, più di quanto non avrebbe fatto il suo ministro degli Esteri Andreotti, in particolare dopo il successivo attentato di Fiumicino: «Il senso di tradimento dell’Italia da parte dei terroristi arabi, già alto dopo il dirottamento dell’Achille Lauro, è diventato oltraggio con l’assalto di dicembre all’aeroporto. Craxi si è mosso velocemente per diventare il portavoce di queste emozioni, presiedendo a un percettibile indurimento dell’atteggiamento dell’Italia verso il terrorismo». Non solo, ma pur avendo protestato contro i raid israeliani sulla sede dell’Olp a Tunisi, e manifestato riserve su quelli americani a Tripoli, «ha assunto la leadership dopo il lancio del missile contro Lampedusa nell’aprile del 1986. Ha cominciato avvertendo che un’altra azione simile non avrebbe ricevuto come risposta una nota diplomatica, e ha finito osservando che in certe circostanze, specificamente relative alla Libia, l’Italia avrebbe sparato il primo colpo. Per quanto ne sappiamo, è la dichiarazione più bellicosa fatta da un leader italiano dalla Seconda Guerra Mondiale. Craxi però non ha sbagliato nel giudicare la sua audience politica interna, perché non c’è stata la minima traccia di proteste».

Non tutti questi atteggiamenti di attivismo ricevono il plauso americano. Anzi, nel caso della «riflessione di Lisbona», quando Bettino suggerisce l’opportunità di congelare l’installazione dei missili Cruise se i sovietici manifestassero la disponibilità a negoziare, provocano una tirata d’orecchie: «Dopo un richiamo consegnato personalmente dall’ambasciatore Rabb, Craxi ha fatto marcia indietro, negando che intendesse una moratoria, e ha inviato un messaggio rassicurante al presidente Reagan». Eppure poi si era vantato che quella riflessione aveva spinto i sovietici a sedersi con serietà al tavolo delle trattative.

Il ruolo in Europa
Holmes nota anche la determinazione a contare di più in Europa, minacciando di boicottare il G7 di Venezia perché era stato preceduto da un G5, o imponendo ai colleghi della Comunità di avviare una conferenza intergovernativa per rafforzare l’unità continentale, la sua «Sigonella fiscale». Holmes osserva che «il problema critico per il peso internazionale dell’Italia è in Europa», dove Roma parla dei 4 grandi, ma Londra, Parigi e Berlino la escludono. Così si spiega la ricerca di una sponda negli Usa: «Noi abbiamo cercato di essere utili, ma gli amici europei dell’Italia hanno mostrato meno sensibilità». In questo quadro, l’ambasciata di Via Veneto sottolinea anche un atteggiamento un po’ provinciale di Roma: «L’Italia resta fissata con gli Usa, a un livello non toccato da nessun altro grande Paese europeo: i politici italiani cercano, piuttosto che evitare, i gesti di approvazione americana». L’Italia però è uscita dalla cappa di terrore degli Anni 70: «Craxi incarna questa nuova fiducia. È simbolo e portavoce di un’Italia che insiste nel contare, definire e perseguire i suoi interessi, e far sentire le sue opinioni. Per gli Usa, la nota di cautela è chiara: questa Italia più fiduciosa richiederà una considerazione più attenta».

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