Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 16/02/2016, a pag. 9, con il titolo "Le grandi manovre dell'Arabia Saudita per preparare l'attacco ad Assad", la cronaca di Giordano Stabile.
Giordano Stabile
Una mappa che non esiste più
Sarà una mega esercitazione, di terra, di mare e di cielo, «la più importante mai vista nella Regione». L’Arabia Saudita ha creato molta attesa attorno al «Thunder of the North», le manovre militari che si dovrebbero svolgere fra circa un mese al confine con la Giordania, a poche centinaia di chilometri dalla Siria. Soprattutto per l’insistenza posta da Riad su una prossima partecipazione a «operazioni di terra» sul territorio siriano, pur contro l’Isis e in accordo con gli Stati Uniti.
«Lotta all’estremismo»
Appare evidente che Riad punta sull’esercitazione come passaggio dalla coalizione impegnata in Yemen a quella più ambiziosa, composta sulla carta da 35 Paesi sunniti, nata lo scorso dicembre per la lotta «all’estremismo», con operazioni da condurre in Paesi islamici. Le manovre saranno «le più importanti mai condotte nella regione per numero di nazioni e tipi di armi usate», e coinvolgeranno forze terrestri, aeree e navali di venti Paesi. Oltre a quelli del Consiglio di cooperazione del Golfo, ci saranno anche Egitto, Giordania, Marocco, Pakistan.
Sono tutte potenze sunnite finora tiepide nell’impegnarsi in operazione militari. «Il primo obiettivo è dimostrare la compattezza dell’alleanza sunnita davanti all’Iran e ai suoi alleati - spiega Omar Mahmood, analista militare del Centre for Strategic, International and Energy Studies (Derasat) a Manama, in Bahrein –. Le esercitazioni mandano anche un messaggio agli avversari: abbiamo formato una coalizione e siamo pronti a metterla in pratica sul terreno».
La data e la durata delle manovre non sono state ancora comunicate. Ma Riad punta a coinvolgere «almeno diecimila militari, centinaia di tank e aerei» per dare seguito agli annunci. La componente navale parteciperà probabilmente dal Mar Rosso, dove la coalizione impegnata in Yemen ha dispiegato decine di unità e imposto un blocco navale per impedire rifornimenti ai ribelli sciti houthi. I dettagli saranno resi noti a marzo, quando a Riad si terrà il primo summit ufficiale della coalizione anti-terrorismo.
L’annuncio delle manovre, domenica, è stato accompagnato dall’arrivo dei primi F-15 sauditi alla base turca di Incirlik, con lo scopo ufficiale di «intensificare le operazioni contro l’Isis». Ma con la Turchia impegnata a cannoneggiare i curdi in Siria da tre giorni, per il tandem Ankara-Riad si prone il problema di come confrontarsi con le forze governative e russe in Siria. Anche perché sono due le possibili porte di entrata: a Sud dalla Giordania, a Nord dalla Turchia.
Per Jordi Tejel, analista dell’Iheid di Ginevra e studioso della questione curda, «il problema non è entrare in Siria ma uscirne». Anche se settori sempre più ampi dell’opinione pubblica e militari spingono per un intervento diretto dell’esercito turco contro i guerriglieri dello Ypg e l’esercito di Assad, «per il momento sia Ankara sia Riad pensano solo a raid aerei». Anche perché se entrano con truppe di terra «dovranno evitare sia i russi che gli alleati degli americani», cioè l’alleanza arabo-curda dell’Sdf.
Uno scenario escluso dagli avversari. Fonti vicine alla war room composta da russi, governativi, iraniani ed Hezbollah libanesi immaginano un possibile intervento di terra della coalizione sunnita «non prima di tre-quattro mesi» e si aspettano un ingresso dalla Giordania «nell’Est della Siria», in modo da evitare il confronto diretto con Assad e i suoi alleati. E di fatto una «spartizione in due» del Paese.
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