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Informazione Corretta Rassegna Stampa
15.02.2016 IC7 - Il commento di Giorgio Berruto: Guerra ai civili e propaganda globale
Dal 7 al 13 febbraio 2016

Testata: Informazione Corretta
Data: 15 febbraio 2016
Pagina: 1
Autore: Giorgio Berruto
Titolo: «IC7 - Il commento di Giorgio Berruto: Guerra ai civili e propaganda globale»

IC7 - Il commento di Giorgio Berruto
Dal 7 al 13 febbraio 2016

Guerra ai civili e propaganda globale


Civili israeliani uccisi da terroristi palestinesi

La Grande guerra è stata il primo conflitto internazionale deciso non dalle armi ma dalla forza complessiva dei Paesi che si scontravano sulle trincee di tutta Europa: economia, politica e società per la prima volta erano protese tutte a sostenere lo sforzo bellico. Per questo è stata definita “guerra totale”. La Seconda guerra mondiale ha aggiunto a ciò l’esplosione dell'utilizzo della propaganda, l’ideologia come motivo profondo di uno scontro che non era finalizzato a conquiste territoriali precise, ma all’annientamento dell’avversario oppure a costringerlo alla resa senza condizioni, e il ruolo decisivo della popolazione civile, che in quanto partecipe dello sforzo bellico di ciascun paese venne colpita metodicamente. Dopo la Seconda guerra mondiale, e sempre più oggi, le guerre vengono non soltanto subite con sempre maggiore intensità dai civili, ma anche da questi condotte.

La guerra difensiva che Israele sostiene per sopravvivere è da questo punto di vista esemplare per due motivi. Almeno dal 1921 lo Yishuv (le zone ebraiche della Palestina mandataria), divenuto nel 1948 Stato di Israele, subisce attacchi non solo da eserciti, ma anche e soprattutto da terroristi, ovvero civili in armi. Vero è che spesso, soprattutto dalla creazione dell'Olp nel 1964, non si è trattato semplicemente di civili ideologizzati al punto di uccidere per l’affermazione di un’idea, ma di bande organizzate – e lautamente finanziate da Paesi arabi e musulmani, Iran e anche, più o meno direttamente, da molte organizzazioni non governative, Paesi occidentali e organizzazioni internazionali. Gli esempi più tipici sono Hamas e soprattutto Hezbollah, vincolata direttamente alle scelte di politica estera di Teheran e con base in Libano. Bande organizzate di terroristi, comunque, non eserciti tradizionali. E, soprattutto, terroristi che colpiscono civili (israeliani): non solo perché parte più vulnerabile, ma anche per cercare di diffondere la paura nel Paese.

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Israele non è solo guerra (peraltro sempre difensiva), ma molto altro, nonostante la propaganda dei media

Il secondo aspetto fondamentale di questa guerra è la propaganda – un aspetto direttamente correlato al suo essere una guerra ideologica, di annichilimento, non fatta, come vorrebbe una certa vulgata, per spostare o ottenere confini, ma per rimodellare demograficamente e politicamente una regione: simile in modo inquietante, in questo, alla guerra condotta in Europa dalla Germania nazista contro gli ebrei. Si tratta di una propaganda martellante e continua che vuole dipingere l’unico Paese del Medio Oriente i cui cittadini godono, tutti, di pari opportunità formali, come un mostro razzista o, quantomeno, militarista e aggressore. Questa propaganda è più esplicita in gran parte del mondo arabo-musulmano, dove spesso e volentieri si parla senza remore di "liberare tutta la Palestina dal Giordano al mare" e “sterminare gli ebrei” e più implicita in Occidente, ma è in nuce la medesima.

Credo che questo punto sia fondamentale. Venerdì scorso un articolo del Manifesto ripreso da Informazione Corretta descriveva il leader laburista all’opposizione Ytzhak Herzog come un fanatico estremista “a destra di Netanyahu”. Qual è il significato che questa patente bugia vuole fare passare? Che tutti i governi israeliani – dunque anche tutti gli israeliani che li votano – sono estremisti, a prescindere dal colore politico. Possibile che l’unica democrazia reale del Medio Oriente sia stata rappresentata soltanto da fanatici estremisti, da Golda Meir a Begin, da Peres a Sharon, da Rabin a Olmert, da Barak a Netanyahu? La risposta è no. E non si dica che si tratta di una posizione politica legittima: è demonizzazione bella e buona.

Israele è molto più del conflitto – comunque difensivo – che è costretta a combattere. Per questo sarebbe doveroso che i media si dilungassero meno su guerre e terrorismo e più su quello che Israele ha costruito, non senza grandi difficoltà, in pochi decenni: il rimboschimento di vaste aree, la fondazione di città sul deserto, sempre nuove opportunità di integrazione, una società multietnica e multiculturale, una tecnologia all’avanguardia eccetera. Vorrei leggere più spesso sui quotidiani articoli sugli sport invernali praticati sul monte Hermon, l’unica località sciistica del Paese (Davide Frattini su Sette del Corriere della Sera di venerdì scorso), sui siriani curati nell’ospedale di Tzfat (Maurizio Caprara sul Corriere della Sera di mercoledì scorso) o sulle centinaia di camion carichi di beni di ogni sorta che ogni giorno da Israele entrano a Gaza (Daniele Raineri sul Foglio di giovedì scorso). E’ un modo per rendere conto della complessità e degli sforzi del Paese, ma anche per descrivere quella che in Israele è solida realtà.

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Giorgio Berruto


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