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La Stampa Rassegna Stampa
14.02.2016 L'Egitto distrugge i tunnel di Hamas a Gaza
Reportage di Massimo Russo

Testata: La Stampa
Data: 14 febbraio 2016
Pagina: 15
Autore: Massimo Russo
Titolo: «Quella battaglia dei tunnnel tra Egitto e Hamas a Gaza»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 14/02/2016, a pag.15, con il titolo " Quella battaglia dei tunnnel tra Egitto e Hamas a Gaza " l'articolo di Massimo Russo.

Nell'articolo, viene chiaramente evidenziato come l'Egitto distrugge i tunnel della morte scavati da Hamas: li inonda. Una tecnica che avevamo suggerito a Israele durante la guerra difensiva contro Hamas nell'estate 2014. Il mare mediterraneo era a due passi, i camion per il trasporto dell'acqua non erano certo un problema. Avrebbe facilitato anche il risparmio di vite umane, se i terroristi di Hamas si ostinavano a rimanere nei tunnel sarebbero affogati, se uscivano con le mani alzate, le loro vite erano salve.
Adesso la palla è passata all'Egitto guidato da El Sisi, che combatte il terrorismo dei Fratelli Musulmani col pugno di ferro, come si deve fare con i nemici. E Hamas è una costola della Fratellanza, anche se i media occidentali tendono spesso a dimenticarlo.

Ecco l'articolo:

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Massimo Russo

KEREM SHALOM (ISRAELE)
Non è una guerra aperta, ma uno scontro a bassa intensità: la battaglia della sabbia e del cemento. I camion fanno manovra, caricano i detriti e si allontanano. I lavori procedono alla luce del sole, l'aria del mattino è tersa. Tuttavia non si tratta di un cantiere normale: a scavare sono i militanti di Hamas, e i tunnel servono a collegare la Striscia di Gaza con il Nord del Sinai, in Egitto, per contrabbandare armi. Dall'altra parte del confine, poco più in là, i militari egiziani bucano il terreno a caccia di gallerie. Provano diverse volte. Quando ne trovano una la allagano con potenti getti d'acqua che pompano dal mare, e la fanno crollare. E una sfida quotidiana, un gioco che può avere esiti drammatici, quando le armi sfuggite ai controlli vengono utilizzate per gli attentati o per fabbricare i razzi che colpiscono gli insediamenti israeliani. O ancora quando ci scappa il morto, come è successo anche questa settimana. Giovedl l'ultimo annuncio da parte degli egiziani: «Abbiamo distrutto un tunnel nell'area di Dalhia, a Rafah, 35 metri di lunghezza, un metro e 20 di larghezza». La segnalazione era giunta dagli israeliani. Due giorni prima in un crollo era morto un militante palestinese delle brigate al Qassam. Solo nel mese di gennaio altre sette vittime. Ormai è ordinaria amministrazione. Il punto di osservazione privilegiato per raccontare la battaglia del cemento è Kerem Shalom, in terra israeliana, l'unico valico per le merci aperto in modo stabile. A quasi due anni di distanza dall'ultima guerra, la situazione è lontana dalla normalità. Una giornata qui, dove si incrociano i confini tra Israele, Egitto e Gaza, è sufficiente per capire quanto l'equilibrio sia fragile.
La Striscia è lunga 45 chilometri, ha una larghezza trai 5 e i 12, ed è delimitata a Ovest dal mar Mediterraneo. Vi abita oltre un milione e mezzo di persone. Le uniche vie di entrata e uscita sono il valico di Erez a Nord, usato ogni giorno da 1500 persone, e i due passaggi a Sud: Kerem Shalom, in Israele, aperto 12 ore al giorno, attraverso cui viaggiano cibo, materiali da costruzione, vestiti, aiuti umanitari e Rafah, in Egitto.
Questo punto di passaggio è stato riaperto ieri a sorpresa, e rimarrà transitabile fino a domani. Si tratta della prima apertura dopo quella umanitaria con oltre 2000 passaggi del dicembre scorso. Il valico è quasi sempre chiuso dall'ottobre 2014, in seguito a un attacco di terroristi nel Sinai settentrionale che causò la morte di oltre 30 militari. All'origine del blocco c'è lo scontro dell'Egitto del presidente Abdel Fattah Al Sisi con Hamas, che comanda a Gaza. La presenza dell'Autorità Palestinese è solo formale, dopo la presa del potere violenta da parte di Hamas nel 2007. Ma con Hamas né Egitto né Israele hanno rapporti. A Kerem Shalom si capisce quanto sia forte invece il legame di collaborazione tra il Cairo e Gerusalemme. A occhio nudo dalle torrette, e attraverso le telecamere, gli israeliani monitorano gli scavi da parte di Hamas, e poi avvisano gli egiziani, che intervengono con le pompe. Al tempo stesso una task force composta di 200 persone del ministero della Difesa israeliano fa funzionare il sistema circolatorio che tiene in vita gli abitanti della Striscia. Già di primo mattino i Tir sono in coda per passare nelle aree di controllo. Qui poi i palestinesi vengono a caricare le merci. «Da noi transitano 850 camion al giorno in entrata», spiega Ami Shaked, 56 anni, capo del valico. Trecento per prodotti di uso quotidiano, 300 di materiali da costruzione e altri 250 per i cantieri dove si riedifica ciò che è stato distrutto durante la guerra di due anni fa».
I mezzi in uscita sono molti meno: una cinquantina al giorno, per la maggior parte alimentari che Gaza esporta verso la Cisgiordania. Il problema è che fertilizzanti, carburante, sabbia e cemento in entrata possono servire anche a scopi bellici.
«I cittadini di Gaza hanno il diritto di vivere ed essere protetti come gli israeliani», afferma Shaked. Nel 2015 da Kerem Shalom sono entrati a Gaza 153 mila camion. Di questi 754 sono stati fermati, perché il carico era diretto ad Hamas.
«Niente di personale», mormora Shaked, che è stato ferito tre volte. Qualche mese fa un razzo sparato dall'interno della Striscia è piovuto sul piazzale qui a fianco. Impossibile fare una stima su quanti siano i camion fuorilegge che riescono a eludere i controlli degli scanner: «E la domanda con cui vado a dormire ogni notte», esclama Shaked.
E scuotendo la testa aggiunge: «Ma non so darmi risposta».

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