Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 12/02/2016, a pag. 53, con il titolo "Perché è così arduo costruire lo Stato arabo", la lettera di Barbara Poletti e la risposta di Sergio Romano.
Il fallimento degli Stati arabi, secondo Sergio Romano, è dovuto al fallimento delle "esperienze militari degli Stati arabi contro Israele e le potenze occidentali". E' vero che la serie di sconfitte inanellate dagli Stati arabi aggressori di Israele dal 1948 ha contribuito a minare il consenso al nazionalismo arabo in Egitto e Siria e al panarabismo di Nasser. Ma è altrettanto e più vero che il mondo arabo, in profondità, non ha mai rinunciato a due caratteristiche che, rispetto a entità statali, si pongono come disgreganti: il tribalismo e l'islamismo.
Aggiungiamo, per buona pace di Romano, che di Stati arabi-musulmani ce ne sono 22. Forse... bastano !
Ecco lettera e risposta:
Sergio Romano
Lei ha scritto che «il problema è comprendere perché un islamismo bigotto sia riuscito a interrompere il processo di secolarizzazione delle società medio orientali». Trovo la cosa molto interessante e utile e credo che molti lettori apprezzerebbero una sua analisi. Al di là delle colpe occidentali che hanno contribuito a peggiorare la situazione e di cui si parla spesso (analisi e denunce in tal senso non mancano) mi sembra sia importante anche cercare di capire che cosa finora non ha funzionato all’interno delle stesse società medio orientali.
Barbara Poletti
barbarapoletti@tin.it
Gamal Abdel Nasser
Cara Signora,
Quando divennero indipendenti, dopo la fine della Seconda guerra mondiale, i nuovi Stati medio-orientali, con l’eccezione dell’Egitto e del Marocco, uscivano da un lunga fase storica in cui avevano goduto, tutt’al più, di una limitata autonomia nell’ambito dell’Impero ottomano o di un impero coloniale europeo. Le popolazioni appartenevano quasi sempre a diversi gruppi etnici e religiosi; la loro istituzione più antica e collaudata era spesso la tribù. Per creare lo Stato e trasformare gli abitanti in cittadini, occorrevano nuove istituzioni rappresentative e soprattutto una ideologia nazionale, vale a dire un obiettivo ideale da perseguire collegialmente. Occorreva spiegare alle masse nazionali, in altre parole, perché l’indipendenza avrebbe migliorato la loro esistenza sotto il profilo materiale e morale, perché l’unione delle loro nazioni avrebbe restituito al mondo arabo la sua antica gloria.
Questa ideologia fu una combinazione di nazionalismo e panarabismo. Ma i due ingredienti erano difficilmente conciliabili. Quando l’Egitto di Nasser promosse una sorta di matrimonio con la Siria, l’unione suscitò la diffidenza dei siriani ed ebbe una vita breve. Lo stesso accadde per le molteplici unioni tentate da Gheddafi dopo la conquista del potere in Libia. Una maggiore fortuna ebbero ,ciascuno nell’ambito nazionale, i regimi della Siria e dell’Iraq. L’ideologia, in questo caso, era quella del «Baath», un partito politico che combinava nazionalismo e socialismo, senza nascondere le proprie simpatie per le esperienze del fascismo europeo fra le due guerre mondiali. Per dare un contributo decisivo alla nascita di una coscienza nazionale, il nazionalismo esige tuttavia un certo numero di successi militari e un programma sociale da cui le popolazioni traggano concreti vantaggi.
Ma le esperienze militari degli Stati arabi contro Israele e le potenze occidentali furono generalmente fallimentari, mentre le risorse dei singoli Paesi andarono ad arricchire soprattutto le classi dirigenti. Nel sentimento di delusione e sfiducia per le autorità civili che andava progressivamente crescendo nelle società, la fede religiosa e i suoi custodi sembrarono a molti il porto della salvezza. È in questo contesto che l’apostolato sociale della Fratellanza musulmana e il jihadismo hanno trovato un terreno fertile per le loro strategie.
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