Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 12/02/2016, a pag. 11, con il titolo "Peres: la crisi è mondiale, siamo ancorati al passato", l'intervista di Massimo Russo a Shimon Peres.
Massimo Russo
Shimon Peres
«Si è chiusa l’epoca dei territori e si è aperta quella della scienza». Siamo in crisi perché non riconosciamo il cambiamento, ci ostiniamo a pensare che la crescita dipenda dall’allargamento dei confini a spese del vicino: «Ma la conoscenza oggi permette di diventare grandi senza bisogno della guerra».
L’ufficio di Shimon Peres, nella parte vecchia di Tel Aviv, ha una parete che si apre sul Mediterraneo, come il ponte di una nave che stia per prendere il largo. Sarà anche per questo che da qui, la missione impossibile di dare pace al Medio Oriente pare solo questione di prospettiva. Più che mai fedele al suo motto «Ottimisti e pessimisti muoiono entrambi, per questo preferisco essere ottimista», il 92enne ex presidente israeliano e premio Nobel sembra in buone condizioni, malgrado i recenti capricci del cuore: si alza per salutare e ci accompagna sicuro. Appare dimagrito e parla a voce bassa, ma senza tradire stanchezza.
Presidente, il processo di pacificazione tra Israele e palestinesi è bloccato, una situazione molto diversa dalla foto qui in corridoio, che la riprende con Clinton e Arafat nel ’93, alla storica firma sugli accordi di Oslo.
«Ogni negoziato parte da una situazione di conflitto, non esistono guerre che durino per sempre. Trent’anni fa con Egitto e Giordania eravamo in una condizione oscura. Per trovare la pace bisogna essere creativi. In fondo è semplice, dobbiamo arrivare ad avere due Stati, non ci sono altre soluzioni».
La crisi e la violenza nella regione si sono riacutizzate.
«La crisi non appartiene solo a quest’area, è mondiale. Le nostre istituzioni sono costruite per l’era della terra, dei confini. Ma nell’epoca di Internet si può crescere senza conflitto. Il problema è che non abbiamo ancora divorziato dal passato».
Sembra difficile.
«Gli imperi stanno sparendo, così come accade ai Paesi nati sulla base di convenzioni artificiali, pensiamo agli accordi del 1916 che disegnarono il Medio Oriente. Ma i sunniti, gli sciiti non lasciano che la nuova età inizi. Ogni persona ha uguale diritto di essere diversa. Molte aziende private lo hanno capito meglio degli Stati».
La scienza è sufficiente?
«La scienza in sé non ferma la violenza, è neutrale e può essere usata per la guerra. La scienza senza morale, senza la centralità dell’essere umano, non è nulla. Ma c’è differenza tra conflitto e terrore. Il primo nasce per guadagnare qualcosa, il secondo è un grido di protesta, un insulto fine a se stesso».
Come sconfiggerlo?
«Non so come ucciderlo, ma possiamo sopprimere le cause che lo provocano».
Lei fa riferimento alle grandi aziende. Ma gli amministratori delegati non sono eletti dal popolo, i governi democratici sì.
«La politica è in crisi, perché fatica ad adattarsi al cambiamento. Trump e Sanders in America ne sono il simbolo. Le aziende globali non cercano di governare, ma di servire. Sono elette ogni giorno, dalla scelta dei consumatori».
Il cambiamento è possibile anche in Medio Oriente?
«Ci sono 370 milioni di arabi, il 60% ha meno di 25 anni. Nelle università il 60% degli studenti sono donne, vogliono il cambiamento. Oggi quando finiscono di studiare non hanno lavoro. Ma qui vedo giovani che si mettono insieme e creano nuove aziende. Trentamila imprese per costruire il futuro attraverso l’economia. Vanno incoraggiati. Ecco cosa ci porterà nella nuova epoca. Guardate ciò che è avvenuto in Cina, il miglioramento delle condizioni di vita si è verificato in 40 anni».
Gli esperti sono pessimisti.
«Perché conoscono quel che è accaduto in passato, non ciò che potrebbe accadere in futuro. Bisogna sognare, pianificare, usare l’immaginazione. Il passato è morto. Nulla è immobile, niente si ripete. Abbiamo bisogno di nuovi errori, non di imparare dal passato».
Pensa che Hamas possa accettare di discutere la pace?
«Hamas è un fenomeno transitorio, non esisterà in futuro. Una protesta non è un messaggio».
Perché la costruzione dell’Europa è così difficile?
«L’America è figlia dell’Europa ed è divenuta grande. Ha imparato a dare, non solo a chiedere. Oggi la madre non riesce dove i figli hanno avuto successo: perché ha troppa storia. Pensiamo solo alle lingue. La Ue ne ha 17, una cosa da pazzi. Bisognerebbe sceglierne una se si vuol costruire un solo Paese. Invece la madre insiste negli antichi errori».
Come dovremmo affrontare la crisi dei rifugiati?
«Esportando lavoro e sviluppo, non importando persone. La scienza non ha confini, né bandiere, può portare crescita. Personaggi come Stalin, Hitler, Mussolini hanno mandato a morte le persone. Bill Gates non ha mai tagliato la testa a nessuno, Mark Zuckerberg non ha creato la ghigliottina».
Dovremmo comportarci da startupper?
«In un certo senso sì».
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