Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 09/02/2016, a pag. 3, con il titolo "La pista dei rapinatori kosovari che 'autofinanziano' il jihad", l'analisi di Cristina Giudici.
Cristina Giudici
Il passaporto di Resim Kastrati
Milano. C’è una pista balcanica verso il jihad che parte da Siena e arriva a Belluno. Ma a metà strada compie strani percorsi tortuosi, attorno alla bassa bresciana. Tra i motivi di queste deviazioni pericolose, ci potrebbero essere anche le rapine di alcune bande di kosovari, compiute per finanziare la rete islamista che punta al jihad, nel Califfato. Per capire meglio cosa stia accadendo in queste filiere sommerse del fondamentalismo bisogna voltare lo sguardo al passato. E tornare indietro, al dicembre del 2013. Fu allora che i carabinieri di Cremona arrestarono una banda di rapinatori kosovari che avevano compiuto una doppia rapina in una stazione di servizio a Cremona nord, sull’autostrada A21. Giovanissimi, non dovevano essere proprio dei professionisti del crimine. Infatti vennero rintracciati immediatamente per via di una Volkswagen Polo con targa tedesca abbandonata vicino al casello di Cremona.
Un errore da dilettanti allo sbaraglio, visto che l’automobile era già stata individuata nei giorni precedenti perché apparteneva a un kosovaro residente in Germania e in Italia senza fissa dimora. Nel blitz all’interno del covo della banda – nel cuore della città, a poche centinaia di metri dalla questura per intenderci – con gli otto giovani kosovari clandestini vennero trovati refurtiva, droga, passamontagna, abiti usati durante la rapina, macchinari per falsificare documenti e un pc che apparteneva a Resim Kastrati, alias Obeidullah. Questo Resim Kastrati, macellaio disoccupato che viveva di espedienti, frequentava la moschea-casolare di Motta Baluffi (di cui il Foglio ha scritto il 26 gennaio scorso) acquistata da un bosniaco (spuntato dal nulla) per conto di un’associazione kosovara e poi tornato nella sua terra a fare sermoni su YouTube. Quel luogo ha accolto diversi predicatori islamisti itineranti, dediti al proselitismo del jihad in vista del reclutamento di mujaheddin da inviare in Siria. Formalmente Resim Kastrati è stato espulso l’anno scorso, per aver esultato sui social network dopo la strage di Charlie Hebdo e aver manifestato con veemenza l’intenzione di compiere “atti estremi per tutelare l’onore del profeta anche sacrificando la sua vita”, come si legge nel decreto di espulsione firmato dal Viminale.
Sodali dell'Isis in Kossovo
Ciò che però non si conosceva ancora è la sua contiguità con la banda dei kosovari arrestati per la rapina in autostrada del dicembre 2013. E invece Kastrati abitava proprio nel covo dei rapinatori. Si tratta di una notizia confermata dai carabinieri, che non hanno mai escluso l’ipotesi di trovarsi di fronte a rapine per autofinanziamento da destinare al circuito islamista. Resim Kastrati, che era in collegamento con un altro predicatore itinerante islamista, Mazllam Mazzlami (pure lui ospitato nel casolare-moschea di Motta Baluffi e poi arrestato l’anno scorso a Pristina), era inserito in un contesto criminale, anche se non è mai stato provato un suo ruolo attivo nella rapina alla stazione di servizio, ed era sorvegliato per una serie di attività illecite, fra cui quella di reperire documenti falsi e armi da fuoco. A chi ha indagato sulla rapina del 2013 e sgominato la banda di kosovari non è sfuggito il dettaglio della Volkswagen usata per la rapina, intestata a un kosovaro che era residente in Germania: il paese dove è andato a rifugiarsi uno dei proprietari della cascina di Motta Baluffa e dove si è recato l’anno scorso anche Resim Kastrati, dopo l’espulsione.
In Germania, l’aspirante jihadista “esule” dalla provincia di Cremona venne avvistato con un pakistano, finito in un’indagine sul terrorismo dei Ros di Brescia e poi espulso. E forse non è una coincidenza che precedentemente e successivamente al 2013 ci siano state numerose rapine fra Chiari e Roverato (nella provincia di Brescia) commesse da bande di kosovari con la stessa modalità adottata alla stazione di servizio di Cremona nel 2013. E sempre con una macchina intestata a un kosovaro residente all’estero. Caratteristica dei centri colpiti: Si tratta di piccoli comuni, considerati dagli analisti dell’antiterrorismo snodi per i centri culturali islamici creati da balcanici, soprattutto kosovari. Inoltre non bisogna dimenticare che il Kosovo è considerato il paese balcanico più a rischio per l’attivismo dei salafiti e per la partenza di numerosi mujaheddin verso lo Stato islamico. Così come non si deve ignorare che la nostra intelligence sta sorvegliando la rotta adriatica per controllare il temuto ritorno in Europa di foreign fighters partiti per la Siria dal Kosovo.
“Per la rapina del 2013, non venne mai trovata la pistola automatica calibro 7.65”, ci ha raccontato chi ha indagato sulla banda dei kosovari di Cremona. E Resim Kastrati resta un punto interrogativo a cui per ora non è stata data risposta. Ma potrebbe non essere un caso che tutte le rapine dei kosovari siano state commesse proprio fra Cremona, Brescia e il nordest: un asse lungo il quale sono più presenti gli immigrati di paesi balcanici, che stanno sulla linea di confine fra la criminalità comune e la guerra santa. Tornando alla rapina del 2013. Secondo le nostre verifiche quattro rapinatori kosovari sono stati scarcerati, dopo aver patteggiato condanne molto brevi, e a due di loro sono stati addirittura concessi gli arresti domiciliari per buona condotta dopo sei mesi di carcere. Inoltre, il Foglio ha scoperto che uno di quelli rimasti in Italia, dopo la scarcerazione, ha aperto un bar in periferia di Cremona.
La strada del terrorismo nostrano è stata lastricata negli anni 70 e 80 da rapine di autofinanziamento, invece per quanto riguarda gli islamisti in Italia fino ad ora sono state scoperte reti terroriste periferiche, qualche reclutatore, diversi giovani immigrati di seconda generazione aspiranti mujaheddin, molti militanti del verbo salafita impegnati nel Da’wa, (il proselitismo della chiamata all’islam fra cui ogni tanto si trova un jihadista), ma sarebbe la prima volta – il condizionale è d’obbligo perché per ora si tratta di un’ipotesi seppur molto fondata dei carabinieri – che una o più bande di rapinatori kosovari siano ritenute responsabili di rapine per autofinanziamento. Per sostenere la pista italiana balcanica verso il jihad.
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