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Il Foglio Rassegna Stampa
04.02.2016 E' il mondo arabo l'artefice delle proprie stesse disgrazie
Antonio Donno recensisce l'opera di Efraim Karsh

Testata: Il Foglio
Data: 04 febbraio 2016
Pagina: 2
Autore: Antonio Donno
Titolo: «Il Medio Oriente, non l'Occidente imperialista, è l'artefice delle sue disgrazie»

Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 04/02/2016, a pag. 2, con il titolo "Il Medio Oriente, non l'Occidente imperialista, è l'artefice delle sue disgrazie", l'analisi di Antonio Donno.

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Antonio Donno

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Efraim Karsh

Ma veramente gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica – e, prima ancora, le potenze europee – hanno determinato in buona parte la storia del medio oriente a danno del mondo arabo, e in generale islamico, imponendo la loro visione imperialistica sulla regione e condizionandone lo sviluppo e la stessa libertà? Il grande storico ebreo, Efraim Karsh, docente presso il King’s College di Londra e la Bar-Ilan University israeliana, ribalta certezze acquisite nel corso dei decenni e divenute ormai luoghi comuni inattaccabili. Karsh non è nuovo a queste imprese. Negli scorsi anni, sulla base di documentazione scientificamente inoppugnabile, aveva smentito clamorosamente le conclusione dei cosiddetti “nuovi storici” israeliani, tutti di sinistra, fra i quali il più importante era Benny Morris.

E’ il caso di ricordare che Morris dovette riconoscere la fondatezza delle contestazioni di Karsh e piegare la testa, ricevendo contumelie da parte dei suoi colleghi di bottega. Poi, di fronte al “no” di Arafat nel 2000, dovette ammettere definitivamente la malafede degli arabo-palestinesi. In “The Tail Wags the Dog: International Politics and the Middle East” (Bloomsbury), Karsh smonta senza pietà i luoghi comuni di cui si è detto. I “poveri arabi” non subirono affatto le decisioni e le angherie delle superpotenze, ma, al contrario, spesso le costrinsero ad accettare le loro decisioni, pur di restare – o credere di restare – in sella in una regione strategicamente cruciale come il medio oriente, specialmente durante la Guerra fredda. A cominciare dagli anni della prima guerra mondiale, Karsh dimostra che il crollo dell’impero ottomano non fu causato dalla diplomazia segreta occidentale, ma dalla sua dabbenaggine nell’entrare in guerra al fianco dei tedeschi.

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La copertina

Più tardi, non furono affatto gli accordi Sykes-Picot del maggio 1916 a spartire il medio oriente fra inglesi e francesi, ma le richieste incalzanti di Hussein ibn Ali di smembrare la regione in favore della sua famiglia: egli stesso divenne re dell’Hijaz, il suo secondo figlio re della Transgiordania nel 1921, e il più giovane, Faisal, re dell’Iraq. Parigi e Londra accolsero la richiesta al fine di mantenere l’alleanza dei tre regnanti. Era nella loro convenienza politico-strategica. Anche dopo la fine della Seconda guerra mondiale, scrive Karsh, “gli attori locali del medio oriente si industriarono per essere decisivi nella ristrutturazione della loro regione”, agendo astutamente con le controparti nella guerra fredda, Stati Uniti e Unione Sovietica. Anzi, Karsh sostiene che “né gli Stati Uniti né l’Unione Sovietica ebbero voce in capitolo nelle grandi strategie dei loro più piccoli alleati”.

Così, il crollo della dinastia hashemita in Iraq e il passaggio del paese nel blocco sovietico, il passaggio dell’Egitto nello stesso blocco a metà degli anni 50, e poi il suo riposizionamento tra gli occidentali due decenni dopo, lo sviluppo delle colonie israeliane nei territori occupati durante la guerra del 1967, la rivoluzione islamica del 1979 non hanno nulla a che fare con le strategie di Washington e Mosca nella regione. Ancora, la distruzione del reattore atomico iracheno ad opera di Israele nel 1981 non ebbe affatto il benestare degli Stati Uniti, la guerra di attrito egiziana contro Israele tra il 1969 e il 1970, la guerra dell’ottobre 1973 ad opera di Sadat, l’intervento della Siria in Libano nel 1976, l’invasione dell’Iran da parte dell’Iraq nel 1980 e del Kuwait nel 1990 furono operazioni compiute contro il volere dell’Unione Sovietica, che temeva che un ulteriore rovescio arabo potesse favorire la controparte americana nella regione, come in effetti avvenne. Anzi, le pressioni sovietiche su Sadat il primo giorno della guerra del 1973 perché sospendesse le ostilità ebbero esito negativo, così come gli inviti, sempre sovietici, su Assad perché terminasse l’offensiva sull’OLP nel 1976, né gli inviti delle due superpotenze su Teheran e Baghdad perché ponessero fine a quella che sarebbe stata un’orrenda guerra di otto anni sortirono effetto positivo.

In tutti i casi finora citati – solo i più importanti – il mondo arabo agì in prima persona, completamente ignorando i suoi patrons, o presunti tali. In definitiva, il libro di Karsh spazza via tutte le analisi che finora hanno alimentato la visione di un medio oriente servo delle potenze europee, prima, e delle due superpotenze, poi. Il mondo arabo mediorientale è artefice in prima persona della sua storia e della sua attuale crisi; è un mondo, conclude Karsh, “dove gli individui e le società devono assumersi la responsabilità delle loro azioni piuttosto che attardarsi a condannare gli altri per le proprie sfortune”.

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