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La Stampa Rassegna Stampa
31.01.2016 Il ghetto di Venezia ha 500 anni
Commento di Maurizio Assalto

Testata: La Stampa
Data: 31 gennaio 2016
Pagina: 22
Autore: Maurizio Assalto
Titolo: «Il ghetto di Venezia sì bello e perduto»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 31/01/2016, a pag.22, con il titolo "Il ghetto di Venezia sì bello e perduto", l'articolo di Maurizio Assalto in occasione dei 500 anni della istituzione del ghetto di Venezia.

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Maurizio Assalto

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Negli stipiti dei portoni, lungo le calli, si vede ancora, a destra, una fenditura rettangolare, lunga e stretta. E il vano dove veniva sistemata la mezuzah, il piccolo involucro contenente una pergamena arrotolata con alcuni passi della Shemà: «Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno...». Era usanza di chi varcava la soglia toccarla con le dita e poi baciarsele, in segno di rispetto verso la preghiera fondamentale della religione ebraica. Oggi nessun dito la sfiora più, perché la fenditura è vuota, in alcuni casi murata. Siamo nel ghetto di Venezia, ma della composita popolazione che lo gremiva un tempo non affiorano che le tracce. Qualche insegna qua e là, una menorah con stella di David che svetta da una facciata, un ristorante kosher, un fornaio che vende azzime e dolcetti tipici, una galleria d'arte che propone gioiosi quadretti di vita quotidiana degli anni andati. Qualche macilento Lubavitch di passaggio, anche, che si aggira con pastrano e cappellaccio neri. Ma gli ebrei che abitano questo piccolo mondo a parte sono rimasti pochi, non più di una quarantina sui circa 500 che ancora vivono in città. Lo visitiamo in compagnia di Riccardo Calimani, gran cultore di antichità giudaiche, che alla Storia del ghetto di Venezia ha dedicato un ricchissimo volume uscito trent'anni fa, ora ripubblicato in edizione accresciuta da Mondadori. Il più antico ghetto del mondo celebra quest'anno il suo cinquecentenario. Venne istituito il 29 marzo 1516, in un periodo drammatico per la Serenissima, logorata dalla guerra contro la Lega di Cambrai, minacciata dall'avanzata degli austriaci e da quella temuta degli ottomani.
Dal tramonto all'alba
Nel clima di pessimismo della città invasa dai profughi, tra i quali molti ebrei, gli elementi «estranei», come spesso accade, erano finiti nel mirino, in seguito anche alle infiammate prediche dei frati francescani che alimentavano la diffidenza verso i «corruttori» dei costumi aviti. Si arrivò così al decreto che assegnava ai «giudei» una piccola area quasi trapezoidale di Cannaregio, vicina all'attuale stazione ferroviaria, dove un tempo si trovavano gli impianti della fonderia (in veneziano geto, il luogo dove venivano «gettati» gli scarti della lavorazione del rame, più tardi, per influsso degli abitanti di origine tedesca, pronunciato con lag dura). Qui gli ebrei dovevano stare rinchiusi dal tramonto all'alba (e chatzer, in ebraico «recinto», è il nome con cui sempre lo designarono), pena sanzioni pecuniarie e nei casi recidivi la prigione. L'area era chiusa da alti muri, le vie di accesso presidiate da cancelli sorvegliati (ancora oggi si vedono nei muri di pietra i segni dei chiavistelli) e gli abitanti tenuti a pagare di tasca propria due barche che facevano la ronda nei canali circostanti, nonché a portare come contrassegno distintivo una berretta gialla quando giravano per la città. Per far loro posto vennero sfrattati i precedenti inquilini e le abitazioni, appartenenti alla nobiltà veneziana, affittate con un rincaro del 30% (agli ebrei erano vietato il possesso di immobili). Nasceva così il primo nucleo del ghetto, quello Tedesco (in quanto abitato da genti ashkenazite, oltre che da italiani), in seguito designato anche come Novo (perché nell'area della fonderia nuova). E nasceva quel termine presto diffuso nelle realtà di tutta l'Europa, entrato sinistramente, con le sue varie declinazioni, nel nostro lessico e nella nostra memoria.
I banchi di pegno
Ma nel loro recinto veneziano, dove godevano di ampia libertà e di relativa autonomia giuridica, comprendente la possibilità di divorziare (negata nel resto *** della Repubblica), gli ebrei non se la passavano tanto male. Anzi, erano essi stessi a negoziare periodicamente con le autorità le «condotte» per ottenere la conferma del permesso di soggiorno, in cambio di tasse (le «gravezze») ogni volta più esose. Con grande pragmatismo, a metà tra tolleranza e cinismo, la Repubblica fin dal '300 aveva individuato nell'attività degli ebrei prestatori di danaro un efficace ammortizzatore sociale, utile per fornire sussidio ai poveri allentando così le tensioni interne, ma anche un parafulmine su cui scaricare all'occorrenza il malcontento popolare. Entrando nel campo del ghetto Novo dal ponte di Rio San Girolamo, si trovano subito, nel sottoportico a sinistra, i tre banchi di pegno dove esercitavano i reali modelli dello shakespeariano Shylock. Come quell'Asher Meshullam (italianizzato in Anselmo del Banco) che fu il primo capo della comunità, autorevole e rispettato. Non così il fratello Chaim, coinvolto in un celebre processo contro due medici ebrei che aveva falsamente accusato per la morte di un suo servo, comprando i testimoni; né suo figlio Jacob, gioielliere, che riuscì a evitare una condanna per ricettazione corrompendo i giudici e da ultimo si fece cristiano. Nel corso dei decenni la Serenissima, assillata dal bisogno di danaro, aumentò progressivamente le gravezze verso i prestatori ebrei, obbligandoli nel contempo a tassi di interesse sempre più bassi (dall'iniziale 15 al 5%) e così mettendoli nelle condizioni di dover ricorrere a loro volta a prestiti presso patrizi veneziani, e a lungo andare, a metà '700, a lavorare in perdita. Ma tutto si poteva accettare, pur di rimanere nel sicuro recinto, consapevoli del resto, secondo un aforisma di Anselmo, che «quando il voler con il poder combatte, il poder sta sora».
Le cinque sinagoghe
Intanto ai primi abitanti della «Natione'Ibdesca» si erano aggiunti i mercanti di origine sefardita, cacciati dalla penisola iberica tra il 1492 e il 1496, chiamati «Levantini» in quanto approdati in Laguna dopo un lungo giro in Oriente. Graditi alle autorità per l'intraprendenza commerciale e i contatti internazionali di cui erano depositari, in un periodo in cui i traffici per mare erano flagellati dalla pirateria, anch'essi ottennero nel 1541 il diritto a un loro spazio, il ghetto Vecchio (sorto dove c'era stata la fonderia più antica), intorno a una lunga calle intersecata da altre più piccole e collegata da un ponte al ghetto Novo. Con l'occupazione del ghetto Novissimo, contiguo agli altri due, in cui si insediò un gruppo di cinquanta ricche famiglie di mercanti provenienti dalla Spagna, la «Natione Ponentina», in parte marrani riconvertiti al giudaismo, si completò nel 1589 la cosiddetta Università degli ebrei veneziani. Inizialmente divise per origini e status, differenti nei costumi, nei riti e nella lingua, le tre «Nationi» gradualmente si fusero, dando vita a un originale impasto vernacolare in cui l'ebraico si mescolava con lo yiddish, lo spagnolo e il veneziano. La popolazione crebbe fino a un massimo di 4-5 mila unità a metà del '600, quando si è stimato che ogni abitante disponesse di uno spazio abitativo non superiore ai 9 metri quadrati. Di conseguenza gli edifici venivano sopraelevati, fmo a sei-otto piani, mentre nel resto di Venezia non si superavano i tre-quattro, e gli spazi interni erano fittamente suddivisi con tramezzi di legno. Le sinagoghe (Schole) erano distinguibili dall'esterno soltanto per le grandi finestre allineate, cinque come i libri del Pentateuco. Alla Schola Cantón e alla Tedesca - oggi collegate al Museo Ebraico, il primo in Italia, fondato nel 1954 - e all'Itabana, tutte nel ghetto Novo, si aggiunsero nel ghetto Vecchio la Spagnola - la più sontuosa, dove durante una preghiera di shabbat nell'agosto del 1849, ai tempi del governo provvisorio di Daniele Manin, una bomba degli assedianti austriaci si schiantò senza esplodere accanto all'armadio sacro della Tbrah - e la Levantina, tuttora in funzione alternativamente in estate e in inverno.
Medici e intellettuali
All'inizio del '600 il ghetto era un centro di cultura scientifica - per la presenza di medici ricercatissimi dalla nobiltà e dell'alto clero - e un vivace polo intellettuale, grazie ai dotti ebrei convenuti da tutta Europa per approntare le prime edizioni a stampa dei testi sacri. E in questo periodo che si colloca l'attività di personaggi come rabbi Leone da Modena, raffinato pensatore e formidabile predicatore rovinosamente dedito al gioco, abituato a muoversi con disinvoltura negli ambienti più disparati, o della sua pupilla Sara Coppio Sullam, affascinante poetessa animatrice nel ghetto di un salotto frequentato dagli intellettuali più in vista dell'intera città, o ancora Mosè Zacuto, il «Dante ebreo», autore di un poema, l'Inferno preparato, in cui immaginava il viaggio ultraterreno di un peccatore. Con alti e bassi nel rapporto con la Serenissima, si andò avanti fino al 1797, quando l'arrivo di Napoleone segnò la fine della segregazione e l'apertura del ghetto. Gli ebrei più ricchi si trasferirono a San Marco, mentre tra le antiche mura la loro presenza si assottigliava. Vi tornarono in circostanze tragiche, ai primi di dicembre del 1944: ne conserva la memoria una serie di bassorilievi bronzei dell'artista lituano Arbit Blatas, collocati nen'80 su un muro di fianco all'ottocentesca Casa di Riposo Israelitica, su un lato del campo del ghetto Novo, dove ancora oggi sono ospitate cinque anziane, tre delle quali ultracentenarie. Qui, in quei giorni, furono concentrati dalle SS gli ebrei veneziani destinati ai Lager. Oltre duecento furono deportati, soltanto sette tornarono indietro.

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