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Corriere della Sera Rassegna Stampa
30.01.2016 Continua l'opera di ripulitura del filosofo nazista da parte di Donatella Di Cesare
L'ex vice- presidente della Fondazione intitolata al filosofo di Hitler Martin Heidegger

Testata: Corriere della Sera
Data: 30 gennaio 2016
Pagina: 42
Autore: Donatella Di Cesare
Titolo: «L'Occidente tedesco di Heidegger»

Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 30/01/2016, a pag.42, con il titolo " L'Occidente tedesco di Heidegger", l'intervento di Donartella Di Cesare.

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Martin Heidegger, il filosofo di Hitler

Continua l'opera di 'ripulitura' di Heidegger da parte della ex-vicepresidente della Fondazione creata in Germania per onorare la memoria del filosofo di Hitler. Di Cesare usa un linguaggio volutamente ambiguo, in fondo è una filosofa, mica una storica, per cui grande spreco di aggettivi per intorbidire le acque, spingendo il lettore a collocare il nazistone accanto ai filosofi che affrontando temi universali si era lasciato un po' andare oltre il dovuto. Senza volerlo, Di Cesare rivela anche a chi si sono ispirati i nuovi nazisti del partito greco "Alba Dorata": "La Terra della Sera avrebbe dovuto risvegliarsi a una nuova, dorata alba, scoprirsi Terra del Mattino",scrive la laudatrice Di Cesare, citando una frase di Heidegger.

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Manifestazione del partito nazista greco "Alba Dorata"

Insistiamo: quale credibilità hanno le elucubrazioni  ripulitrici con lo Spic & Span filosofico di Heidegger da parte della Di Cesare che è stata la vice-presidente della Fondazione titolata proprio ad Heidegger ?

Ecco il pezzo:

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Donatella Di Cesare

Esce in questi giorni, nell'eccellente traduzione di Alessandra Iadicicco, il secondo volume dei Quaderni neri di Martin Heidegger (Bompiani) in cui sono comprese le Riflessioni che vanno dal 1938 al 1939. Alle quasi 700 pagine del primo volume si aggiungono così altre 584 pagine: una sfida per i lettori italiani, ma anche un monito. Perché sarebbe doveroso affrontare il testo in modo critico, prima di emettere giudizi sbrigativi o di lasciarsi andare a facili scoop. L'ultimo è quello lanciato dal giornalista tedesco Thomas Vasek, e ripreso da Angelo Bolaffi («Repubblica», 4 gennaio), secondo cui Heidegger non sarebbe che un epigono di Julius Evola e del suo razzismo. La prova flagrante sarebbe un fantomatico foglietto, di poche righe e di oscura provenienza, che potrebbe, tutt'al più, essere un appunto. Per i tedeschi un bel modo, certo, per scaricare sugli altri responsabilità proprie. SI, perché il nazismo non è stato il fascismo. E soprattutto perché l'antisemitismo metafisico di Heidegger non è riducibile al razzismo tradizionale. D'altra parte l'aggettivo «metafisico» non mitiga l'antisemitismo, bensì ne indica la gravità abissale. L'antisemitismo metafisico di Heidegger ha una provenienza teologica, una intenzione politica, un rango filosofico. Se deleteri sono, per un serio dibatto, i vuoti scoop, esiziali sono gli interventi dei «negazionisti» dell'ultima ora, quelli che pretenderebbero di cancellare con una spugna i passi antisemiti. Come se Heidegger non parlasse di Verjudung o di Weltjudentum, cioè di «ebraizzazione» e di «ebraismo mondiale» — termini non neutri, né casuali. Nei Quaderni neri vengono mosse, d'altronde, accuse precise: privi di suolo, di fondo, di fondamento, gli ebrei sono gli sradicati agenti dell'accelerazione, della tecnicizzazione del pianeta, della desertificazione della terra. Ma soprattutto gli ebrei sono la figura della fine che si ripete, impedendo al popolo tedesco di risalire al mattino dell'Occidente. Proprio l'Occidente è uno dei grandi temi del secondo volume dei Quaderni neri. Il tedesco Abendland rende bene ciò che l'etimologia suggerisce: l'Occidente è la «terra della sera», il Paese dove sembra che il sole vada declinando. Dalla prospettiva dei greci — s'intende. Sono allora le coste dell'Esperia, dell'Italia odierna, quelle dove il sole pare quasi inabissarsi nel mare. Ma non si deve fraintendere: per Heidegger l'Occidente non è un luogo geografico, né un sistema di valori, bensì un'epoca nella storia del mondo. E gli esperii sono quelli venuti tardi e dopo — rispetto ai greci. L'inizio dell'Occidente è greco. Non è possibile, perciò, alcuna meditazione sul mondo occidentale senza un confronto con quel primo inizio greco. Il che vuol dire riprendere il filo della «filosofia» che costituisce la trama segreta della storia occidentale. Sebbene l'Occidente sembrasse sprofondare nel nulla del nichilismo europeo, non si trattava di un tramonto, Untergang — secondo la famosa profezia di Spengler — bensì di un passaggio, Ubergang. II buio di quell'epoca, al termine degli anni Trenta, è considerato da Heidegger non come l'oscurità della fine, ma come lo spegnersi dell'ultimo lume della sera che avrebbe permesso di scorgere l'albore del mattino. Non si poteva, certo, resuscitare il primo inizio greco; ma si doveva attraversare sino in fondo la lunga notte dell'Essere, per risalire, oltre la metafisica, quella perversa malattia dell'Occidente, a un «altro inizio». La Terra della Sera avrebbe dovuto risvegliarsi a una nuova, dorata alba, scoprirsi Terra del Mattino. Chi avrebbe potuto scorgere il passaggio, là dove tutti vedevano un crollo ineluttabile? Chi poteva seguire la strada della fine, per imboccare il sentiero dell'inizio? Solo i tedeschi. Il destino dell'Occidente, la sua «salvezza» era nelle loro mani. I tedeschi avrebbero dovuto essere gli Ubergehenden, «coloro che passano oltre», che aprono un varco anche per gli altri popoli europei. Ecco il loro compito. «Tutto il "sangue", tutta la "razza", ogni "carattere nazionale" è inutile, e solo un decorso cieco, se non vibra già in un azzardo dell'Essere». Più volte Heidegger si chiede: «Dove sono finiti i tedeschi?». La decisione a cui li richiama è filosofica: tra il sonno dell'uomo occidentale, immerso negli enti, e il risveglio all'Essere. Ma non per questo i termini sono meno gravi. Nell'epoca della fine il rischio non sarebbe solo la vittoria della metafisica, ma anche, per quel legame di complicità che li lega, la vittoria dell'ebraismo. Vincerebbe allora «la più grande assenza di suolo che, a nulla vincolata, tutto quanto si asservisce (l'ebraismo)». Già nel 1938, all'indomani della Notte dei cristalli, Heidegger parla di «battaglia», e non esita a individuare nell'Ebreo il nemico metafisico che impedisce ai tedeschi l'accesso all'altro inizio. Il tratto greco-tedesco lascia fuori gli ebrei, l'asse dell'Essere li esclude. Per loro — questo è il verdetto — non c'è spazio nella topografia dell'Occidente.

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