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Informazione Corretta Rassegna Stampa
25.01.2016 IC7 - Il commento di Fiona Diwan: Papa Francesco, gli ebrei e il 'non detto' di una visita storica
Dal 17 al 23 gennaio 2016

Testata: Informazione Corretta
Data: 25 gennaio 2016
Pagina: 1
Autore: Fiona Diwan
Titolo: «IC7 - Il commento di Fiona Diwan: Papa Francesco, gli ebrei e il 'non detto' di una visita storica»

IC7 - Il commento di Fiona Diwan
Dal 17 al 23 gennaio 2016

Papa Francesco, gli ebrei e il 'non detto' di una visita storica

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L'incontro è avvenuto, nell’unanime applauso mediatico di qualsivoglia orientamento politico, consenso urbi et orbi dei media internazionali, articoli entusiasti, non una nota stonata, solo squilli di trombe. Doveva essere un successo obbligato, e lo è stato. Preparato con la consueta meticolosità, come tutti gli eventi del Vaticano, quasi tutte le agenzie di stampa e le testate on line all’indomani della visita di Papa Francesco al Tempio Maggiore di Roma, il 17 gennaio, hanno riportato cronache praticamente identiche, lo stesso generico e cremoso messaggio di fratellanza, comunanza di intenti, grandi sorrisi e iniezione di fiducia.

Pace, bene ed ecumenismo. Pochissimi i commenti. Una standing ovation planetaria (ed è l’Ufficio stampa del Vaticano, il vero vincitore di questa visita). Tuttavia, a pochi giorni di distanza dalla visita di Papa Francesco al Tempio Maggiore di Roma, urge ancora qualche piccola considerazione. Innanzitutto va sottolineata la trionfale - e riuscita - campagna d’immagine che ha accompagnato questa visita, portando consensi e plauso al Giubileo della Misericordia, specie in un momento non facile per la Chiesa, segnato dal peggioramento delle condizioni dei cristiani nei paesi islamici, dalle lotte intestine all’interno del Vaticano, nonché dal perdurare di scandali di varia natura, con conseguente perdita di fedeli a livello planetario, caduta d’immagine e "cattiva stampa".

Di fatto, abbiamo assistito alla terza storica visita di un pontefice al Tempio Maggiore di Roma, evento che ridà indubbiamente linfa e slancio al dialogo ebraico-cristiano, a proposito del quale è stato fatto di più negli ultimi 50 anni che in due millenni di storia di rapporti giudaico-cristiani. Un’amicizia consolidata, in cui gli elementi di accordo e consenso prevalgono. Certamente Papa Francesco, ascoltando il memorabile discorso della Presidente della Comunità Ebraica di Roma, Ruth Dureghello – e avendolo già letto, condiviso e approvato in sede preventiva -, voleva dirci che ne accettava implicitamente i toni e i contenuti (ed è probabile che sia questa la grande nota positiva di questa visita), pur astenendosi dal dirlo apertamente. Nel complesso, quindi, un incontro riuscito, che riafferma l’importanza e la continuazione del dialogo, l’alleanza irrinunciabile col popolo ebraico, come è stato sottolineato dal Rabbino Capo Rav Riccardo Di Segni e da altri rabbini del mondo ebraico.

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Ruth Dureghello

Certamente, Papa Francesco ha riconfermato con questa visita la sua capacità di empatia, un atteggiamento di vicinanza con la gente che è la cifra del suo Pontificato, - l’abbiamo visto passare tra due ali di folla, stringendo mani, entrando dalla porta principale del Tempio Maggiore e attraversandolo in tutta la sua lunghezza -. Ma come spesso accade con l’ufficialità dei discorsi e degli incontri, il non detto spesso è più eloquente delle parole. E a volte pesa come un macigno.

Sebbene incalzato dalle coraggiose e forti parole di Ruth Dureghello, che cosa NON dice Papa Francesco? E soprattutto, che cosa si porta a casa il mondo ebraico, dopo questa visita? Indubbiamente una manciata di importanti omissioni. C’è il mancato riferimento a Israele e, ancora una volta, quella medievale, crociatesca, tediosa parola, Terrasanta. Nemmeno un accenno all’attualità europea, al terrorismo islamista e all’impasse che le nostre democrazie stanno attraversando; nessun accenno alla bruciante realtà dell’Israele contemporaneo, all’intifada dei coltelli che lascia sul terreno civili inermi, gente assassinata per strada o in casa propria, senza armi in pugno, come se fosse normale, intifada dei coltelli plaudita da colui che Bergoglio chiama l’“angelo della pace”, ovvero Abu Mazen; nessun accenno all’antisemitismo che rialza la testa, miasmi respirati quotidianamente nelle famiglie e nei milieu islamici (anche in coloro che abitano in Europa), attraverso film, libri, tv, sermoni religiosi e discorsi politici; un antisemitismo sdoganato oggi persino da un’Europa più preoccupata di tenersi buoni i rapporti con i suoi nuovi cittadini di origini musulmane che non a stoppare l’emorragia dei suoi cittadini ebrei, come sta accadendo in Francia (solo nel 2015 hanno già lasciato il Paese 8000 ebrei francesi, con destinazione Israele).

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Papa Francesco con il Rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni

Papa Bergoglio ha invece scelto di parlare di Shoah e della sola realtà religiosa del popolo d’Israele (bypassando la realtà ebraica che oggi si autodetermina nello stato d’Israele). Ma non ci sono state solo le omissioni. C’è chi non ha potuto evitare di notare nel discorso di Papa Francesco, il ricorso all’abusata e ispida espressione “Fratelli maggiori”, considerata un po’ paternalistica e oggetto di polemica già al tempo della visita di Papa Wojtila, dizione che era stata prontamente corretta con “Fratelli prediletti” (anche perché l’allusione al rapporto tra Caino e Abele, Esaù e Giacobbe, poteva suscitare un certo imbarazzo).

E ancora, - sempre a voler leggere tra le righe - a molti non è sfuggito un sorprendente e inusuale dettaglio finale: il Papa che recita la Birkat Cohanim, ovvero la solenne e bellissima benedizione sacerdotale ebraica, pronunciata a chiusura del suo discorso dallo stesso Bergoglio, davanti al pubblico presente al Tempio Maggiore: tradotta per l’occasione in italiano, è una benedizione recitata tradizionalmente in ebraico da un Cohen sull’insieme di tutti gli ebrei presenti durante la funzione del sabato - in ricordo di come faceva il Sommo Sacerdote nel Tempio di Gerusalemme -. Il Papa quindi come un Cohen Gadol? Certamente no. Forse, più semplicemente la volontà di un abbraccio collettivo, uno dei tanti gesti ecumenici a cui ci ha abituati questo Papa. E, dato il contesto, alla fine è sembrato che le parole della Birkat Cohanim più che teologicamente sostitutive (“Io sono il nuovo Cohen che vi benedice”...), siano suonate invece come una conferma della vicinanza del Papa al binomio Israele-popolo religioso, dette apposta per sottolineare una netta presa di distanza dal binomio Israele-Stato. Birkat Cohanim pronunciata espressamente per non entrare nel merito dello stato e della collettività israeliana. Una relazione questa, con lo stato d’Israele che non a caso, oggi, risulta essere la nota più dolente e critica tra questo Papa e l’ebraismo.

Foto del profilo di Fiona Diwan
Fiona Diwan dirige il Bollettino della Comunità ebraica di Milano


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