Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 22/01/2016, a pag. 17, con il titolo "Modello curdi per Misurata: milizie come forza anti-Isis", il commento di Rolla Scolari.
Rolla Scolari
Misurata, Libia
Misurata è, dai giorni della guerra nel 2011, la potenza di fuoco in Libia. Non sarebbe dunque un caso, come ha scritto per la prima volta ieri «La Stampa», la presenza proprio in questa città di membri delle forze speciali americane, inglesi e francesi. Starebbero lavorando a intese con le milizie locali.
La breve tradizione militare di Misurata ha un legame diretto con una vivace élite cittadina di commercianti e uomini d’affari. I capitani del business locale nel 2011, quando il porto ha subito un assedio sanguinoso da parte delle forze del colonnello Muammar Gheddafi, hanno finanziato l’emergere di milizie «di quartiere». Su 400 mila abitanti, spiega Virginie Collombier, esperta dello European University Institute, c’erano allora 40 mila combattenti registrati sotto un Consiglio militare unificato.
Queste milizie sono state strumentali nella conquista di Tripoli. Ancora oggi per questo motivo Misurata si sente custode dell’ideologia rivoluzionaria. Molti giovani nei ranghi dei gruppi armati della città e attratti dalla vita civile continuano a combattere sia perché prendono uno stipendio sia perché temono che un loro abbandono apra al ritorno di vecchi attori gheddafiani.
Con la fine della rivoluzione, Misurata non ha deposto le armi. E dal 2014, con la formazione di Alba libica, è stata strumentale nel sostegno al governo di Tripoli, non riconosciuto internazionalmente, appoggiato da gruppi islamisti.
Dall’estate del 2015, importanti componenti politiche e militari cittadine hanno cambiato gradualmente posizione, prendendo le distanze dalla visione prevalente a Tripoli, fino ad arrivare ad appoggiare l’accordo mediato dall’Onu che ha portato martedì a una lista di ministri per un governo di unità nazionale. Il sostegno però non è per nulla uniforme. All’origine di questa lenta svolta, spiega Wolfram Lacher, del German Institute for International and Security Studies, ci sono anche interessi economici di una città che ha perso i mercati dell’Est e di Bengasi per i contrasti politici, soffre il blocco delle vie commerciali verso il Sud e l’insicurezza causata dal rafforzarsi dello Stato islamico. Chi in città si oppone oggi a un accordo potrebbe però far notare come Misurata abbia ottenuto soltanto la poltrona della Sanità.
Nel progressivo cambio di direzione di parte dei vertici cittadini ha giocato anche la volontà dei comandanti militari locali di svolgere un ruolo nel futuro esercito nazionale. «Se schierati con il nuovo governo - spiega Karim Mezran, ricercatore libico dell’Atlantic Council - potrebbero usufruire dell’appoggio anche di armi e munizioni dall’Occidente. Non sarà possibile formare in due giorni un esercito nazionale: un’ipotesi è la regolarizzazione delle milizie».
Le componenti militari di Misurata, come altri attori forti in Libia - i gruppi armati di Zintan, nelle montagne dell’Ovest, e l’esercito dell’Est al comando del generale Khalifa Haftar - hanno interesse a mostrarsi alla comunità internazionale come partner nella lotta al terrorismo, dice Lacher.
«Se ci sarà un intervento militare occidentale, con molta probabilità non prevederà truppe al suolo - spiega Collombier - e agli occidentali occorrerà un appoggio sul terreno», come accade oggi in Iraq con i curdi. «È la stessa logica». Misurata punterebbe anche a un ruolo a Tripoli, la capitale in cui il controllo del territorio è diviso tra gruppi armati antagonisti. Se le milizie di Misurata presenti in città sostenessero a pieno l’accordo, per il governo sarebbe più facile lavorare da Tripoli: oggi invece i ministri scelti non possono ancora avvicinarsi alla capitale.
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