Riprendiamo da LIBERO di oggi, 22/01/2016, a pag. 12, con il titolo "L'Italia alzi la voce con l'Iran, l'Europa ricordi chi le è amico", l'intervista di Marco Gorra a Tzipi Hotovely, viceministro degli Esteri in Israele.
A destra: Tzipi Hotovely, viceministro degli Esteri in Israele
«Ci aspettiamo che l’Italia faccia sentire la propria voce con l’Iran». Tzipi Hotovely è viceministro degli Esteri del governo israeliano (quasi ministro vero e proprio, dal momento che a rivestire il ruolo del titolare è il premier Benjamin Netanyahu) e si trova in Italia in visita istituzionale. Esauriti gli impegni - tra cui la visita ad Expo e l’incontro col sottosegretario agli Esteri Benedetto Della Vedova - accetta di rispondere alle domande di Libero.
Come sono i rapporti col governo italiano? «Ottimi. L’Italia conferma il suo ruolo e la sua amicizia nei confronti di Israele nello spirito delle nostre consolidate relazioni bilaterali. Il presidente Matteo Renzi è sicuramente un alleato prezioso nella ricerca di una risposta alle nuove minacce del terrorismo e del radicalismo islamico».
Un problema che tocca Israele ma pure l’Europa. «È una delle sue caratteristiche principali: il radicalismo islamico pone problemi che vanno al di là delle frontiere e che possono manifestarsi allo stesso modo a Gerusalemme, a Parigi, a Bruxelles o negli Stati Uniti».
Benjamin Netanyahu con Matteo Renzi
Eppure, a sentire certe voci anche e soprattutto istituzionali del Vecchio Continente si direbbe che il problema sono le politiche di Israele... «Ed è profondamente sbagliato. L’Europa è il primo partner commerciale di Israele, i rapporti sono buoni da molto tempo. Tempo durante il quale la posizione di Israele non è mai cambiata».
E qual è questa posizione? «È la posizione di chi cerca una soluzione al problema, non di chi vuole crearlo».
E allora chi è vuole crearlo? «I palestinesi, anche loro rimasti fermi nella loro posizione storica, sempre la stessa che è stata prima di Arafat e poi di Abu Mazen».
Ovvero? «Una specie di doppio binario, per cui sullo scacchiere internazionale si cerca di cogliere tutti i vantaggi politici a disposizione, mentre sul versante domestico si continua ad agire more solito, con le piazze intitolate ai terroristi, il denaro usato per fornire un sostentamento pubblico alle famiglie dei guerriglieri e - più in generale - con l’aperto appoggio del terrorismo».
E il famoso processo di pace? «Per noi la strada negoziale è sempre aperta e siamo pronti a percorrerla in qualsiasi momento. Il problema è la controparte: è da un anno e mezzo ormai che i palestinesi hanno abbandonato il tavolo e non danno l’impressione di volerci tornare. Non esiste alcun “circolo di violenza” tra israeliani e palestinesi; esiste una violenza unilaterale da parte loro».
Fin qui la Palestina. Per tacere di altri attori del Medioriente che non sono estranei a certe connivenze pericolose... «Vale per tutti l’esempio dell’Iran. Un Paese che da una parte appoggia apertamente il terrorismo ed il radicalismo islamico e che dall’altra porta avanti un programma di negazione dell’Olocausto, anche attraverso operazioni di pessimo gusto come il famoso concorso per le miglori vignette sulla Shoah».
L'Iran verso il nucleare
Iran il cui presidente Rohani sarà in visita a Roma tra qualche giorno. «Ed in quasi concomitanza con la giornata della memoria dell’Olocausto, per giunta».
Si aspetta che l’Italia faccia sentire la propria voce sul tema? «Ce lo aspettiamo sicuramente. È bene che, nonostante gli accordi che può avere firmato con le superpotenze, l’Iran possa essere visto in tutte le sue sfaccettature e complessità».
Va detto che quanto ad antisemitismo anche l’Europa manda brutti segnali. Nell’ultimo anno circa diecimila ebrei europei hanno intrapreso l’Aliyah, l’immigrazione verso Israele. «Il che di per sé non è un male: dalla dichiarazione di indipendenza in poi, Israele ha sempre fatto il possibile per favorire l’insediamento degli ebrei nel nostro Stato».
Resta il fatto che non si tratta di un bel segnale riguardo l’antisemitismo in Europa... «Ma è anche vero che è un problema più complesso: mettiamo anche che tutti gli ebrei che vivono in Europa ad un certo punto tornino in Israele. Lei crede che l’antisemitismo in Europa scomparirebbe?».
Lei sembra convinta di no. «Certo che no. Si aggiornerebbe, prenderebbe una nuova forma. Magari lo si maschererebbe da anti-israelismo o da anti-sionismo, ma sempre della stessa cosa si tratterebbe».
E come se ne esce? «Risolvendo il problema culturale e psicologico che c’è alla base. Le generazioni europee del dopoguerra hanno avuto come un bisogno di mettersi la coscienza a posto prendendo le difese della parte percepita come più debole, ed hanno scelto i palestinesi. Ma non sempre chi appare più debole è anche chi è dalla parte del giusto».
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