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La Stampa Rassegna Stampa
18.01.2016 Le voci della casbah di Tunisi sulla giornata del Papa in sinagoga
Analisi di Francesca Paci

Testata: La Stampa
Data: 18 gennaio 2016
Pagina: 1
Autore: Francesca Paci
Titolo: «Le voci della casbah di Tunisi: 'Gli ebrei sono nostri cugini, il vero nemico oggi è l'Isis'»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 18/01/2016, a pag. 1-3, con il titolo "Le voci della casbah di Tunisi: 'Gli ebrei sono nostri cugini, il vero nemico oggi è l'Isis' ", l'analisi di Francesca Paci.

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Il mercato nella casbah di Tunisi

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Francesca Paci

«Davvero il Papa ha detto così, che la religione è la medicina contro il terrorismo? Hai visto Fauzi? Ci dà ragione: da quando c’è questa storia di Daesh noi vecchi preghiamo ancora di più».

Il sessantenne Nejb abu Hassan, camicia avana, gilet e giacca di lana pesante, trangugia l’ennesimo corposo caffè arabo con l’amico Fauzi a un tavolino del caffè Dinar, a pochi metri da Bab Bhar, l’ingresso della casbah di Tunisi, dove un brandello di bandiera rossa e bianca ricorda l’orgoglio nazionale risvegliato dalla rivoluzione del 2011. È sera, i commercianti iniziano a chiudere le botteghe, il muezzin della moschea Ezzitouna ricorda il dovere quotidiano dei credenti. Il cameriere con uno strofinaccio a mo’ di grembiule si aggira tra i pochi avventori, tutti uomini, raccogliendo le tazze sul vassoio argentato. Da dietro al bancone di marmo con il cesto delle arance e un’antica macchina con cappuccinatore Gaggia, il panciuto Said porge un tè fumante: «È un omaggio, alla salute del Papa. Se è andato dagli ebrei di Roma ha fatto bene, siamo tutti gente del Libro. In Tunisia ci sono sinagoghe a Tunisi, Sousse, Sfax, Moknine, ce n’è una antichissima a Jerba, dove ci fu l’attentato. Non abbiamo niente contro gli ebrei, quelli che negli anni se ne sono andati l’hanno fatto per loro scelta, nessuno li ha cacciati. Poi se parliamo d’Israele è un altro discorso, in quel caso la religione non c’entra, è tutta una storia politica, gli ebrei però sono cugini». Alla parola Israele si leva un brusio, ma a dire il vero è poco convinto: il problema del Paese in questo momento non si chiama Gerusalemme.
L’appello del Papa non penetra facilmente tra i vicoli bui e poveri della casbah in cui l’infermiera Amal ben Youssef, hijab, lungo cappotto informe e scarpe da ginnastica bianche, cammina a passo veloce dribblando gatti affamati e sacchi della spazzatura. Torna a casa dal turno pomeridiano, ha fretta, risale la città vecchia trascinando due grandi buste della spesa: «L’islam è una religione di pace, il terrorismo uccide soprattutto i musulmani, se il Papa di Roma ha detto che dobbiamo stare uniti anche con gli ebrei contro chi usurpa il nome di Dio è una cosa buona, speriamo venga ascoltato da quelli che accusano l’islam di tutti i mali».

Lasciandosi alle spalle Amal, che s’infila in un piccolo portone all’altezza della moschea Zaytuna, si arriva nella parte alta, prima del Palais du Gouvernement. Ferid Belhassen, architetto, 45 anni, foulard damascato sul soprabito di taglio raffinato, si affretta per raggiungere gli amici in un ristorante fuori dalla casbah. «Onestamente penso che la religione non curi nulla, al contrario, e men che mai la nostra, tutt’altro che pacifica», sorride. L’idea che il Papa inviti al dialogo anziché allo scontro tra confessioni però, non lo disturba: «Se ebrei musulmani e cristiani si limitano a pregare insieme facciano pure. Difficilmente troverete qualcuno che critichi la visita del Papa agli ebrei di Roma, anche chi si considera nemico giurato di Israele in questo momento è ancora più nemico del terrorismo. E poi mi pare di capire che ci siano più antisemiti a Parigi che qui. Abbiamo molti ebrei tunisini, c’è la poetessa Nine Moati che ha scritto un bel libro sulla sua vita a Tunisi prima di emigrare in Francia, “Les belles de Tunis”».

Altra parte della città, altra cultura, altra visione politica, il deputato dei Fratelli Musulmani tunisini Osama al Saghir, che verosimilmente è agli antipodi politici del laico Ferid, condivide con lui l’importanza di scalare i toni: «La religione è certamente un antidoto al terrorismo e il Papa ha fatto benissimo a presentare al mondo un messaggio diverso rispetto al passato e all’idea che le confessioni siano fatte per farsi la guerra. Islam, ebraismo e cristianesimo hanno tanto da poter costruire insieme. Il terrorismo religioso è un’aberrazione ma ormai è sempre più chiaro a tutti che l’islam è pace e non c’entra nulla con i criminali di Daesh, la Cattedrale non ha mai avuto bisogno di protezione neppure nei giorni della rivoluzione quando anche l’ambasciata francese era blindata».

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