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La Stampa Rassegna Stampa
18.01.2016 La fine degli ostaggi: lo Stato islamico non li utilizza come merce di scambio, ma li ammazza subito oppure, se bambini, li trasforma in kamikaze
Analisi di Domenico Quirico

Testata: La Stampa
Data: 18 gennaio 2016
Pagina: 1
Autore: Domenico Quirico
Titolo: «Una guerra mistica e feroce che ignora il 'valore' degli ostaggi»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 18/01/2016, a pag. 1-4, con il titolo "Una guerra mistica e feroce che ignora il 'valore' degli ostaggi", l'analisi di Domenico Quirico.

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Domenico Quirico

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Deir ez-Zor, Siria

Siria... ancor più desolate e, ancor è più terribili sono le tenebre della vita. Un massacro e un sequestro di massa, un altro, l’ennesimo… non l’Ultimo.

Purtroppo da cinque anni dobbiamo, nel buio che ha avvolto quel mondo, credere solo a ciò che dà pena, rassegnarci a imbrattare di inchiostro il volto della Ingiustizia. Non riusciamo a fare altro. Così anche la nostra vita, la nostra, è già piena di scomparsi. Compagni sconosciuti, vecchi fratelli, vi conosco! Portati via tra gli spari, le urla, gli spintoni; donne bambini uomini, turba violata, sfinita, imbiancata dalla polvere delle fughe inutili e dei bombardamenti, cari visi di cui non possiamo asciugare il sudore, tergere le lacrime, che hanno visto il Male, che hanno eseguito il loro compito accettando la vita o la morte. Di alcuni sappiamo i nomi, troppo pochi. Non di quelli ad esempio di ieri, i rapiti di Deir ez-Zor. Tutti li ritroveremo quando questo sarà finito. Per non dimenticare.

Ci spetta, per loro, il dovere di capire. Perché il Califfato sequestra, ad esempio. Ah! Il rapimento per denaro, per ricatto in cambio di qualcosa: quello lo conosciamo bene, ci appartiene, è purtroppo anche nostro. Basta frugare nel marcio di ciò che siamo. O nella prima fase della lercia guerra civile siriana. Ma il sequestro del Califfato, il sequestro solo e soprattutto per uccidere, la razzia delle bestie sacrificali: come un tempo si andava nello stazzo a prendere il montone o l’agnello e lo si trascinava belante all’altare. Quello è nuovo. È Loro.

È nella tattica di qualcosa di più che una organizzazione criminale, un totalitarismo in sviluppo. Se ti cali in lui gli atti criminali diventano espiazioni.
Non comprenderemo mai le azioni dei jihadisti, apparentemente senza senso, sanguinarie e inutili, talora controproducenti, se non capiremo quale tipo particolare di guerra conducono: ovvero una guerra mistico-criminale che deve far rientrare le cose nel loro ordine eterno.

I civili rastrellati perché «impuri» o perché parenti dei soldati che combattono per Bashar, e gli occidentali catturati o acquistati da banditi comuni in Siria o nel Sahara, a Maiduguri, nel nord del Kenya o nella Sirte, sono destinati a morire. In questo tipo di guerra nuova non serve a niente comprendere il nemico, sapere se è «colpevole» o «innocente». Non occorre che odiarlo. Siamo noi che cerchiamo sempre di ridurre le guerre a cause politiche o economiche. Il jihadista non fa la guerra per logica, ma perché tale è la Legge e perché la guerra lo trasfigura. Il nostro punto di vista, anche nei conflitti, stabilisce arbitrati, regole punti di mediazione e di reciproca assicurazione. Il jihad secondo l’idea del califfato totalitario mette brutalmente gli uomini davanti al proprio destino. Non uccide solo per difendersi o conquistare, uccide anche per uccidere. Eliminare esseri umani impuri è un elemento dell’armonia universale.

I campi di battaglia degli uomini di Daesh sono orribili luoghi «santi». Dove regna un ordine crudele e magnifico che il jihad rende condizione permanete di vita. La guerra non ha altro fine che sé stessa. È insieme il sacramento e l’estasi, il simbolo e il segreto. La conquista di territori e perfino la vittoria sono come perse di vista. Si attende dalla guerra una sorta di trasformazione dell’essere, in cui ognuno dei combattenti-assassini scopre la essenza della vita e della personalità.

Il combattente islamico che Daesh ha modellato, assai più plasmabile e complesso del vecchio kamikaze terrorista, è elevato a una esistenza incandescente che lo consuma e che fa di lui un demiurgo senza rimorsi.

Alla fine la guerra supera ogni obiezione, anche di vantaggio temporaneo (come l’usare gli ostaggi per trattare, strappare concessioni), e la sua dismisura la rende indiscutibile, il più severo dei destini: cieca assurda e mortale a sua discrezione, per di più perfettamente inumana. Non è, purtroppo, anche una descrizione del sacro? Sempre incomprensibile, assoluto, irrecusabile.

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