C’è un’Italia dove si gioisce per la morte dei migranti, ci si augura l’espulsione di tutti i profughi, si considera il multiculturalismo una iattura al pari dell’Unione Europea. Si tratta di una minoranza di individui, ma sono portatori di una mole di intolleranza contro il prossimo talmente velenosa e aggressiva da costituire un campanello d’allarme per tutti. Tanto più che un simile odio contro gli stranieri serpeggia in più Paesi europei, dall’Ungheria alla Germania.

Si tratta della reazione più estrema all’emergenza dell’immigrazione extraeuropea e non può avere alcuna giustificazione né legittimazione. Abbiamo scelto di descriverla sul giornale di oggi perché è un seme dell’odio che indebolisce l’identità italiana ed europea rendendoci più vulnerabili ad ogni tipo di estremismo, interno ed esterno. La lezione di Primo Levi è nell’allertare sui rischi della «zona grigia» ovvero la tendenza della maggioranza a voltarsi dall’altra parte quando il vicino di casa commette azioni orrende, diffonde l’odio per il prossimo con azioni, o parole, quotidiane non eclatanti.

Il nostro Niccolò Zancan ha percorso un sentiero di questa oscurità, descrivendone i volti, facendone emergere la sua apparente, agghiacciante, normalità.
Ne esce una fotografia della banalità del Male che si cela dietro il rifiuto del prossimo solo perché straniero. Chiudere gli occhi, ignorare o sottovalutare la presenza di una simile intolleranza sarebbe l’errore più grave anche perché viene da parte di singoli individui nati e cresciuti nel nostro Paese dove studiano, lavorano, hanno delle famiglie, degli amici. La genesi di tale rifiuto del prossimo è in un’idea di Italia che appartiene all’archeologia della Storia: la convinzione che possiamo continuare ad essere un Paese con tutti gli abitanti bianchi, cresciuti in maniera simile, portatori di una cultura identica, estranea ad ogni tipo di diversità culturale, religiosa, etnica. Viviamo invece in una nazione dove si può essere italiani per origine o per scelta, dove si prega in maniera diversa e si possono avere genitori nati in Continenti distanti. Ciò è possibile perché i movimenti di popolazioni iniziati sin dalla fine del XX secolo hanno portato nelle nostre città quasi 5 milioni di stranieri con cui conviviamo sui posti di lavoro, nei luoghi di culto, sui campi sportivi, nelle scuole e strade. Le legittime differenze di opinione, dentro e fuori il Parlamento, su leggi e norme per regolare l’immigrazione non devono aprire spazi o creare alibi all’odio che si affaccia fra noi

Robert Kaplan: "Un nucleo forte e periferie deboli, così l'Europa torna al Medio Evo"


Robert Kaplan

Interessante l'analisi sull'Europa, ma che non risponde alla domanda: che fare ? D'altra parte Kaplan - esperto di sicurezza - non affronta, con un tentativo almeno di spiegarla- come la sicurezza, non solo europea ma anche quella dell'area mediorientale, sia stata ferita a morte dalla politica estera dell'Amminitrazione Obama. Una esercitazione accademica, dunque, e come tale del tutto inservibile per chi vuole capire come affrontare il presente.

Ecco l'articolo:

Guardate una qualsiasi carta geografica dell’Europa nel Medioevo o agli inizi dell’era moderna, prima della Rivoluzione industriale, e resterete sbalorditi dall’incredibile confusione - tutti quegli imperi, regni, confederazioni, Stati e «alto» e «basso» questo e quell’altro. È l’immagine di un mondo totalmente frammentato. Una condizione cui sta tornando l’Europa odierna.
Decenni di pace e prosperità, dagli Anni 50 fino al 2009, quando è iniziata la crisi del debito nell’Unione europea, hanno reso più lineari i confini politici ed economici del continente. Durante la Guerra Fredda c’erano due blocchi contrapposti, poi subentrò il sogno di un’Europa unita con una sola valuta. Oggi, con l’Unione europea sotto attacco dall’interno e dall’esterno, la storia sta tornando indietro, verso una complessità destabilizzante, come se questi ultimi cinquant’anni fossero stati solo un interregno prima di un ritorno alla paura e al conflitto.
Gli Stati Uniti stanno iniziando appena ora a vedere la realtà di questa nuova situazione. L’Europa ha un’economia che compete con quella americana per l’egemonia nel mondo, è e resta una risorsa e un’alleata, ma rappresenta anche un grande problema. La domanda pressante è come gestirlo.
Le divisioni dell’Europa erano evidenti da decenni mentre l’Ue agiva operativamente e lavorava per espandere i suoi confini. C’erano Paesi che facevano parte dell’Unione e altri no; quelli dell’area Schengen e quelli che non ne facevano parte; Paesi in grado di affrontare i rigori finanziari dell’Eurozona e altri che non erano in condizione di farlo.
Quello che è stato preso troppo poco in considerazione è il problema delle profonde radici delle divisioni storiche e geografiche del continente. Il fulcro dell’Europa moderna coincide in linea di massima con l’impero carolingio fondato da Carlo Magno nel IX secolo. Il primo sovrano del Sacro Romano Impero regnava dal Mare del Nord ai Paesi Bassi e da Francoforte a Parigi a Milano e così via. I cugini più deboli di questa Europa si trovano nel Mediterraneo, dalla penisola iberica all’Italia meridionale e nell’area balcanica, storicamente meno evoluta, e sono eredi delle tradizioni bizantine e ottomane.
Nei decenni successivi alla seconda guerra mondiale questa divisione fu cancellata per via del relativo isolamento dell’Europa rispetto ai suoi vicini, cioè dalle regioni del Nord Africa e dell’Eurasia che, per secoli hanno contribuito così tanto a plasmare il carattere distintivo della periferia del continente. Oggi questa geografia più ampia non può essere ulteriormente ignorata dal momento che le diverse aree dell’Europa reagiscono in modi molto diversi alla minaccia rappresentata dall’atteggiamento aggressivo della Russia di Putin, dal flusso dei rifugiati dal Medio Oriente e dagli attacchi terroristici in atto in patria e all’estero.
Appare chiaro ormai che la centralizzazione imposta per decenni dall’Unione europea e dalla sua burocrazia remota e non rappresentativa, non ha creato un’Europa unita. Ha generato, invece, un poderoso contraccolpo che attraversa il continente e a cui l’Europa potrà sopravvivere solo riuscendo a capire come legittimarsi nei confronti delle nazioni che la compongono.
Le difese geografiche che hanno protetto l’Europa nel dopoguerra non tengono più. Quando Fernand Braudel, il grande geografo francese della metà del XX secolo, scrisse la sua nota opera sul Mediterraneo, non lo trattò come il confine meridionale dell’Europa. Che era, secondo lui, il Sahara. Oggi, a riprova che aveva ragione, torme di migranti affluiscono dal Nord Africa, dall’Algeria alla Libia, e invadono da un punto vista demografico l’Europa propriamente detta. Anche i Balcani hanno ritrovato il loro ruolo storico di corridoio migratorio di massa verso il centro dell’Europa, la prima tappa per milioni di rifugiati in fuga dai regimi al collasso di Iraq e Siria.
L’Europa si trova così di fronte a un’amara ironia della storia: i decenni in cui poté sviluppare i suoi grandi ideali dei diritti umani universali, incluso il diritto dei perseguitati a trovare rifugio in Europa, furono resi possibili, ormai è chiaro, dall’esistenza dei regimi oppressivi che tenevano sotto scacco le sue aree periferiche. Il mondo arabo è rimasto chiuso per decenni in Stati-prigione governati da dittatori che custodivano sotto chiave i loro popoli. Saddam Hussein in Iraq, la famiglia Assad in Siria, Muammar Gheddafi in Libia, sono stati loro a permettere all’Europa di alimentarsi del proprio idealismo.
E, ancora peggio per l’unità europea, la geografia e la storia hanno cospirato per rendere alcune regioni del continente più vulnerabili di altre ai flussi dei migranti e dei rifugiati. Se da una parte la Germania e alcuni Paesi scandinavi provano a giocare la carta dell’accoglienza, i Paesi dell’Europa centrale come l’Ungheria e la Slovenia alzano nuove barriere di filo spinato. I Balcani, che negli Anni 90 la guerra e il sottosviluppo separavano virtualmente dall’Europa, hanno subito un ulteriore colpo per via dell’anarchia in Medio Oriente. All’estremità sudorientale dell’Europa, in Grecia, un tempo provincia povera dell’impero ottomano, la crisi economica in atto nel Paese è stata esacerbata dalla sua infelice posizione di porta d’accesso per centinaia di migliaia di migranti in fuga dai disordini del mondo arabo.
Un ulteriore fattore critico nella fine del periodo di stabilità europeo è il ruolo geopolitico svolto dalla Russia. Durante la Guerra fredda l’Unione Sovietica rappresentava un’ovvia minaccia strategica, ma era una minaccia che gli Usa sapevano gestire e, per gran parte del periodo, dopo la morte di Stalin, il Cremlino fu retto da funzionari avversi a prendersi rischi. Dopo il crollo dell’Urss, il periodo di disordini e debolezza istituzionale attraversato dalla Russia portò, tra le altre conseguenze, il fatto che non rappresentasse una minaccia per l’Europa.
Oggi, non occorre dirlo, la Russia ha di nuovo un ruolo strategico in Europa. Il rafforzamento del controllo di Putin sulla federazione, dopo la confusa era eltsiniana, ha creato nuove barriere tra Parigi e Varsavia, Berlino e Bucarest. Un polacco o un romeno negli Anni 90, considerati la debolezza e il caos della Russia, vedevano nell’appartenenza alla Nato e all’Unione europea una prospettiva di stabilità e pace a lungo termine. Oggi l’orizzonte strategico è ben diverso: il futuro dell’impresa europea appare incerto, e una Russia rediviva si è annessa la Crimea, ha invaso l’Ucraina orientale e preme di nuovo minacciosamente ai confini.
Ed ecco che assistiamo a un rovesciamento delle alleanze della Guerra fredda. L’Europa torna a spaccarsi, ma stavolta è l’Europa dell’Est a volersi avvicinare agli Usa, dubitando sempre di più che la Nato da sola possa rappresentante una difesa efficace contro la Russia. Al contempo, i Paesi dell’Europa occidentale, preoccupati per l’arrivo in massa dei profughi e la minaccia terroristica pensano che avvicinarsi alla Russia (malgrado la crisi ucraina) sia utile contro il caos che si diffonde dalla Siria (...).
È passato il tempo in cui pensavamo che l’Europa fosse stabile, prevedibile e noiosa. La mappa del continente sta tornando al suo aspetto medievale, se non proprio nei confini almeno negli atteggiamenti politici e nelle alleanze. Il punto oggi è se l’Unione europea può ancora sperare di diventare l’erede del multiculturalismo dell’impero asburgico, che per secoli dominò l’Europa centrale e orientale, ospitando i più svariati interessi e minoranze.
La risposta dipende non solo da quello che farà l’Europa, ma anche da quello che sceglieranno di fare gli Stati Uniti. La geografia è una sfida, non un destino.
 «TheWall Street Journal»(Traduzione di Carla Reschia)

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