Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 15/01/2016, a pag. 11, con il titolo "Si accende la sfida all'Isis nel Nord Africa: 'Ma il Califfo resta più forte di Al Zawahiri' ", l'analisi di Giordano Stabile.
Giordano Stabile
Un vecchio network, più rigido e lento nelle reazioni, che viene svuotato dal nuovo soggetto, agile, spregiudicato, con una struttura decentralizzata. La rivalità fra Al Qaeda e Isis può essere vista come la competizione fra due multinazionali. La «base» tradizionale ha ancora due roccaforti, lo Yemen e il Nordafrica, e sta tentando una reazione. Ma è destinata a essere rimpiazzata.
Ieri ha battuto due colpi. Il videomessaggio sulla Libia che arriva dall’Aqmi. E i nuovi messaggi, due audio e un testo, del leader supremo Ayman al Zawahiri. L’erede di Osama bin Laden promette vendetta all’Arabia Saudita per l’esecuzione di 47 terroristi, 43 dei quali erano estremisti sunniti, la maggior parte di Al Qaeda. Poi definisce il Sud-Est asiatico, e l’Indonesia, «maturo per il jihad». Infine parla della Siria e torna a condannare l’Arabia Saudita.
Piramide e franchising
Al Zawahiri si nasconde ancora nei tradizionali rifugi fra Afghanistan e Pakistan ma è proprio in Asia meridionale che l’Isis sta conducendo la campagna più aggressiva. «L’assalto a una base dell’aeronautica del 2 gennaio a Pathankot, nel Punjab, è un ulteriore salto di qualità - spiega Colin P. Clarke, analista della Rand Corporation -. L’Isis sta risucchiando militanti ad Al Qaeda in tutto il Sud-Est asiatico, che vede come il terreno più fertile per i reclutamenti. Anche l’attacco a Giacarta si inserisce in questa strategia».
Le ultime roccaforti dove Al Qaeda resta competitiva, secondo Clarke, sono «lo Yemen e il Nord Africa». Questo perché le due branche locali hanno sempre avuto una forte autonomia e leader carismatici locali, come gli yemeniti Nasir al-Wuhayshi (morto nel 2015) e Qasim al-Raymi, capace di crearsi una sua «capitale» a Mukallah. Lo struttura piramidale di Al Qaeda l’ha penalizzata in tutte le altre zone.
L’Isis è stata più abile nel franchising. Come in Sinai, dove Al Bayt al Maqdis ha creato un proprio wilaya, provincia, e conduce una guerriglia implacabile contro l’esercito egiziano, oltre ad aver abbattuto un aereo russo, con 224 persone a bordo. In Libia la situazione è simile, con gruppi e tribù locali che si sono affiliate e hanno ricevuto centinaia, forse migliaia, di nuove reclute dalla Tunisia e da Siria e Iraq.
Più a Ovest, nel territorio desertico fra Libia, Algeria, Niger, Mali e Mauritania, domina ancora l’Aqmi e la situazione è molto fluida. Il caso di Mokhtar Belmokhtar, forse il comandante più famoso, è emblematico della competizione fra i due gruppi. E come, in questo caso, un approccio più «tradizionalista», abbia favorito Al Qaeda.
Belmokhtar è un figliol prodigo. Cacciato con l’accusa di essersi intascato parte dei fondi che arrivavano dalle casse centrali di Al Qaeda, ha fondato un suo gruppo, i Mourabitounes, si è avvicinato all’Isis, anche se non è chiaro se abbia fatto giuramento di fedeltà, ha tentato l’avventura in Libia. Poi ha ripiegato in Mali, dove ha messo ha segno, in collaborazione con l’Aqmi, l’assalto all’Hotel Radisson di Bamako, il 20 novembre.
L’Aqmi ha sottolineato che, a differenza dell’Isis, gli assalitori del Radisson hanno avuto cura «di separare con cura cristiani da musulmani» in modo da non «versare l’inviolabile sangue islamico». Ciò in contrasto con l’attacco di Parigi del 13 novembre. Anche lo stile della comunicazione è molto diverso, con l’Isis che «ha un marketing più aggressivo» ma può «urtare gli ambienti più conservatori».
Libia, nuovo Afghanistan
In ogni caso la spregiudicatezza dell’Isis sta pagando. Con il controllo di un territorio in Siria e Iraq, lo Stato islamico ha una base solida per espandersi, come Al Qaeda non ha mai avuto. E, secondo Clarke, punta moltissimo sulla Libia, «che oggi è quello che era l’Afghanistan nella seconda metà degli anni Novanta, un santuario, una calamita per gli jihadisti». E una minaccia «concreta e seria» per l’Italia. Da non sottovalutare dal punto di vista militare perché «gli islamisti hanno messo le mani su sistemi anti-aerei Sam dell’arsenale di Gheddafi».
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