Qualche riflessione sul terrorismo in Israele
Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli
A destra: la scena dell'attentato di venerdì scorso a Tel Aviv
Cari amici,
mentre vi scrivo il responsabile dell'assalto terrorista di Tel Aviv non è stato ancora catturato, anche se sono passati due giorni. E' stato identificato grazie alla denuncia del padre, ma è probabile che si sia predisposto un rifugio, il che è un'evoluzione pericolosa del modus operandi dei terroristi. Ed è anche una sconfitta per polizia e Shin Beth, il servizio segreto interno. Entrambi gli organismi di sicurezza non hanno brillato per efficienza nell'ultimo periodo, per esempio nel caso Duma o nella prevenzione degli accoltellamenti. Bisogna sperare che i nuovi capi nominati nei mesi scorsi dal governo Netanyahu per questi due organismi vitali, entrambi provenienti da altri ambienti, sappiano rifondarli, perché sembra proprio che ce ne sia molto bisogno.
Tel Aviv, cuore economico di Israele
Per ora bisogna notare che il terrorista è riuscito a sfuggire dopo aver sparato, invece di usare l'arma del coltello, più “virilmente” propagandistica ma molto meno efficiente e assai più rischiosa per chi la usa. E' presto per dire che si è davvero aperta una nuova fase, magari in seguito agli appelli di Hamas, ma vale la pena di notare che ieri vi sono stati dei ferimenti, sempre con l'uso di armi da fuoco, a Hebron (http://www.jewishpress.com/news/young-woman-shot-in-hebron/2016/01/03/) e in un villaggio vicino (http://www.jewishpress.com/news/breaking-news/idf-soldier-hit-by-arab-sniper-fire-in-hebron-area/2016/01/03/). La collocazione geografica non è indifferente, visto che quella è la zona della maggiore influenza di Hamas. C'è dunque da temere che l'ondata terroristica si aggravi, per uso delle armi e anche per numero di vittime. Non è necessario per questo pensare all'Isis, come alcuni hanno proposto notando delle somiglianze con gli attentati di Parigi: Hamas basta e avanza. Del resto, a parte gli endemici conflitti per affermare la preminenza di un gruppo sull'altro, gli attentati islamici non sono mai così diversi fra loro e le varie armi e modalità d'uso risentono più di “mode” temporali che di ragioni ideologiche.
Vedremo: possiamo solo sperare che queste previsioni siano smentite dai fatti e che non si esca dal quadro, sanguinoso ma sotto controllo, del “terrorismo popolare”. Per ora vale la pena di notare che questo attentato supera altre due barriere psicologiche che si erano diffuse nella mente soprattutto dei “progressisti”. La prima è la sua collocazione a Tel Aviv; la seconda il fatto che sia stato compiuto da un arabo israeliano che in quella città lavorava. Non è la prima volta che Tel Aviv subisce degli attentati in questa ondata terroristica, per non parlare dei numerosi precedenti durante la seconda intifada e le guerre di Gaza; ma di recente si erano svolti in periferia; questa volta invece in pieno centro. E non è certo una novità che gli arabi con passaporto israeliano partecipino agli accoltellamenti; ma anche in questo caso si trattava di un personaggio più vicino, meno esotico. Entrambi questi dettagli servono a falsificare l'illusione di impunità degli abitanti di Tel Aviv; non si tratta di cose che accadono a “loro”, i selvaggi che vivono a Gerusalemme o addirittura nei “territori”; non c'è differenza fra il centro del paese, che nella sua parte più politicamente e intellettualmente altezzosa si ritiene immune dal conflitto coi palestinisti. Del resto le due vittime dell'omicidio sono state concordemente indicate come “coloni” dalle fonti arabe, come “coloni” erano stati chiamati anche i tre ragazzi rapiti e uccisi dell'estate 2014, sebbene due fossero nati e vivessero al di qua della linea verde. Bisogna rassegnarsi: tutti gli israeliani (che non siano musulmani, beninteso) sono “coloni” per i palestinisti, e in sostanza lo sono tutti gli ebrei. Nessuno può guardare quel che accade sentendosi al sicuro, o - peggio - “innocente”.
Un'ultima considerazione va fatta. Coi morti dell'altro giorno, siamo a quota ventisei o ventisette uccisi in tre mesi. Non vorrei sembrarvi cinico, non lo sono affatto. So benissimo che ogni vita è impagabile, che ogni essere umano è un mondo, che gli uccisi sono vittime di un progetto genocida che ci riguarda tutti, che meritano compianto, tristezza e anche onore. Ma bisogna dire che il danno che i terroristi riescono a fare a Israele è limitato, molto più di quello del terribile periodo fra il 2002 e il 2003. Bisogna fare attenzione a non fare il gioco degli assassini, dipingendo un paese insicuro o in preda al panico. Israele non lo è affatto, il rischio oggettivo di essere feriti o uccisi da un terrorista continua a essere molto basso, meno di un morto per milione d'abitante al mese, se i miei calcoli sono giusti. Non attribuiamo ai criminali un potere che non hanno.
Ugo Volli