Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 31/12/2015, a pag.V, con il titolo "Quella guerra senza fine che punta dritto su Aleppo " il commento di Domenico Quirico.
Domenico Quirico
Altri cinquantamila morti, da aggiungere ai 250 mila, e un altro milione di profughi: sono le cifre degli sperduti sotto il sole laborioso del levante dove il compito della giornata è di essere luce. Naufraghiamo in numeri orribili. Non ci sono morali da ricavare né probabilmente conclusioni da trarre dell’anno quinto della guerra civile siriana, dell’avvento del Califfato Millenario. Non c’è altro modo di descrivere la Siria se non credere nell’avvenire del Terribile. Chi racconta questa immensa, interminabile tragedia non può che registrare l’imminente: come un pazzo che aspettando da un momento all’altro il crollo della casa in cui vive, sta in agguato, spia ogni scricchiolio e si irrita perché l’avvenimento tarda a compiersi. Sappiamo che là tutto sta crollando, l’umanità, in tutti i campi, è calcinata nel dolore, le probabilità di sopravvivere molto incerte, i diritti umani ridotti a un diritto solo, il diritto alla sopravvivenza: è così anche quando non ci pensiamo, soprattutto quando non ci pensiamo. Questa constatazione sta diventando la base della nostra educazione, il principio purtroppo delle pedagogie future. Eppure, sul piano politico militare, una cosa è accaduta e sta lì, intoccabile, nella sua realtà e nelle sue sottili, sotterranee conseguenze. L’ingresso diretto, brutale della Russia sul piano inclinato della forza: l’unico su cui purtroppo ormai si può giocare la partita siriana. Ora, almeno, tutto è più chiaro. Tragicamente. Da una parte c’è chi agisce, Putin, il califfato; dall’altro chi costruisce sedative ipotesi diplomatiche con gente leticosa e stucchevole, senza seguito, monta tavoli negoziali metafisici, dispensa terze vie ipotetiche. La piaga della diplomazia occidentale, il «wishful thinking», prendere i desideri per realtà: aiuta a vivere la decadenza. Bashar e i suoi alleati, la Russia l’Iran e Hezbollah, hanno impiegato l’anno a ripulire meticolosamente la parte della Siria, l’Ovest e le grandi città, difesa in questi anni come ultimo, indispensabile baluardo. L’anno che viene sarà quello, non dei negoziati e delle grazie schedaiole, ma della battaglia di Aleppo che deciderà la guerra: la riconquista della seconda città del paese, simbolo di una ormai antica e dimenticata «rivoluzione» per segnare la intangibilità, anche militare, del regime e del suo presidente. Appena sfiorato dagli attacchi aerei, il Califfato sunnita ha avuto un anno intero per consolidarsi, per scorrazzare sui suoi nuovo territori, ubriaco di potere; soprattutto libero di lavorare le coscienze, trasformare antropologicamente otto milioni di sudditi in gran parte involontari in fanatici, in popolo modellato dalla sharia e dalla retorica del paradiso in terra. A questa gente piace odiare. E l’odio avvelena la mente. Tutto ciò che era nel mezzo tra queste due realtà è diventato sigla, ipotesi, propaganda. Le bombe russe e la infernale attrazione del Califfato hanno annientato la galassia confusa degli Altri, i comprimari della opposizione siriana . «Ma quanti kalashnikov comandano….?»: è questa la domanda che in Siria pongono ogni qual volta citi qualche sigla che non sia l’esercito di Bashar o il Califfato. Già, quanti kalashnikov hanno….come dargli torto? La Storia non dimentica i fatti.
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