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L'Osservatore Romano Rassegna Stampa
30.12.2015 Le parole che delegittimano Israele sul quotidiano della S.Sede
Ecco alcuni esempi

Testata: L'Osservatore Romano
Data: 30 dicembre 2015
Pagina: 3
Autore: La Redazione dell'Osservatore Romano
Titolo: «Non si fermano gli insediamenti»

Riprendiamo dall' OSSERVATORE ROMANO di oggi, 30/12/2015, a pag.3, con il titolo " Non si fermano gli insediamenti " un redazionale che riconferma in pieno la linea del quotidiano ufficiale del Vaticano.  Le parole che usa sono quelle della delegittimazione di Israele:

Coloni:
non ci sono colonie da cui far derivare  quel nome, nè in Cisgiordania nè a Gerusalemme, nè a Maalè Adimim nè altrove. La Linea Verde è il risultato di un 'cessate il fuoco', non è un confine, infatti gli arabi che vivono in Cisgiordania costruiscono quanto gli pare, senza che nessuno protesti. Israele fa lo stesso, nella protesta generale di chi applica la regola 'due pesi due misure', come fa l' Osservatore Romano.
Peace Now: se gli arabi volessero veramente la pace, avrebbero potuto dimostrarlo già fin dal 1948, invece hanno respinto la soluzione 'due stati per due popoli' fin da allora. Ma l'Osservatore Romano non lo ricorda, un classico esempio di menzogna omissiva.
Dirigenti Palestinesi: Chi ha cancellato ufficilamente gli Accordi di Oslo è stato Abu Mazen, non scriverlo è un'altra menzogna omissiva, il lettore, ingannato da quanto legge, attribuisce la responsabilità della situazione a Israele
ANSA: invece di citare una riga dell'agenzia, che informa correttamente, l'Osservatore Romano dovrebbe imparare dall'Ansa come si fa informazione, ma se ne guarda bene.
CILIEGINA SULLA TORTA: che c'entra la condanna a Olmert a fine pezzo ? come non interpretare la scelta con un 'vedete, questo è Israele, persino un ex premier è un corrotto'? Andreotti, grande amico del Vaticano, diceva che pensare male è peccato, ma che la si imbrocca quasi sempre.

Ecco l'articolo:

Nuovi insediamenti ebraici in Cisgiordania. Il ministero dell'edilizia di Israele sta lavorando a progetti che prevedono la costruzione di oltre 55.000 case per i coloni ebrei. Si tratta di piani preliminari, che per ora restano solo sulla carta e la cui realizzazione anche parziale potrebbe richiedere anni. Ma, dicono gli analisti, se questi piani si materializzassero — in particolare quelli nella zona E-i, compresa fra Gerusalemme est e l'insediamento di Maale Adumim — le ripercussioni sarebbero tali da mettere gravemente in forse la costituzione di uno Stato palestinese autonomo, perché fra Ramallah e Betlemme non ci sarebbe più alcuna continuità territoriale. A rivelare l'esistenza di questi piani è stata ieri l'organizzazione israeliana Peace Now, in un rapporto redatto sulla base di documenti ottenuti dal ministero. I progetti in questione risalgono ad anni passati, anni in cui la carica di ministro dell'edilizia era svolta da Uri Ariel, un dirigente del partito Focolare Ebraico ed esponente del movimento dei coloni. Nel frattempo al suo posto si è insediato Yoav Galant, del partito centrista Kulanu, a cui Peace Now ha fatto appello affinché annulli quei piani e «si concentri piuttosto nella costruzione di case all'interno dei confini di Israele internazionalmente riconosciuti». Dai responsabili del ministero dell'edilizia non sono giunti commenti ufficiali. Da parte sua il leader di Focolare ebraico, il ministro dell'Istruzione, Naftali Bennett, ha detto oggi alle Knesset (il Parlamento israeliano) che «è giunto il momento di dire che la terra di Israele ci appartiene». Dobbiamo — ha aggiunto — «passare dalla difensiva a un'iniziativa mediante la quale la sovranità israeliana venga estesa alle parti della Cisgiordania attualmente sotto nostro controllo diretto». Questo — ha concluso Bennett — «deve essere il nostro obiettivo strategico». A Ramallah, di fronte a tali affermazioni, i dirigenti palestinesi non hanno potuto non esprimere le proprie critiche e chiedere che la comunità internazionale intervenga nuovamente. Fonti palestinesi, citate da radio Gerusalemme, hanno avvertito che l'attuale leadership politica dei palestinesi sta progressivamente perdendo il controllo della situazione in molte parti della Cisgiordania, specialmente Nablus, e c'è il rischio concreto di un'escalation delle violenze. La sensazione — commenta l'Ansa — è che in campi profughi notoriamente controllati da gruppi estremisti (Qalandya presso Ramallah, Deheishe presso Betlemme, e Jenin) la tensione stia crescendo e che la situazione possa sfuggire di mano alla leadership di Al Fatah (il partito maggioritario dell'Olp, il cui leader è il presidente Mahmoud Abbas). Venerdì scorso Al Fatah ha schierato in strada a Ramallah le proprie forze di sicurezza per arginare le dimostrazioni contro l'esercito israeliano. Ma nelle dichiarazioni rilasciate a radio Gerusalemme, le fonti del partito hanno espresso anche un altro timore: che i venti di protesta popolare nei Territori possano prima o poi rivolgersi anche contro la Muqata, il quartier generale di Abbas a Ramallah. Intanto, la Corte Suprema ha stabilito oggi che l'ex premier israeliano Ehud Olmert dovrà scontare 18 mesi di carcere, per corruzione. Cinque giudici della Corte hanno accolto in parte il ricorso di Olmert, che nel 2014 era stato condannato a sei anni di detenzione per una vicenda di corruzione relativa a un controverso progetto edilizio, nel periodo in cui egli fungeva da sindaco di Gerusalemme. Olmert verrà incarcerato nelle prossime settimane.

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