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La Stampa - La Repubblica Rassegna Stampa
18.12.2015 Nazi-islamismo italiano: ecco che rispuntano le liste di proscrizione contro gli ebrei
Cronaca di Francesca Paci, commento di Carlo Bonini

Testata:La Stampa - La Repubblica
Autore: Francesca Paci - Carlo Bonini
Titolo: «Blacklist di ebrei sul web, la Procura apre un'inchiesta - I nazi-jihadisti e la vergogna degli elenchi contro gli ebrei»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 18/12/2015, a pag. 16, con il titolo "Blacklist di ebrei sul web, la Procura apre un'inchiesta", la cronaca di Francesca Paci; dalla REPUBBLICA, a pag. 1-46, con il titolo "I nazi-jihadisti e la vergogna degli elenchi contro gli ebrei", il commento di Carlo Bonini.

A destra: l'islamismo è il nuovo antisemitismo nazista

Ecco gli articoli:

LA STAMPA - Francesca Paci: "Blacklist di ebrei sul web, la Procura apre un'inchiesta"

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Francesca Paci

Da almeno quattro anni circola in Rete l’agghiacciante «Lista degli ebrei influenti italiani, il monopolio ebraico nei mass media in Italia». Un elenco di nomi e ruoli di intellettuali, imprenditori, giornalisti: quelli che secondo l’antisemitismo militante controllerebbero il Paese. Diffuso per la prima volta nel 2011 dal Radio Islam - sito di un gruppo paranoico fascio-integralista attivo da una trentina d’anni - il documento era stato già segnalato, ma ha continuato a vivere nei bassifondi di internet tornando a galla ciclicamente con la sempre sorprendente adattabilità dei pregiudizi immortali. Lo stile è quello delle blacklist dell’odio antisemita moltiplicate online da forum neonazisti come Stormfront, fondato da un ex del Ku Klux Klan, e il tono ricalca la narrativa delirante del suprematismo bianco, la messa all’indice di immigrati, gay, ebrei.

Allora Gad Lerner, che nella lista veniva definito «Faccia da eliminare», rispose descrivendo la miseria intellettuale e morale degli autori, nascosti come sempre dietro l’anonimato: «Non chiederò la scorta, per simili imbecilli». Ma nell’era del digitale in cui, come confermano i big data, le bugie e le teorie cospirative prosperano, il veleno non perde il suo potere con una pozione di buon senso. Internet trabocca dietrologia, razzismo, antisemitismo e anti-islamismo (non solo, ovviamente e per fortuna). All’indomani degli attentati del 13 novembre a Parigi c’era già chi si produceva in folli spiegazioni sulle origini ebraiche (vere o presunte, come sempre) dei proprietari del Bataclan e su come proprio quella sera non ci fossero ebrei al concerto. Come dopo l’11 settembre 2001, con le teorie sugli aerei mai caduti sul Pentagono affiancati dalla antica storia degli ebrei avvertiti in anticipo dell’attentato e rimasti a casa.

E’ dai tempi dei Protocolli dei Savi di Sion, falso prodotto dalla polizia zarista assurdamente ancora in vendita nelle librerie delle capitali arabe, che l’ebreo viene additato come “l’altro”, capro espiatorio ideale per distogliere l’attenzione da qualsiasi crisi.

In un clima simile, con il primo invasato che prende il coltello e s’intitola vendicatore Isis, la Procura di Roma ha aperto un fascicolo contro ignoti ipotizzando il reato di minaccia e diffamazione con l’aggravante dell’odio razziale: la Polizia postale potrebbe anche decidere di oscurare il sito. All’ennesima riproposta dell’elenco di Radio Islam sono intervenute anche Fnsi e Usigrai denunciando la lista come iniziativa vergognosa e indegna di un paese democratico.
Per fortuna, va detto, sui social network si sono moltiplicati commenti indignati, disgustati. Ieri sera era difficile accedere al sito: che venga o meno oscurato, i pregiudizi razziali hanno vita eterna nella websfera.

LA REPUBBLICA - Carlo Bonini: "I nazi-jihadisti e la vergogna degli elenchi contro gli ebrei"

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Carlo Bonini

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In un micidiale cocktail di immondizia neonazista e antisemitismo “religioso” che si professa musulmano, in Rete torna ad affacciarsi l’infame lista di proscrizione degli “Ebrei influenti in Italia”, già pubblicata nel 2009 dal sito “Stormfront” (da tempo oscurato). Questa volta, sotto la testata “Radio Islam”, incubatore di istigazione all’odio razziale in 33 lingue fondato nel lontano 1996 da Ahmed Rami, ex ufficiale golpista dell’esercito marocchino riparato in Svezia.

OGGI come sei anni fa, in un medesimo format grafico, giornalisti, professori universitari, imprenditori, intellettuali, scrittori, vengono consegnati a una colonna infame in cui la stella gialla è aggiornata in un marchio digitale dalle lettere maiuscole e il color ruggine: “EBREO”. A dispetto di ogni decenza, verità e persino attendibilità. Non fosse altro perché, come stigmatizzato in un tweet da Gad Lerner (uno dei “marchiati”), che «a Radio Islam siano pure imbecilli, oltre che biechi » è dimostrato da una «lista zeppa di errori». Affidata alle indagini delle nostre polizie, l’antiterrorismo e la postale, e della nostra intelligence interna, l’Aisi, della faccenda si verrà ragionevolmente a capo in tempi brevi. Magari per scoprire, come già accaduto in passato (sono state due le indagini che, nel novembre del 2012 e del 2013, hanno disarticolato con arresti e condanne la rete di “Stormfront” in Italia), che dietro l’anonimato della Rete si nasconde l’odio vigliacco di pochi, fedeli innanzitutto alla svastica e al ciarpame revisionista, oltre che a Maometto e alla Sharia. E tuttavia, nel rigurgito di queste ore c’è un tratto che non deve essere lasciato cadere, né merita di essere sottovalutato.

La sortita di “Radio Islam” arriva infatti due settimane dopo il post in Rete di un video di 14 minuti in cui le stragi di Parigi (130 morti), in un montaggio grottesco nella sua grossolana manipolazione della realtà, venivano declassate a «ridicola farsa» orchestrata da «coloro che hanno creato a tavolino prima Al Qaeda e poi l’Is». Il copyright, in quel caso, era stato del sito “La scienza del Corano” e del suo fondatore. Un altro marocchino. Tale Anass Abu Jaffar, ventisettenne a lungo residente nel bellunese, legato a foreign fighters partiti per la jihad in Siria, ed espulso nel maggio scorso dal nostro Paese per poi riparare a Casablanca. Un altro campione di antisemitismo (come si evince dai post del suo profilo Facebook) e dal significativo seguito di guardoni (100 mila follower). È insomma l’effetto emulativo e seriale di una propaganda “nazi-islamista” (per dirla con le parole di Bernard-Henry Lévy) la questione che pone il velenoso ciarpame messo in circolo in queste settimane e già manifestatosi all’indomani di Charlie Hebdo. E non tanto, o non soltanto, per la potenziale capacità di contagio di quella propaganda su teste matte o fragili (pure non trascurabile). Ma per la sua oggettiva forza di provocazione e di moltiplicatore della barbarie delle parole (prima ancora che dei comportamenti), in ossequio a un’antica equazione per cui, appunto, “odio chiama odio”.

La posta in gioco, ancora una volta, è infatti la desertificazione di ogni spazio di tolleranza. In una logica in cui l’uso dell’antisemitismo diventa strumento “naturale” e “virale”, in Occidente, come nelle periferie mediorientali del Califfato, per annichilire la moderazione delle opinioni pubbliche cristiane e musulmane. Unico antidoto all’odio e dunque suo principale nemico. La “lista” di Radio Islam, i deliri della “Scienza del Corano”, sono benzina gettata su un falò che per bruciare ha continuamente bisogno di carburante. Che quando non è sangue è, appunto, il culto verbale dell’annientamento. Religioso o razziale che sia.

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