Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 12/12/2015, a pag.57, con il titolo "I curdi del Levante, una nazione senza stato ", la risposta di Sergio Romano.
Ecco un Sergio Romano della serie "anche un orologio guasto dice due volte al giorno l'ora esatta". Una breve storia del popolo curdo in lotta da sempre per essere riconosciuto come Stato, raccontata correttamente.
Mi piacerebbe sapere sulla base di quali presupposti Inghilterra e Francia disegnarono i confini dei nuovi Stati scaturiti dalla dissoluzione dell’Impero Ottomanno. Già allora si valutò l’opportunità di creare un Kurdistan autonomo e indipendente, ma poi, forse per l’opposizione degli Stati che avrebbero dovuto cedere parte dei loro territori, non se ne fece nulla. Ora, in questo sconvolgimento territoriale, dove già il Kurdistan iracheno gode di un’amplissima autonomia e la Siria non esiste praticamente più come Stato, potrebbe sorgere un Kurdistan indipendente formato, per ora, solo dai territori curdi di Iraq e Siria. Mentre per la parte turca e iraniana abitata dai curdi penso che il percorso verso l’indipendenza sarà molto più difficile...
Pierluigi Ziliotto
pierluigi.ziliotto@gmail.com
Sergio Romano
Caro Ziliotto,
La lunga agonia dell’Impero Ottomano fu rallentata dalle gelosie delle grandi potenze, tutte egualmente assillate dal timore che la sua disgregazione alterasse a vantaggio di una di esse gli equilibri della regione. Dopo lo scoppio della Grande guerra, tuttavia, fu chiaro a tutti che il grande Stato turco, alleato degli Imperi centrali, non sarebbe sopravvissuto a una sconfitta. Fu questa la ragione per cui Francia e Gran Bretagna decisero di giocare d’anticipo. Anziché attendere la fine del conflitto e le trattative al tavolo della pace, due diplomatici — François Georges Picot per la Francia e Sir Mark Sykes per la Gran Bretagna — si accordarono tra la fine del 1915 e l’inizio del 1916 sui confini delle rispettive aree d’influenza. Alla Russia fu detto che sarebbe stata consultata dopo la fine della guerra, all’Italia, con un accordo dell’aprile 1917, fu promesso che avrebbe avuto una grande parte dell’Anatolia meridionale con Smirne, Adalia e Konieh. Vi furono ancora negoziati dopo la fine della guerra per dare soddisfazione ad altre rivendicazioni, ma queste furono, per grandi linee, le basi del trattato di pace con la Turchia, firmato a Sèvres il 10 agosto 1920. I vincitori, tuttavia, avevano fatto i conti senza un generale quarantenne che si era distinto a Gallipoli combattendo contro le forze britanniche e australiane. Si chiamava Mustapha Kemal, ma sarebbe diventato Kemal Atatürk («vero turco») dopo la fondazione, sulle macerie dell’Impero Ottomano, di una coraggiosa e spavalda Repubblica turca. Caddero così, una dopo l’altra, tutte le clausole del trattato di Sèvres che spezzettavano il cuore anatolico dell’Impero Ottomano, fra cui le pretese della Grecia e dell’Italia sulla Anatolia. Scomparve anche l’articolo che prevedeva la costituzione di un Kurdistan nella regione sud orientale della Turchia, dove vive una forte comunità curda (oggi circa 12 milioni). Quel piccolo Stato, se fosse nato, avrebbe probabilmente attratto a sé i curdi dell’Iran (6 milioni), dell’Iraq (4 milioni) e della Siria (un milione), modificando i confini di quattro Paesi. Non è difficile immaginare quali e quanti ostacoli il nazionalismo curdo abbia trovato da allora sulla propria strada. La guerra irachena del 2003 e la guerra civile siriana del 20011 hanno acceso, per i curdi, nuove speranze, ma anche creato nuove preoccupazioni nei Paesi dove le comunità curde sono meglio organizzate e intraprendenti. Dietro le ambiguità e le reticenze con cui la Turchia ha affrontato la minaccia dell’Isis vi è certamente il timore che dalla crisi i curdi possano uscire più forti e meglio in grado di ottenere ciò che desiderano da quasi cento anni.
Per inviare al Corriere della Sera la propria opinione, telefonare: 02/62821, oppure cliccare sulla e-mail sottostante