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Frédéric smarrito tra i suoni Tutti ci ricordiamo di quanto sia difficile essere adolescenti. Un’epoca della vita piena di contraddizioni, refrattaria al compromesso e dove l’inquietudine e la vulnerabilità dell’anima si nascondono dietro un atteggiamento irritante al limite della strafottenza specie nei confronti dei genitori e dei fratelli più piccoli. Non fa eccezione Frédéric Quenoz, un giovane di 17 anni che si è appena trasferito a Tel Aviv con la sua famiglia: la mamma Mathilde, detta Francia, il papà Paul detto Svizzera, la sorellina Morgane e il fratello più piccolo César, irrequieto e capriccioso, come tutti i fratelli minori! Frédéric è l’indimenticabile protagonista dell’ultimo romanzo di Denis Lachaud, pubblicato in Francia nel 2011 col titolo “J’apprends l’Hébreu” che arriva in Italia nella bella versione di Sergio Claudio Perroni con la casa editrice 66thand2nd. Ben si attaglia il titolo italiano alla personalità di Frédéric, un adolescente ipersensibile, un po’ spaesato, costretto ancora una volta a cambiare paese per seguire il lavoro del padre impiegato in una banca che lo manda in giro per il mondo; dopo essere nato a Parigi e aver traslocato prima a Oslo poi a Berlino, Frédéric approda nella Terra Promessa, in una città costruita sulla sabbia cha aggiunge preoccupazione al suo inevitabile disorientamento “Io non ho mai vissuto sulla sabbia. Non so come si fa a vivere sulla sabbia. Non so come contrastare una simile fragilità di contesto, una simile permeabilità”. Eppure Tel Aviv e i suoi abitanti gli piacciono come pure l’ebraico che si impegna ad imparare da solo, non come i turisti in modo approssimativo. E proprio perché è una lingua “strana” che si legge da destra a sinistra, al contrario delle lingue che sinora ha studiato, l’ebraico lo fa sentire meno diverso dal mondo che lo circonda “… E’ possibile che se le parole si presentano nell’altro senso io riesca a vivere con la pienezza cui tutti hanno diritto. Ne ho una gran voglia”. Perché il diciassettenne Frédéric è davvero “smarrito nei suoni” e nella vita come se per lui fosse difficile individuare un punto fermo cui appigliarsi. Sente di non avere radici e il suo essere un amalgama di lingue e origine diverse (la mamma francese e il padre svizzero) gli fa “perdere la bussola” in una quotidianità a volte troppo destabilizzante. Mentre i fratelli si muovono sicuri nel mondo che li circonda, Frédéric, preoccupato per l’assedio sonoro di una lingua sconosciuta, si procura un dittafono, uno strumento utile per decifrare quello che gli altri dicono consentendogli di ascoltare e riascoltare le conversazioni e dunque un artiglio sicuro, dal quale non si separa mai, per orientarsi nel nuovo Paese…” ho comprato il dittafono che mi permette di trasformare le parole dette in parole scritte, la penombra orale in luminosità su carta”. Cercare di ambientarsi in Israele è un’impresa avventurosa che porta Frédéric a conoscere persone nuove - come la signora Lev del piano di sopra con la quale parla in tedesco o la famiglia Masri “costretta a lasciare l’Egitto negli anni Cinquanta” con cui parla in francese e che fra torte al cioccolato o di ricotta lo avvicinano alla nuova realtà israeliana – ma anche a fare incontri affascinanti e ad affrontare situazioni imprevedibili e lunghe notti insonni per il caldo. Il giovane Quenoz si interroga su tutto, osserva tutto, registra qualsiasi conversazione senta in famiglia o per la strada e non ama uscire dal suo “territorio”. Ha però un amico immaginario che lo protegge e col quale dialoga regolarmente: ”Benjamin si chiama Benjamin Ze’ev Herzl… per il resto del mondo è Théodore Herzl”. E’ il fondatore del sionismo che accompagna il giovane Frédéric alla scoperta della città evitandogli guai e sottraendolo a eventi pericolosi. “Imparare una lingua mi ha sempre permesso di scoprire come devo guardare il mondo in cui vivo”, ragiona Frédéric e in effetti l’apprendimento di una lingua diventa un modo per costruirsi una propria identità e prendere una direzione che illumini il suo difficile cammino verso l’età adulta. Lachaud indaga con vera maestria i rapporti familiari che legano i Quenoz l’uno all’altro narrandoli non solo dalla prospettiva di Frédéric. Con riflessioni argute conosciamo i pensieri di papà Paul, le preoccupazioni di Mathilde sul comportamento del figlio adolescente, le intemperanze di César che segue il fratello maggiore con una macchina fotografica per immortalare le sue stravaganze e metterne a parte la madre. Tuttavia anche per Frédéric il rapporto con César è inquieto e non incline all’affabilità “...mio fratello dallo sguardo impenetrabile, mio fratello che mi tiene ai margini da sempre, da quando è sbarcato dalla maternità e mi ha individuato in cima alla scala dei fratelli”. Attraverso la figura di Frédéric, Denis Lachaud ci introduce con garbo e sensibilità nei meandri di una personalità disturbata ma che affascina e cattura il lettore sin dalle prime pagine. Emergono così le problematiche che caratterizzano la vita degli adolescenti, il difficile rapporto con i genitori e la necessità di tenere aperta in ogni momento una via di comunicazione con i giovani per impedir loro di smarrirsi nel mondo, allontanandosi anche dalla famiglia per paura o senso di inadeguatezza (“…Lei (la madre) vive nella frase pronunciata, io vivo nella frase silenziosa. Si capisce chiaramente che la comunicazione necessita di uno sforzo, mi dico”). Denis Lachaud, regista drammaturgo e attore, che ha esordito nella narrativa nel 1998 con “Imparo il tedesco” pubblicato da 66than2nd nel 2013, affronta in questo romanzo di formazione, con un linguaggio ritmato e travolgente, tematiche attuali e delicate ponendo a confronto il fragile equilibrio di Frédéric con quello di Israele, una terra dalle molteplici contraddizioni e con qualche fragilità.
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