Cosa si insegnerà nella nuova scuola per gli imam
Analisi di Valentina Colombo
Sta facendo discutere il trasferimento dell’Associazione Islamica Italiana degli Imam e delle Guide Religiose da via delle Quattro Fontane 109 nella capitale a San Giovanni Lupatoto in provincia di Verona nei locali dell’ex calzaturificio Armani. Quel che più ha suscitato da un lato interesse e dall’altro preoccupazione è la notizia che dal 2016, presso la nuova sede, verrà inaugurata una scuola di formazione per imam. Non si tratta di una moschea, come ha precisato il portavoce dell’Associazione Aboulkheir Breigheche, quindi i locali non saranno aperti al pubblico né musulmano né non musulmano, ma solo a coloro che vorranno seguire i corsi di formazione. Dal canto suo Mohamed Guerfi, membro dell’Associazione che svolge l’attività di imam nel capoluogo scaligero, ha dichiarato a L’Arena che nella nuova sede si svolgeranno anche “corsi di aggiornamento anche in collaborazione con istituzioni italiane, come le università, ed europee per una conoscenza approfondita della realtà e della lingua italiana.” Guerfi precisa altresì che i corsi formeranno “i ministri del culto in grado di svolgere le loro mansioni aiutando i membri dell'associazione a capire meglio il contesto nel quale svolgono le loro attività”.
Le dichiarazioni di Guerfi presuppongono il riconoscimento degli imam come ministri di culto, proposta nata in seno al Comitato per l’Islam Italiano - voluto dall’allora Ministro dell’Interno Roberto Maroni e guidato magistralmente dall’allora sottosegretario Alfredo Mantovano – e ripresa di recente dal Ministro Alfano unitamente all’istituzione di un albo degli imam. Come ha riportato l’Ansa lo scorso aprile “Una delle organizzazioni più convinte della bontà della proposta di codificare a livello nazionale un albo per gli imam è l’Ucoii, l'unione delle comunità islamiche in Italia (di ispirazione sunnita). Il suo presidente, l’imam di Firenze Izzedir Elzir, è chiaro al riguardo: “chiunque può fare l’imam – afferma - Nella realtà italiana o viene nominato dal direttivo della comunità islamica locale o viene accettato dalla comunità stessa. Se abbiamo un imam istruito, è meglio. Ben venga la trasparenza, noi lo chiediamo dal 1991. La comunità islamica non ha un’intesa con lo Stato, non abbiamo neanche il riconoscimento dell’imam. Siamo amministrati ancora dalla legge dei culti ammessi del 1929”. E all’Ucoii (Unione delle Comunità e delle Organizzazioni Islamiche in Italia) afferisce l’Associazione Islamica Italiana degli Imam e delle Guide Religiose.
Ebbene, da quando è stato annunciato l’avvio dei corsi, alcuni politici locali hanno sollevato sia la questione del finanziamento, che a quanto pare non proviene dall’estero bensì dall’Associazione stessa, sia la questione dei contenuti dei corsi e dei riferimenti teologici e ideologici che verranno trasmessi agli studenti. A quest’ultima domanda risponde in parte un volantino illustrativo che l’associazione stessa ha stampato e diffuso. Si legge: “Già da circa vent’anni diverse istituzioni islamiche europee hanno cominciato a lavorare in questo senso come per esempio l’IESH, l’Istituto Europeo di Scienze Umane in Francia con sedi in diversi paesi europei e come la European Assembly of Imams and Spiritual Guides che ha sede a Stoccolma in Svezia e sezioni in diversi paesi europei.” Entrambe le istituzioni, e in modo particolare lo IESH, sono state classificate in numerosi studi accademici sulla presenza dei Fratelli musulmani in Europa – da Lorenzo Vidino a Brigitte Marechal, da Gilles Kepel a Samir Amghar - come afferenti all’ideologia della Fratellanza e come suoi preposti luoghi di formazione. Come affermato durante un’intervista da Mahmood Zohair – direttore dello IESH – il titolo rilasciato dall’Istituto non è riconosciuto dallo Stato francese, ma la maggior parte degli imam che gravitano nell’orbita della Fratellanza Europea vantano un diploma rilasciato dallo IESH.
Nel Comitato Scientifico dello IESH, fondato negli anni Novanta e che vanta oggi almeno tre sedi in Francia (Chateau-Chinon, Parigi-Saint Denis e Orleans) e altre sedi nel Regno Unito, figura Ali Abu Shwaima, controverso responsabile del Centro Islamico di Milano e Lombardia che è membro del board dei Garanti di Europe Trust, una ONG fondata a fine anni Novanta per gestire investimenti prevalentemente immobiliari al fine di finanziare i progetti europei della Federazione delle Organizzazioni Islamiche in Europa (FOIE). E’ interessante notare che lo IESH di Chateau Chinon venne fondato per volontà dell’UOIF, corrispondente francese dell’Ucoii, e della FOIE con un cospicuo contributo proveniente da Europe Trust. Europe Trust potrebbe essere la fonte di parte del finanziamento del Centro di San Giovanni Lupatoto. Per tornare ai riferimenti ideologici del nuovo centro di formazione per gli imam italiani, il suddetto volantino ribadisce che “i riferimenti dell’Associazione sono: lo Statuto e i regolamenti interni, i principi dell’islam e la legge italiana”. Il link citato conduce ancora una volta alla FOIE e alla Carta dei Musulmani d’Europa, elaborata dalla FOIE tra il 2000 e il 2002, documento - pubblicato nella sua versione italiana lo scorso 3 dicembre sulla pagina Facebook della Associazione Islamica Italiana degli Imam e delle Guide Religiose – che rappresenta un punto di riferimento per chiunque voglia conoscere le linee guida dell’istituzione. Altro riferimento dal punto di vista teologico e giuridico è senza dubbio il Consiglio Europeo per la fatwa e la Ricerca, presieduto da Yusuf Qaradawi - punto di riferimento ideologico della Fratellanza a livello mondiale tanto da presiedere anche l’Unione Internazionale degli Ulema. Di questa istituzione è membro Amin al-Hazmi, il vice presidente dell’Associazione Islamica Italiana degli Imam, che lo scorso ottobre ha partecipato anche come relatore alla 25ma Assemblea del Consiglio Europeo per la fatwa e Ricerca tenutasi a Istanbul, come spesso accade negli ultimi anni, e dedicata alla “convivenza.” Questo tema riconduce alla menzionata Carta dei Musulmani della FOIE e alla sua traduzione italiana. E’ interessante notare che la traduzione italiana presenti nel preambolo un paragrafo totalmente assente nelle versioni inglese e francese, distribuite dalla FOIE alla recente Foire Musulmane di Bruxelles: “L’Islam è diventata la seconda religione in numerosi Paesi europei, alcuni dei quali hanno stipulato delle intese con i suoi rappresentanti. In altri Paesi il riconoscimento formale da parte dello Stato è in corso”. Appare questa un’aggiunta tutta italiana corrispondente a un wishful thinking che riguarda l’Intesa con lo Stato italiano, tanto agognata dall’Ucoii. Altrettanto interessante, se confrontato con le altre edizioni ufficiali del documento, è il seguente paragrafo: “L’islam, con i suoi principi, le sue regole ed i suoi valori si articola in tre ambiti:
a) La fede (i dogmi) con i suoi sei pilastri: credere in Dio, nei Suoi profeti, nei Suoi angeli, nei libri da Lui rivelati, nel giorno del giudizio, nel destino.
b) Le regole del comportamento islamico che riguardano sia il culto (il modo con cui il musulmano deve rapportarsi con Dio) che il modo con cui ci si deve comportare con le persone, nei differenti ambiti della vita quotidiana.
c) L’etica e la morale islamica, che dà indicazioni sulla via da seguire per il compimento del bene. Questi tre ambiti sono interdipendenti e complementari e convergono verso un unico obiettivo che consiste nel ricercare e favorire tutto ciò che è utile e positivo e nel respingere tutto ciò che è nocivo e dannoso, nell’interesse dell’individuo e della collettività”.
Nell’edizione francese e inglese al punto b) si parla chiaramente di “shariah”, mentre la traduzione italiana sembra avere volutamente evitato il termine. Anche il paragrafo 7 è leggermente diverso dall’originale laddove recita “L’islam invita alla perfetta uguaglianza tra uomo e donna in quanto esseri umani, nel reciproco rispetto. Considera che la vita equilibrata si basa sulla complementarità e l’armonia tra l’uomo e la donna” e aggiunge “perfetta”, aggettivo che è in contrasto con la complementarietà della frase successiva. Si tratta comunque di dettagli e di scelte di traduzione. Ma una breve riflessione va fatta anche sui contenuti della Carta che, qualora letta al di fuori del contesto in cui nasce, sarebbe del tutto condivisibile. Purtroppo talvolta il documento della FOIE si pone in netta contrapposizione con alcuni responsi giuridici (fatawa) del Consiglio Europeo per la Fatwa e la Ricerca, fondato dalla stessa FOIE nel marzo 1997. Colpisce il punto 9 che recita: “L’islam rispetta i diritti dell’uomo e richiama all’uguaglianza tra tutti gli esseri umani, rifiuta ogni forma di discriminazione razziale, proclama la libertà e condanna la costrizione nella religione garantendo ad ogni persona la libertà di credo. Allo stesso tempo, grazie alla sua visione equilibrata della libertà, l’islam raccomanda il rispetto dei valori morali e delle norme giuridiche, per evitare che questa libertà si trasformi in danno alle persone o ai beni”. Se il Corano recita “Non esiste costrizione in religione”, tanto da fare concludere alcuni teologi musulmani che l’apostasia non è un reato, il Consiglio Europeo nella sua prima raccolta di responsi giuridici, tradotta in inglese da Anas al-Tikriti, si è espresso come segue: “Condannare a morte chiunque si allontani dall’islam è la responsabilità dello Stato e deve essere deciso solo da un governo islamico. […] In ogni caso, un numero considerevole di nostri predecessori concordava sul fatto che non tutti coloro che si allontanano dall’islam devono essere condannati a morte, piuttosto coloro che lo dichiarano pubblicamente e possono causare secessione offendendo Allah” (Fatwa 4). Il Consiglio Europeo per la Fatwa ha anche stabilito, nell’ottava sessione ordinaria del luglio 2001, che qualora “la sposa si converta [all’islam] mentre il marito resta fedele alla propria religione”, “se la conversione avviene prima della consumazione dell’unione, si richiede immediatamente la separazione”, mentre se il matrimonio è già stato consumato può sussistere solo in caso di conversione all’islam del marito.
Nonostante le fatwa più recenti del Consiglio possano apparire più aperte, non abrogano quelle precedenti. Non va nemmeno dimenticato che l’Associazione Islamica Italiana degli Imam e delle Guide Religiose, in quanto istituzione, e Anwar al-Nehmi – presidente dell’Associazione - come individuo, compaiono tra i firmatari, nel dicembre 2014, di un comunicato in cui si attaccava l’inclusione nella lista del Red Alert dell’Interpol di Yusuf Qaradawi. Nel comunicato si sottolineava che il nome di Qaradawi era stato inserito “su richiesta delle autorità del colpo di Stato sanguinario in Egitto” e che lo shaykh aveva sempre “rifiutato la violenza, l’estremismo e il terrorismo in modo fermo”. A conferma che l’Associazione Islamica degli Imam e delle Guide Religiose o ha dimenticato l’autorizzazione da parte dello shaykh degli attentati suicidi in Iraq contro gli americani, in Israele contro militari e civili, l’appello al jihad in Siria contro gli sciiti oppure ne condivide la visione che distingue tra terrorismo e resistenza. In conclusione, il legame ideologico dell’Associazione, che avvierà i corsi a San Giovanni Lupatoto, pare chiaro. Pare altrettanto chiara la sua posizione su questioni internazionali in Medio Oriente in generale e in Egitto. Non resta che fare chiarezza nella consapevolezza che la formazione degli imam è uno snodo da affrontare per lo Stato italiano. Sarebbe forse bene rivolgersi, invece che a una ideologia, allo Stato musulmano che vanta più cittadini sul suolo italiano e che ha avviato un difficile e arduo processo di riforma dell’Islam: il Marocco.
Valentina Colombo