venerdi 22 novembre 2024
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Lo dice anche il principe saudita Bin Salman: Khamenei è il nuovo Hitler


Clicca qui






Corriere della Sera Rassegna Stampa
06.12.2015 Erdogan: un ritratto tinto di rosa
Sergio Romano 'dimenica' l'islamizzazione della Turchia

Testata: Corriere della Sera
Data: 06 dicembre 2015
Pagina: 37
Autore: Sergio Romano
Titolo: «Erdogan torna in scena, che cosa vuole la Turchia»

Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 06/12/2015, a pag.37, con il titolo " Erdogan torna in scena, che cosa vuole la Turchia"  la risposta di Sergio Romano a una lettrice, preceduta da un nostro commento.

Nell'esporre la traiettoria del potere di Recep Tayyip Erdogan, Sergio Romano dimentica, non per caso, l'apetto più rilevante: l'accelerazione dell'islamizzazione della Turchia, prima del suo arrivo avviata verso una lenta ma continua modernizzazione. Se si esclude questo aspetto, diventa impossibile capire tutto il resto, compreso il suo programma di diventare la forza egemone nella regione.  Quella di Romano non può definirsi ambiguità, la sua posizione verso l'islam, pur con alcune furbe distinzioni, è la sottomissione dell'Occidente. Perchè sia arrivato a tanto non ci è dato sapere, solo prenderne atto con preoccupazione.

Immagine correlataImmagine correlata
Sergio Romano

Ho visto che a Bruxelles si sono messi d’accordo per rilanciare il negoziato sull’adesione della Turchia all’Unione Europea. Ma, insomma, lei ha capito che cosa vuole veramente Erdogan?

Michela Bassi, Monza

Cara Signora,

Recep Tayyip Erdogan divenne primo ministro nel marzo del 2003 ed è oggi presidente di una Repubblica in cui il capo dello Stato, nelle sue intenzioni, potrebbe avere fra poco i poteri del presidente francese. Nell’arco di dodici anni la sua politica estera è passata attraverso fasi diverse. In un primo momento Erdogan ha creduto che il suo Paese potesse diventare una potenza regionale, candidata all’Unione Europea, circondata e rispettata da Paesi con cui Ankara avrebbe avuto rapporti cordiali, non più gravati da vecchi contenziosi. Gli giovò, in quegli anni, il miracolo economico della Turchia, la possibilità di presentarla al mondo arabo-musulmano come il solo Stato della regione che fosse riuscito a coniugare solidità istituzionale e sviluppo. Ma questo disegno si è imbattuto lungo la strada in parecchi ostacoli. Non tutti i Paesi dell’Ue erano disposti ad accogliere la Turchia nel loro club; e non tutti i vecchi contenziosi, soprattutto con armeni e curdi, potevano essere liquidati, secondo le speranze di Erdogan, a costo zero. La sua politica estera stava già zoppicando quando, improvvisamente, le rivolte arabe del 2011 hanno aperto nuove prospettive. Erdogan ha puntato sul loro successo e su quello della Fratellanza musulmana, ha creduto che la Turchia avesse le carte necessarie per essere punto di riferimento di tutti i Paesi arabi della regione. Nel giro di qualche mese il bilancio era molto meno positivo di quanto Erdogan avesse sperato. In Egitto il colpo di Stato dei militari contro la Fratellanza ha avuto per effetto la rottura dei rapporti diplomatici fra Il Cairo e Ankara. In Siria, dove Bashar al Assad cercava di reprimere la rivolta con la forza, Erdogan, per non rinunciare al proprio disegno, ha scelto di stare nel campo dei suoi nemici e ha permesso che il suo Paese diventasse, per i ribelli, una retrovia del conflitto. Un altro colpo è stato dato alla sua politica dall’apparizione dell’Isis sulla scena. Quando è stato chiaro che i migliori combattenti contro lo Stato Islamico erano le milizie curde, Erdogan ha temuto, non senza qualche motivo, che i curdi, prima o dopo, avrebbero chiesto la creazione del Kurdistan e che il conto sarebbe finito, in buona parte, sulle spalle della Turchia. Poteva continuare a fare una politica che diventava ogni giorno di più sgradita alla Nato, alle democrazie occidentali e, dopo l’abbattimento di un aereo russo, a Vladimir Putin? Il fattore che lo ha tratto d’impiccio è stato la crisi dei rifugiati. Quando Angela Merkel ha capito che il problema, senza la collaborazione della Turchia, sarebbe stato insolubile, Erdogan ha scoperto di avere ancora qualche carta in mano. Ben consigliato, probabilmente, dal suo primo ministro (l’ex ministro degli Esteri Ahmet Davutoglu), ha chiesto e ottenuto la riapertura dei negoziati per l’adesione all’Unione Europea. Molti altri problemi rimangono sul tavolo fra cui quello della sua ambigua politica siriana. Ma la nuova fase della politica estera turca contiene, in linea di principio, nuove prospettive. Vedremo quale uso saprà farne.

Per inviare al Corriere della Sera la propria opinione, telefonare: 02/ 62821, oppure cliccare sulla e-mail sottostante


lettere@corriere.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT