L'impotenza della giustizia israeliana di fronte a bambini strumentalizzati che sono diventati terroristi
di Michelle Mazel
(Traduzione dal francese di Yehudit Weisz)
Sull'edzione francese del Jerusalem Post è stato pubblicato l'articolo originale.
Due bambini. Sono cugini tra loro. Uno non ha ancora compiuto 12 anni, l’altro ne ha 13. Una mattina, invece di andare a scuola, sono saliti sulla metropolitana leggera di Gerusalemme. Il più piccolo ha nascosto nel giubbotto un grosso coltello, il maggiore porta con sé un paio di forbici. Come si vedrà più tardi, non è per caso che sia il minore a portare un’arma. Quando il poliziotto di guardia israeliano sale nello scompartimento, il più giovane cerca di pugnalarlo e lo ferisce. Per difendersi, il poliziotto spara. Il bambino cade a terra. Suo cugino cerca di scendere ma i viaggiatori lo bloccano. Arrivano rinforzi. Un’ambulanza porta i due feriti verso gli ospedali della capitale. Il cugino spiegherà che volevano solo vendicare un loro parente ferito una settimana prima.
Il 12 ottobre, nello stesso quartiere, era già avvenuta una scena simile. Un bambino ebreo israeliano di 13 anni, che stava uscendo da scuola, era stato attaccato da un giovane arabo della sua stessa età, che l’ha colpito più volte con un coltello, prima di essere ferito a sua volta dalle forze dell’ordine. Gli ospedali israeliani cureranno l’uno e l’altro. Interrogati dagli inquirenti, il bambino ebreo spiega che non capisce perché sia stato attaccato; il bambino arabo, sconvolto dall’enormità del suo gesto e dalle conseguenze, spiega, su consiglio del suo avvocato, di aver agito sotto l’influsso del cugino più grande di lui. Quest’ultimo gli aveva chiesto di accompagnarlo a difendere la moschea al-Aqsa, “ ma che lui non aveva l’intenzione di uccidere. Lui voleva solo spaventare gli israeliani.” Infanzia manipolata.
La giustizia israeliana è in imbarazzo: cosa fare con questo bambino? Se il suo processo avverrà prima del compimento dei 14 anni, si potrà fare ben poco contro di lui. Gli esperti spiegano che prima dei 13 anni non ci può essere una responsabilità penale; non è dunque possibile giudicare un bambino di quella età. Ecco perché era stato il minore dei due cugini a ferire il poliziotto. Sarà rilasciato quando uscirà dall’ospedale. Questi due attentati sono stati registrati da telecamere di sorveglianza. Eppure non ha impedito all’Autorità Palestinese di denunciare i presunti metodi brutali della polizia, non ha neppure cercato di spiegare quanto è accaduto. Eppure avremmo voluto sentire delle voci di condanna di questi gesti e, soprattutto, che spiegassero ai bambini palestinesi che loro sono solo dei bambini, che non devono imboccare la strada della violenza.
Avremmo voluto ascoltare educatori e responsabili religiosi che prendessero una ferma posizione prima che un altro bambino , ancora più piccolo, non tenti un nuovo attacco suicida. Purtroppo non è successo niente. Questa strumentalizzazione di bambini troppo piccoli per comprendere, è un vero e proprio crimine contro l’umanità. La loro umanità, sacrificata cinicamente per dei sordidi calcoli di propaganda.
Michelle Mazel è una scrittrice israeliana nata in Francia. Ha vissuto otto anni al Cairo quando il marito era Ambasciatore d’Israele in Egitto. Profonda conoscitrice del Medio Oriente, ha scritto “La Prostituée de Jericho”, “Le Kabyle de Jérusalem” non ancora tradotti in italiano. E' in uscita il nuovo volume della trilogia/spionaggio: “Le Cheikh de Hébron”, romanzi di spionaggio, tutti ambientati in Israele/Medio Oriente. Le sue recensioni sono pubblicate sull’edizione settimanale in lingua francese del Jerusalem Post.