Gentilissima Redazione, Leggo ora la lettera di Antoine Leiris, il Vostro commento e la risposta odierna ad un lettore sul tema. Dissento vivamente. Darei la vita per la libertà, ma mi rifiuto di odiare chicchessia, lotto contro la tentazione di odiare (da molti decenni, perché, tra l'altro, ho il vizio di soffrire per quanto accade all'altro capo del mondo come se accadesse in Italia, appena fuori della mia cerchia familiare) e prego costantemente di non cedere mai all'odio, qualunque cosa possa accadermi. Rifiutarsi di odiare è una reazione sana, tanto più ammirevole quanto più è difficile, e non implica affatto la resa al nemico od ai criminali, bensì il rifiuto di lasciar penetrare il male nella propria anima (coscienza, se preferite). Nel caso di un padre, è soprattutto manifestazione di amore verso il figlio. Perfino 'amare i nemici', che è molto più di rifiutarsi di degnarli di un proprio sentimento, anche negativo, non implica affatto l'arrendersi ad essi, tanto più quando commettono crimini efferati, bensì volere il loro bene, che a volte passa per l'impedire loro di continuare a commettere il male, e non deve andare a scapito dell'amore per gli innocenti da difendere. Da adolescente lessi di un intellettuale francese che, andando al fronte nel 1914, fece voto di non odiare il nemico (e, se ben ricordo, cadde in combattimento): non so se ci sia riuscito, ma ho sempre molto ammirato il proposito. Molto cordialmente,
Annalisa Ferramosca
Occorre scindere il discorso. Dal punto di vista etico ha ragione, anche se in alcune circostanze l'odio può risultare quantomeno comprensibile. Dal punto di vista politico, invece, questo non vale. Non perché la politica sia autorizzata a fagocitare l'individuo, come vorrebbe una certa vulgata hegeliana e marxista, ma perché si tratta di un piano radicalmente altro, con diverse finalità e metodi diversi.
IC redazione