Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 20/11/2015, a pag. 14, con il titolo "Varese, fuori dall'aula anche studenti italiani", la cronaca di Tiziana De Giorgio, Luca De Vito; dal FOGLIO, a pag. 3, con il titolo "La mappa dell'islamismo in Italia che fa tremare il Viminale", l'analisi di Cristina Giudici.
Ecco gli articoli:
LA REPUBBLICA - Tiziana De Giorgio, Luca De Vito: "Varese, fuori dall'aula anche studenti italiani"
Non si fermano le polemiche sul caso dell’istituto “Daverio-Casula” di Varese, dove sette studenti (sia italiani che stranieri) durante il minuto di silenzio per ricordare le vittime di Parigi hanno deciso di dissociarsi. C’è chi sostiene che l’hanno fatto uscendo addirittura dall’aula. Ma la preside Nicoletta Pizzato, a distanza di giorni, offre una versione diversa. E prova a smorzare i toni. «Lunedì, all’inizio del minuto di silenzio, alcuni ragazzi hanno chiesto perché si facesse una commemorazione solo per i morti francesi e non per le stragi in Libano o per i morti dell’areo caduto nel Sinai ».
La dirigente parla di un dibattito vero, di un confronto fra studenti con posizioni diverse. «Così, la professoressa ha detto che se qualcuno preferiva ricordare tutte le stragi poteva farlo. E i ragazzi si sono divisi in due gruppi». E a quel momento di raccoglimento, sostiene la preside, avrebbero partecipato tutti. Il ricordo delle vittime di Parigi era stato chiesto dal ministero dell’Istruzione. Un invito, rivolto a tutte le scuole, rafforzato dal direttore scolastico della Lombardia, Delia Campanelli, che ha scritto a tutti i dirigenti scolastici invitando a «stimolare percorsi di approfondimento, a riflettere insieme e a costruire nuovi progetti per la promozione e la diffusione della cultura della Pace e della non violenza, come valori universalmente riconosciuti in grado di superare qualsiasi barriera sociale». Al Daverio- Casula, però, quel minuto si è sformato in vero polverone finito sul tavolo del carabinieri e della Digos. «Ho passato l’intera giornata a ripetere a chiunque che non è successo nulla di strano. Gli insegnanti non mi avevano neanche avvisato visto che l’episodio si era risolto internamente. Del resto, è legittimo che i ragazzi si pongano dubbi e facciano domande e penso sia compito della scuola provare a dare risposte».
L’istituto ieri è rimasto aperto fino alle 22 per i corsi serali, mentre sul web proseguivano le polemiche. «Siamo una scuola modello dal punto di vista dell’integrazione — puntualizza la Pizzato — e ne siamo orgogliosi. Non è mai successo nulla e temo che questo episodio sia stato strumentalizzato politicamente». La pensa diversamente l’assessore alla sicurezza di Varese, il leghista Carlo Piatti: «Sono stato io a segnalare quanto accaduto al prefetto: ci era stato chiesto di segnalare tutti i casi sospetti. Mi auguro che le cose stiano come dice la preside. Credo però che in un momento come questo sia meglio fare una verifica in più, piuttosto che una in meno».
IL FOGLIO - Cristina Giudici: "La mappa dell'islamismo in Italia che fa tremare il Viminale"
Cristina Giudici
Milano. Per capire cosa succede in Italia, dove l’allerta terrorismo è stata portata dal Viminale al secondo livello che precede lo stato d’emergenza, non c’è bisogno degli allarmi dell’Fbi sugli obiettivi sensibili. Basta leggere i post che stanno circolando su Facebook su alcuni profili. Come per esempio quello di “Islam Italia”, seguito da quasi quattromila persone fra cui molti italiani convertiti, che probabilmente serve anche alla nostra intelligence per tenere sotto controllo le “menti migliori” dell’islamismo italiano. E’ qui che si possono leggere alcuni hadith – veri o presunti – del profeta Maometto che avrebbero profetizzato l’avvento dell’Is. Per esempio questo: “Secondo Abu Huraira (che Allah sia soddisfatto di lui) disse il Profeta (pace e benedizioni su di lui): Giungeranno le ‘bandiere nere’ dal Khorasan, nessuno riuscirà a fermarli, fino a quando pianteranno le loro bandiere a Gerusalemme”.
Oppure quest’altro altrettanto eloquente: “Noi siamo gente di una stirpe alla quale Allah ha destinato l’oltretomba piuttosto che questo mondo. La gente della mia stirpe subirà un grande affronto dopo la mia morte, e sarà perseguitata fino a che un popolo che reggerà uno stendardo nero giungerà da oriente”. Non si tratta di pensieri (deliri?) in libertà perché la risposta di una parte significativa della ummah italiana agli attentati di Parigi è stata quella di mostrare in rete donne bardate dietro un burqua come eroine che si oppongono ai crociati. Appunti sul codice etico da rispettare in guerra, sempre secondo Maometto. Il Foglio è in grado di ricostruire grazie alle proprie fonti una radiografia aggiornata dell’islam radicale che viene dall’Italia, e di pubblicare numeri precisi sui foreign fighters italiani. Il numero di combattenti legati all’Italia, partiti per fare il jihad nelle terre del Califfato, è a oggi di 90 mujaheddin: sei sono gli italiani convertiti, sei sono appartenenti alle seconde generazioni di musulmani con cittadinanza italiana, venti immigrati residenti e partiti dal nostro paese, e altri venti che hanno vissuto per un periodo in Italia. I restanti trentotto sono immigrati naturalizzati che sono andati a combattere in Siria passando per i loro paesi di origine (la maggior parte di loro viene dal maghreb ma ci sono anche dieci cittadini di origine balcanica). Una notizia che non è ancora divulgata dal Viminale riguarda gli ultimi a partire e arrivati in Siria nel mese di ottobre, che sono tre maghrebini.
Per aggirare i controlli, non sono passati dalla Turchia, ma dalla Tunisia e dal Marocco, dove si sono recati per congedarsi dai loro familiari, avendo un biglietto di sola andata per il jihad. Sicuri, quindi, che moriranno in battaglia. Il loro profilo somiglia molto a quello dei loro fratelli francesi: giovani, cresciuti in Europa, rimasti senza lavoro e poi reclutati da qualche predicatore itinerante. Ora che l’allerta terrorismo cresce, si passa al setaccio nel magma fondamentalista per prevenire qualsiasi minaccia, e le sedi provinciali della Digos stanno studiando i profili dei radicali per decidere di fare ulteriori espulsioni. Se è vero che – come ha ribadito il ministro dell’Interno, Angelino Alfano – “non abbiamo mai confuso chi spara, che è un assassino, con chi prega, che va difeso se non è colluso”, i dati del Viminale sulle azioni preventive complessive divulgate per rassicurare l’opinione pubblica destano al contrario preoccupazione: 540 perquisizioni su soggetti legati in vari modi al terrorismo, 56.426 persone controllate, 147 arrestati, 325 indagati, 259 respinti alla frontiera per mancanza di requisiti, 8.493 veicoli controllati, 55 espulsi (la prima espulsione dopo gli attentati a Parigi risale a lunedì scorso ).
Per concludere il quadro, vi forniamo un altro numero, fino a oggi inedito, che è piuttosto inquietante: sono mille i luoghi sorvegliati dalla nostra intelligence perché considerati crocevia di islamisti o frequentati da predicatori itineranti del jihad. “Non si tratta solo di moschee, ma soprattutto di associazioni culturali, luoghi di aggregazione fisici fuori dal web, a volte solo degli scantinati o dei sottoscala all’interno di condomini e situati quasi sempre alle periferie di città e piccoli comuni”, spiegano alcuni investigatori impegnati sul fronte della prevenzione del terrorismo al Foglio.
Si tratterebbe in totale di circa 300 islamisti, considerati più attivi e determinati, anche se la maggior parte si limita ad azioni di proselitismo. L’Italia è da sempre terra di transito e base logistica di terroristi, che nelle conversazioni intercettate non hanno mai dichiarato di aver messo l’Italia nella lista dei loro target – tranne che per la ricorrente evocazione simbolica e spesso strillata dai propagandisti dell’Is di voler puntare le loro spade affilate verso il Vaticano. Però non sono mai state trovate armi né ordigni esplosivi sul nostro territorio. E infatti, scorrendo le mille pagine dell’ultima ordinanza di custodia cautelare che ha smantellato la settimana scorsa la cellula europea Rawti Shax (diretta dalla Norvegia dal mullah curdo Krekar, leader dell’organizzazione qaedista Ansar Al Islam confluita nell’Is che contava su una rete a Merano, in provincia di Bolzano) si capisce che l’Italia, in particolare il nord-est, serviva come base logistica per fare foundrising, reclutare combattenti e favorire il transito del corridoio clandestino di mujaheddin che dall’Europa vanno e vengono in Siria.
Come il kossovaro Eldin Hozda, radicalizzato in Toscana, poi trasferito a Merano, reclutato da Abdul Rahman Nauroz. Hozda nel gennaio del 2014 è stato inviato in Siria mediante il supporto logistico ed economico dell’organizzazione curda di Ansar al islam. Hozda non è il prototipo del foreign fighters (che di solito è un immigrato di seconda generazione) ma come tanti combattenti stranieri che partono dall’Italia è sedotto dal Califfato anche perché gli è stato promesso, oltre al paradiso, molte certezze terrene: un compenso di circa 1.500 euro, una casa, una famiglia. I combattenti che non bastano mai Hozda appartiene alla schiera di coloro che il sociologo dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, Marco Lombardi, noto esperto di terrorismo islamico, definisce coloni: “non combattenti professionisti, ma uomini e donne che vengono invitati a trasferirsi nelle terre del Califfo, per loro una terra promessa, perché i combattenti non bastano. Non dimentichiamo che l’Is ha creato uno Stato multietnico con musulmani arrivati da cento paesi”, spiega al Foglio.
Secondo Lombardi, però, dai dati incrociati con le intelligence europee, i combattenti stranieri italiani sarebbero un numero maggiore rispetto a quello che risulta alle nostre fonti italiane: almeno 120. E si può solo intuire fino a che punto siano diventati pericolosi. Un islamista intercettato in Italia dai Ros dice: “Non vado bene per niente eccetto per il martirio perché non ho né una moglie né figli. Non ho un lavoro. Cosa dovrei fare qui? E’ meglio andare là o farmi saltare in aria?”. Ecco perché i musulmani più fanatici su Facebook continuano a sostenere che l’Is è l’inveramento delle profezie di Maometto. E non solo: ora circola in rete un’altra tesi che fino a pochi anni fa negli ambienti islamici si ammetteva solo in segreto. E cioè che è proibito per ogni musulmano vivere nella terra dei kuffar (infedeli) a meno che non sia impossibilitato a emigrare, o a meno che non vi siano dei benefici per l’islam e ci si impegni nell’appello all’Islam (Da’wah). A noi non resta che prendere appunti, e iniziare a difenderci.
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