Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 20/11/2015, a pag. 8, con il titolo "Mosca intensifica i raid, bombe sul petrolio dell'Isis", la cronaca di Maurizio Molinari; dal FOGLIO, a pag. 3, l'editoriale "E' la Terza guerra mondiale".
Ecco gli articoli:
LA STAMPA - Maurizio Molinari: "Mosca intensifica i raid, bombe sul petrolio dell'Isis"
Maurizio Molinari
Vladimir Putin
Bombe sulle cisterne di greggio a Deir ez-Zor, droni contro i mezzi blindati attorno ad Aleppo e obici di artiglieria contro le postazioni fortificate a Hama e Homs: la Russia di Vladimir Putin accresce la pressione militare sul Califfato di Abu Bakr Al Baghdadi in coincidenza con una integrazione senza precedenti con le forze armate della Francia di Francois Hollande.
È una telefonata fra Valery Gerasimov e Pierre de Villiers, capi di Stato Maggiore russo e francese, a dare la misura di quanto sta avvenendo sul teatro di operazioni siriano. I due generali discutono «il coordinamento delle operazioni contro Isis» e si «scambiano valutazioni sulla situazione tattica» perché «consideriamo gli attentati del Sinai e Parigi parte della stessa catena», come spiega Gerasimov. Ciò significa che la Francia, il più importante partner della coalizione guidata dagli Usa, diventa de facto «alleato di Mosca», nella definizione di Putin.
Legame operativo inedito
È la prima volta che un simile legame operativo si crea fra Mosca ed un Paese Nato. Le conseguenze si vedono sul campo: i Sukhoi decollati da Latakia colpiscono, per il secondo giorno consecutivo, centinaia di cisterne di greggio nell’Est della Siria, sostenuti da bombardieri speciali e dagli obici della fanteria. Erano stati i francesi ad inaugurare questo tipo di «obiettivi», per indebolire le finanze del Califfato, ed ora Putin li condivide con l’impiego anche dei bombardieri strategici. Se il Pentagono fornisce ai jet francesi le informazioni per identificare gli obiettivi - grazie al sistema satellitare - sono russi e francesi a colpirli. Al tempo stesso i video girati dal ministero della Difesa russo mostrano i carri armati dello Stato Islamico colpiti dai propri droni, indicando l’arrivo in Siria anche di un tipo di arma che finora in Medio Oriente è stata identificata con la proiezione del potere militare degli Stati Uniti. E infine, vi sono gli obici d’artiglieria. In questo caso è la tv russa che mostra - per errore o meno - una mappa che evidenzia la presenza di unità di artiglieria russe a fianco dei reparti avanzati di Bashar Assad. Si tratta di obici da 152 mm «Msta» della 120a brigata di artiglieria, posizionati a Sadad, 60 km a Sud di Homs. Il Cremlino sceglie il basso profilo, limitandosi a parlare di «assistenza tecnica» e Damasco ammette solo che «a Sadad si trovano unità tecniche russe a sostegno dei raid». Ma in realtà gli obici «Msta» sono armamenti terrestri, operati da contingenti di truppe scelte, e ciò significa che Mosca ha scelto di adoperare la più tradizionale delle armi russe per abbattere la resistenza dei gruppi jihadisti.
In cerca della «svolta»
L’impressione è che Mosca, d’intesa con Parigi, punti a cogliere in fretta un risultato militare capace di raffigurare una svolta: può trattarsi della liberazione di Palmira o dell’arrivo delle truppe ad Aleppo. Ad intuire ciò che sta per avvenire con l’escalation militare franco-russa è il premier israeliano, Benjamin Netanyahu, che fra dieci giorni si recherà al Cremlino da Putin - per le seconda volta in due mesi - per «colloqui» su Siria e Isis. Ovvero per la cooperazione d’intelligence.
Il presidente americano Obama intanto continua una partita tutta diplomatica: martedì accoglierà a Washington Francois Hollande per cementare la «strategia siriana» che verte attorno alla decisione di far cadere il regime di Assad nel tentativo di inserirsi in questa maniera, come un cuneo, fra Teheran che difende il regime di Assad ad oltranza e Mosca la cui priorità è la transizione.
IL FOGLIO: "E' la Terza guerra mondiale"
Re Abdallah di Giordania
Siamo di fronte alla Terza guerra mondiale contro l’umanità e questo ci deve unire”, ha detto martedì il re giordano Abdallah in una conferenza stampa a Pristina, in Kosovo (la Giordania è stata tra i primi paesi a riconoscere il Kosovo, lì il re è accolto ogni anno con tutti gli onori). “Questa è una guerra”, ha ripetuto Abdallah, che con il suo piccolo stato schiacciato tra Siria, Iraq e Cisgiordania è uno degli alleati più leali dell’occidente. La Giordania patisce il conflitto siriano non soltanto in termini geostrategici, ma anche con la pressione dei rifugiati sulle sue frontiere: Amman partecipa alla coalizione internazionale con i suoi mezzi, e “impietosa”, come quella annunciata da Hollande dopo gli attentati di Parigi, fu la reazione a febbraio dopo che lo Stato islamico pubblicò il video del pilota giordano bruciato nella gabbia.
Oggi re Abdallah, a capo dell’ultima dinastia rimasta dei discendenti degli hashemiti, la famiglia ristretta di Maometto, ha ricordato che cosa significa il Califfato per i musulmani e per la regione: muoiono i musulmani, soltanto “lo Stato islamico ne ha uccisi 100 mila”, e se si guarda al resto del mondo i dati sono agghiaccianti, ma gli attacchi di Parigi dimostrano che “il flagello” si sta espandendo, e “può colpire in qualsiasi posto”. “La guerra è mondiale ed è di tutti”, ed è anche “una guerra all’interno dell’islam”, chi è contro lo Stato islamico deve trovare il modo di dirlo e di costruire un’alleanza costruttiva: “Dobbiamo muoverci velocemente e rispondere a tutte le minacce intrecciate che ci sono nella regione”. Bisogna unirsi e farsi sentire, combattere, e smetterla con le distinzioni.
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