Riprendaimo dal FOGLIO di oggi, 19/11/2015, a pag. 1-4, l'analisi "Fortezza Europa?"; dalla REPUBBLICA, a pag. 40, con il titolo "Così l'Europa può salvarci dal fanatismo", l'analisi di Ayaan Hirsi Ali; da PANORAMA, a pag. 68, con il titolo "Europei, vi state suicidando con il vostro buonismo", l'intervista di Annalisa Chirico a Edward Luttwak.
A destra: "Signore, non può entrare in Europa con questo prodotto. Non ha l'etichetta di origine!"
Ecco gli articoli:
IL FOGLIO: "Fortezza Europa?"
Michael Walzer
Michael Walzer guarda l’Europa ferita e terrorizzata, tentata dal paradigma dell’arroccamento e dalla chiusura difensiva – altro che abbracci multiculturali – e ammette che anche i liberal qualche responsabilità ce l’hanno. Una responsabilità che non ha a che fare con il massacro jihadista parigino, s’intende, ma con “l’illusione che la sicurezza non sia un problema, una percezione che abbiamo alimentato per troppo tempo”, spiega. L’ottantenne filosofo di Princeton, che del pensiero liberal contemporaneo è diventato un padre grazie agli studi sulle sfere della giustizia e sulle teorie della guerra giusta, parla con il Foglio dei limiti di un certo progressismo naïf, che “ha finto di non vedere che la gente è preoccupata per la sicurezza, che è uno dei beni comuni che lo stato deve impegnarsi a garantire”.
E’ convinto che “tornerà un regime di controlli sui confini interni ed esterni dell’Europa”, e che sarà “un male per la democrazia occidentale”, ma non è che l’esito di un assetto politico insostenibile: “L’Europa è ancora molto lontana dall’unità che sarebbe necessaria per poter garantire in modo credibile la sicurezza. L’incapacità di trovare una politica comune sui rifugiati mette in luce il fatto che l’Unione europea è ancora un agglomerato di nazioni, e i terribili attentati di Parigi mostrano che da un punto di vista dell’intelligence la strada è ancora lunga. I rifugiati che scappano da una guerra civile terribile non possono diventare le vittime di questa situazione, ma non si possono non affrontare le richieste di sicurezza del popolo”.
La guerra al terrore, per Walzer, è “essenzialmente una guerra di polizia” e il Vecchio continente semplicemente non è attrezzato per affrontarla. Fa il paragone con i problemi degli Stati Uniti per rimarcare l’idea dell’inadeguatezza europea: “Qui abbiamo enormi problemi nella comunità d’intelligence, l’Fbi non parla con la Cia, l’intelligence militare non si fida della polizia e via dicendo. E siamo una nazione unica!”. In America, continua Walzer, “condividiamo strutture e apparati di sicurezza a livello federale, e lo stesso ci sono disfunzionalità enormi. Figurarsi quando bisogna mettere insieme stati diversi che hanno regole e protocolli diversi ma offrono libertà di movimento a tutti i cittadini all’interno di una comunità così vasta. La questione è la solita: si tratta di cedere pezzi di sovranità nazionale per costruire un’unione vera. Gli stati europei sono disposti a farlo? Quello che è successo a Parigi, al netto delle manifestazioni di solidarietà, che sono importantissime, credo che alimenterà il senso di frammentazione”. Walzer, garantista con sporgenze realiste, è sempre stato un critico degli eccessi della sorveglianza americana del post 11 settembre, ma sostiene che nel perimetro democratico “esiste, deve esistere, lo spazio per garantire la sicurezza senza calpestare le libertà individuali. Io credo che il compito dei liberal, in questo momento, sia mostrare che questo equilibrio è possibile, senza raccontare e raccontarsi che chiunque chiede sicurezza è promotore di uno stato fascista. Non sono mai stato un fan di Bush, com’è noto, ma dopo l’11 settembre ha continuato a dire che l’America non era in guerra con l’islam, un messaggio molto saggio. Se guardiamo le statistiche dei crimini commessi in America contro i musulmani, vediamo che negli ultimi mesi del 2001 sono aumentati drasticamente, ma già l’anno successivo sono tornati ai livelli normali. Ecco, all’Europa serve qualcuno che spieghi, in modo equilibrato, che la colpa del terrore non deve ricadere sui rifugiati”.
E’ una guerra di polizia in casa, ma una guerra tout court nelle terre rivendicate dal Califfato, dove però “non siamo ancora riusciti a capire qual è l’arma migliore per combattere lo Stato islamico”, dice Walzer. “Di certo abbiamo capito che la guerra dall’alto non funziona senza uomini a terra. L’altra cosa che abbiamo capito è che l’occidente non può fare a meno di compromettersi con Putin e Assad, e il motivo di questa spiacevole necessità è innanzitutto la crisi dei rifugiati. Verso di loro abbiamo la responsabilità di lavorare per ristabilire uno stato, quello siriano, che sia in grado di garantire un minimo di sicurezza”.
LA REPUBBLICA - Ayaan Hirsi Ali: "Così l'Europa può salvarci dal fanatismo "
Ayaan Hirsi Ali
l presidente francese François Hollande il 13 novembre ha dichiarato che gli attacchi terroristici di Parigi sono stati un «atto di guerra» da parte dello Stato Islamico: e ha ragione, anche se ci ha messo molto a rendersi conto che i jihadisti, ormai da anni, sono in guerra contro l’Occidente. Lo Stato Islamico, o Is, promette altri attacchi in Europa, e l’Europa tutta, non solo la Francia, deve scendere sul piede di guerra, unendosi per fare tutto quello che serve, sul piano militare, per distruggere l’Is e il sedicente califfato fondato in Siria e in Iraq. Non “contenere”, non “ridimensionare”: distruggere, punto e basta.
Ma anche se l’Is venisse distrutto, l’estremismo islamico non scomparirebbe. Anzi, la distruzione dell’Is accrescerebbe il fervore religioso di quelli, in Europa, che sognano un califfato. I leader europei devono prendere decisioni politiche importanti, e la Francia può assumere un ruolo guida. Ecco tre passi che i leader europei potrebbero fare per sradicare il cancro dell’estremismo islamico. Primo: imparare da Israele, che ha a che fare con il terrore islamista dal giorno in cui è nata e deve affrontare minacce molto più frequenti.
È vero che oggi gli estremisti islamici in Israele usano coltelli e automobili come armi principali, ma lo fanno perché è semplicemente impossibile organizzare attacchi come quelli di Parigi. Invece di demonizzare Israele, bisogna chiamare in Europa i loro esperti per sviluppare una strategia antiterrorismo. Secondo: prepararsi per una lunga battaglia delle idee. I leader europei dovranno prendere di mira l’infrastruttura dell’indottrinamento: le moschee, le scuole islamiche, i siti web, le case editrici, gli opuscoli, i libri, i sermoni. I governi europei devono fare a loro volta proselitismo all’interno delle comunità musulmane. Terzo: gli europei devono disegnare una nuova politica migratoria, che ammetta gli immigrati solo se questi si impegnano a rispettare i valori europei e a rigettare proprio quell’islamismo politico che li rende vulnerabili al richiamo del califfato.
Le attuali politiche migratorie dell’Europa presentano dei punti deboli: è troppo facile ottenere la cittadinanza senza essere necessariamente fedeli alle Costituzioni nazionali; è troppo facile per gli extracomunitari entrare nei Paesi dell’Unione Europea, con o senza ragioni credibili per chiedere asilo; e grazie al sistema di frontiere aperte noto come Schengen, è troppo facile per gli stranieri, una volta che sono nell’Unione Europea, spostarsi liberamente da un paese all’altro. Stiamo parlando di una «Fortezza Europa», con una nuova Cortina di Ferro a est e un cordone sanitario navale nel Mediterraneo e nell’Adriatico? Sì. Perché nessun’altra strategia ha senso, di fronte alla minaccia rappresentata dall’estremismo islamico per l’Europa. Forse siamo di fronte allo spartiacque che consentirà all’Europa di ripensare la strada che sta seguendo.
Traduzione di Fabio Galimberti
PANORAMA - Annalisa Chirico: "Europei, vi state suicidando con il vostro buonismo"
Edward Luttwak
Questa volta non c'entrano i «lupi solitari», schegge impazzite. La carneficina di Parigi è il risultato di attacchi simultanei coordinati da un commando di almeno otto terroristi islamici, aiutati da una ventina di basisti, probabilmente armati. «Sono i soggetti da scovare» commenta Edward Luttwak, esperto statunitense di strategia militare. «Il centro nevralgico dell'attacco è probabilmente a Bruxelles. Ma sono migliaia i maschi musulmani, radicalizzati attraverso conoscenze personali, Internet o un soggiorno in un campo d'addestramento siriano, che vivono indisturbati in Europa».
Luttwak, siamo davvero alla Terza guerra mondiale? Il linguaggio del Papa non mi appartiene. Con la retorica dell'accoglienza e dell'umanitarismo ha causato danni enormi. È passata l'idea, amplificata da mass media stranieri e arabi, che l'Europa possa accogliere tutti grazie al lassismo buonista dei vostri governi.
Il presidente francese, Francois Hollande, parlando di un «atto di guerra» apre alla possibilità di attivare il patto Nato di difesa comune? Io sono contrario all'ipotesi di bombardare lo Stato islamico. È retto da sunniti, che vedono nell'Iran sciita un nemico acerrimo. E mi domando: ha senso attaccare il nemico del tuo nemico?
Uno dei kamikaze del teatro Bataclan era un 29enne francese, di origini algerine, con otto condanne per reati minori, mai incarcerato e schedato dai servizi di sicurezza con la lettera «S». Eppure non era monitorato. Possibile? Sono almeno 5 mila in Francia le persone schedate con la «S», tutte libere di condurre una vita normale e di ordire la trama del prossimo attentato. L'attività di prevenzione non può annullare il rischio di un attacco, ma deve puntare a minimizzare le vittime. I servizi americani e italiani, attraverso intercettazioni e infiltrati, ricostruiscono la rete dei sospettati da fermare prima di un'eventuale azione. I 17 musulmani arrestati a metà novembre dalle autorità italiane tra Merano e Bolzano non avevano ancora sparso terrore, ma «parlavano» di Jihad. I servizi francesi invece adorano compilare dettagliate biografie dei sospettati di integralismo, ma poi li lasciano liberi di girovagare per il Paese, di andare e tornare dalla Siria. Si accontentano di rimuovere il sangue dal pavimento quando ormai è troppo tardi.
Il Bataclan, che ha proprietari ebrei e ospita eventi di organizzazioni ebraiche, era nel mirino dei terroristi dal 2008. La polizia lo sapeva. Che cosa doveva fare? Desta allarme che potenziali jihadisti possano muoversi indisturbati sul territorio francese e da lì entrare in Belgio o in Italia senza essere arrestati e messi sotto torchio. A volte i metodi possono non essere i più garbati, ma è l'unico modo per difendersi, a volte anche a costo di «sgarrare».
Ma così non si abbassa la guardia sul rispetto dei diritti umani e sullo Stato di diritto? Pochi giorni fa la polizia francese ha arrestato un gruppo di manifestanti, tutti incensurati, che chiedevano la chiusura di una moschea a Brest, in Bretagna. L'organizzazione si chiama Adsav, cioè «Rinascita»: è repubblicana e nazionalista, e manifestava pacificamente cantando la marsigliese per contestare un imam locale che lancia furiose invettive contro la musica occidentale. I francesi hanno alzato la testa e la polizia ha arrestato loro, quelli accusati di «anti-islamisation».
Lei descrive uno scenario che ricorda il libro Sottomissione di Michel Houellebecq. Siamo al suicidio della civiltà europea. Ci scontriamo con il sistematico rifiuto di accettare una verità lampante: in questa fase storica l'Islam conduce una «guerra santa» contro l'Occidente. È la seconda invasione dei barbari, dopo quella avvenuta tra il III e il VI secolo. L'Europa riuscì allora a rimettersi in piedi. Può reagire anche oggi.
Eppure c'è chi dice che l'Islam è una religione di pace. Il Corano contiene pagine infuocate che inneggiano alla Jihad globale. È chiaro che non tutti i musulmani si arruolano, non tutti aderiscono al culto in modo integrale: c'è chi manda la figlia a studiare nelle università occidentali senza velo e con lo smalto alle unghie. Ma è un fatto che tutti i terroristi sono di religione musulmana. Un'interpretazione letterale del Corano fomenta una vasta comunità musulmana che ha una straordinaria capacità di penetrazione nel vostro Continente.
Persino la Germania di Angela Merkel ha aperto all'immigrazione: fa male? La Cancelliera è in difficoltà perché le sue aperture sono parse improvvide ai suoi stessi colleghi di partito. Su Youtube c'è una videointervista a un gruppo di giovani profughi afgani arrivati in Germania: affermano di essere contenti della nuova sistemazione, desiderano sposarsi e prolificare, dicono che le loro mogli indosseranno il burqa e la Germania diventerà un Paese musulmano. Sono queste le loro previsioni. Eppure quando i primi profughi sono giunti alla stazione di Monaco di Baviera abbiamo visto cittadini tedeschi cantare l'inno d'Europa e applaudire in lacrime. Una scena molto commovente, se non fosse che solo il 20 per cento degli immigrati in Europa è costituito da famiglie siriane, il resto da giovani maschi musulmani animati dall'ideologia della conquista.
Come possono reagire i governi europei? Devono anzitutto rispettare le leggi in vigore. Né la Germania né l'Italia possono violare deliberatamente il trattato di Schengen, sottoscritto da entrambe. Checché ne dica il Vaticano, l'Italia può accogliere esclusivamente rifugiati che scappano da guerre in corso, non migranti economici. L'identificazione deve avvenire nei Paesi d'origine. Facciamo i conti con flussi di dimensioni colossali. Secondo l'Onu, nella sola Grecia sarebbero sbarcati 800 mila immigrati. Ed è una stima al ribasso.
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