domenica 24 novembre 2024
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Lo dice anche il principe saudita Bin Salman: Khamenei è il nuovo Hitler


Clicca qui






La Stampa Rassegna Stampa
17.11.2015 L'ottavo uomo: il terrorista Salah Abdeslam in fuga per l'Europa
Analisi di Domenico Quirico

Testata: La Stampa
Data: 17 novembre 2015
Pagina: 1
Autore: Domenico Quirico
Titolo: «Quando a incontrare la morte ti accompagna tuo fratello»

Riprendiamo dalla STAMPA doi oggi, 17/11/2015, a pag. 1-7, con il titolo "Quando a incontrare la morte ti accompagna tuo fratello", l'analisi di Domenico Quirico.

Immagine correlata
Domenico Quirico

Immagine correlata
Il mandato di ricerca nei confronti di Salah Abdeslam

Venerdì sera, ore 21,30: un’auto nera si ferma a Boulevard Voltaire, undicesimo arrondissement. La portiera si apre, scende un giovane che si dirige verso uno dei bistrot della via, il «Comptoir Voltaire». L’auto riparte. Dieci minuti dopo l’uomo si fa esplodere seminando la strage tra gli avventori. Il conducente della Seat nera si chiama Abdeslam Salah, ha ventisei anni, francese, ma nato in Belgio. Il kamikaze è Brahim, suo fratello.

Salah ora ci scruta, ambiguo, le labbra serrate, da tutte le migliaia di avvisi di cattura emanati dalla polizia francese, «l’ottavo uomo» di cui parla la rivendicazione jihadista. Ci scruta dall’alto del vuoto incommensurabile che divide le notizie che l’avviso dà su di lui, alto uno e settantacinque - occhi marroni - individuo pericoloso – non prendere iniziative personali se lo si incontra, e la mostruosità di ciò che ha commesso: quest’uomo ha accompagnato suo fratello, non un compagno di lotta, un altro soldato, un discepolo, suo fratello maggiore alla morte. Ha cercato di evitare i posti di polizia, si è fermato cura ai semafori, ha ridotto la velocità per non richiamare l’attenzione, ha fatto ciò che poteva perché suo fratello non mancasse l’appuntamento con la strage suicida.

La scelta del terrorismo
Negli anni delle guerre fanatiche abbiamo percorso storie terribili, anche di carnefici. Un giorno disperato sono diventati terroristi. Da quando sono in grado di pensare pensano in modo spietato. Non hanno mai visto le città bianche che hanno popolato le loro fiabe di bambini. La loro infanzia è trascorsa grigia in città grigie. Mai avrebbero pensato, prima, di attraversare in modo così rapido, così crudele, una parte del mondo con lo scopo di sparare, non con la voglia di vedere. Quando hanno cominciato a vivere quel mondo era già devastato. Hanno saputo tutto, dalla voce di maestri fanatici prima di sperimentare alcunché; erano preparati alla vita e già li ha salutati la morte. I concetti che conoscono non ricoprono le cose.

Ma quella di Boulevard Voltaire, dei due fratelli Abdeslam è una storia che non ha eguali. È nel tempo in cui i due sono vissuti durante il viaggio in auto, nelle frasi che si sono scambiati o nel silenzio che li ha avvolti, che misuriamo l’abisso che ci circonda, che freme intorno a noi. Il fratello che porta alla morte il fratello. Brahim si muove con gesti lenti, cauti, la cintura che porta intorno a sé lo lega a una condanna senza remissione. Anche Salah deve morire, ha con se tre kalashnikov, molti caricatori. Ma lui morirà dopo.
Le biografie sono spazi vuoti, un immenso silenzio che replica moltiplicandolo il loro delitto: tracce lievi di piccoli delinquenti, nulla più, mediocri segnalazioni sulle schede poliziesche. Non hanno meritato neppure una sorveglianza. Salah dopo la strage è stato fermato dalla polizia al confine belga; ma era un nome e lo hanno lasciato passare. Dentro di sé hanno una scelta religiosa definitiva e crudele. Ma che tracce lascia intorno una fede, una fede così?

Una strada di morte
Il loro territorio dal momento in cui hanno deciso di aderire al califfato totalitario è la morte, ormai sanno amare i morti e i morenti meglio dei vivi. Non sono più belgi o francesi neppure appartengono alla nazionalità arbitraria del «califfato dell’Iraq e del levante»: è come se la morte fosse stata naturalizzata nella loro terra, una compaesana ormai.
Fuori dai finestrini dell’auto scorre la vita di Parigi in una sera di fine settimana: le file di auto, le insegne luminose snodano le loro proposte di felicità come ponti di gioia multicolori, annegano nella pienezza della luce, anche i vecchi muri danno prova della loro fertilità e partoriscono fiori e negozi, la festa cresce dall’asfalto, sui marciapiedi le donne sfilano arroganti nella loro bellezza, ondate di musica avvolgono e spariscono. E’ il mondo impuro, il mondo del Nemico, che devono punire, il demonio è lì, all’opera in quelle strade.

Un odio assoluto
In fondo è più facile quando hai sentito la polvere delle esplosioni, il rumore degli aerei assassini nel cielo, visto bambini che si sfracellano nella polvere. Aiuta ad odiare, uccidere diventa più facile… ma loro, i fratelli di periferia, come possono odiare così profondamente?
«…Vesti di fuoco saranno tagliate per gli increduli, si verserà sulle teste dell’acqua bollente che brucerà le loro viscere e la loro pelle. Fruste di ferro saranno preparate per loro… gustate la punizione del fuoco…».
Ah non è dolce la legge di dio che hanno loro insegnato, la pelle brucia, cade, la si raccoglie, la si rimette sul corpo e allora frigge, ricade, rifrigge e così di seguito: per sempre… Ma forse la paura del castigo dell’incredulo non basta: per riempire quel viaggio in auto verso Boulevard Voltaire. Gli aderenti all’islamismo, senza cultura, sono sopraffatti dall’arabo classico, il linguaggio dei demagoghi religiosi sembra erudito, familiare, profondo. Le parole, terribili, mantengono ancora la loro magia.
Chi non legge l’arabo forse non riesce a capire l’abisso che c’è tra la musicalità della lingua, come un canto o un inno alla vita, e l’atrocità delle immagini del supplizio, della violenza annicchilatrice del Jihad. Si recitano versi terribili come se fossero un poema d’amore.

Hanno freneticamente ripassato il piano? Inutile, era così assoluto e semplice. Hanno parlato della madre, dell’altro fratello rimasto, forse, a Bruxelles, che, forse, non c’entra niente? Sapevano che non ci sarebbero più stati altri giorni tra loro, altri abbracci, confessioni e rimproveri. La morte. In nome di un Assoluto, un fratello ha aiutato la morte del fratello. Forse dobbiamo gettar via l’abitudine a ragionare in termini di analisi economiche, socio-politiche e strategiche: dobbiamo pensare in termini di pulsione di morte e di autodistruzione. Perché è una autodistruzione questa.
Brahim era lì, nel sedile accanto, ma del tutto diverso, in una familiarità estranea, quella cintura attorno al busto… riconosce nel fratello solo le cose anonime, il respiro, l’odore dei capelli, della pelle.

Le strade scorrono, il tempo si accorcia... Riescono appena a ricordare che per anni sono stati vicini l’uno all’altro, ora un’ombra pallida, un ricordo senza colore. La paura dell’ignoto è diversa da quella di una fine segnata, voluta. L’ignoto è indeterminato, la paura la puoi tenere sotto controllo con la disciplina. Ma se sai che vai a immolarti… la paura sale dal suolo come una gas nero e dà il timore di soffocare. Questa non è la malattia dell’islam, è il contrario dell’umano.
«Il giorno della Resurrezione riuniremo gli increduli; saranno ciechi, muti e sordi. La loro sede sarà la Gheenna, ogni volta che il fuoco si spegnerà rianimeremo per loro la fiamma bruciante…».
Salah è ancora vivo, fuggiasco, braccato. Ha avuto paura di morire?

Per inviare la propria opinione alla Stampa, telefonare 011/65681, oppure cliccare sulla e-mail sottostante


lettere@lastampa.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT